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Il diritto di non uccidere

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Il bene della pace. La via della nonviolenza

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 Gli ultimi attentati dell'Isis a Bruxelles e dei talebani a Lahore in Pakistan ci obbligano a ritornare su due questioni: lo scandalo del dare la morte in nome del “Dio della vita” e il pericolo dello scontro di civiltà tra l'islam e l'Occidente. «Uccidere in nome di Dio è bestemmia»: proclamano con enfasi i seguaci delle varie religioni. A noi pare che tale enfasi suoni ridondante. È l'uccidere che, in quanto colpa gravissima, la peggiore di cui possa macchiarsi un essere umano, è di per sé blasfemo. Chi invoca un'istanza superiore per giustificare un atto tanto contrario al comune sentire, confessa apertamente di saperlo.

Di fatto nella storia quotidiana degli uomini si uccide per le più diverse ragioni personali e collettive. Dovunque e comunque si uccida, chi lo fa si sente in colpa e cerca una qualche motivazione che renda ciò comprensibile e accettabile agli occhi propri ed altrui. Ma quando l'uccidere vuole trasformarsi in un atto lecito, una sorta di dovere che autorizza qualunque membro di un gruppo etnico, politico, religioso, nazionale e sovranazionale, a trattare come nemico mortale ogni individuo che a tale gruppo non appartiene, è allora che si profila la necessità di individuare un principio assoluto che renda lecito l'umanamente illecito. Un principio che rimandi a un livello d'autorità che tutti ingloba e tutti trascende. Un principio il cui tradizionale modello è rappresentato dal ricorso al volere e all'agire di Dio, ma che nelle società secolarizzate può prendere le più diverse forme dell'ideologia laicista. Le religioni debbono ricordarselo quando prendono le distanze dai loro strumentali epigoni. Insieme all'uso, l'abuso del nome di Dio accompagna tutta la loro storia.

Terrorismo e guerra non sono, nelle loro manifestazioni storiche, la stessa cosa; proprio come non tutte le forme di azione, definite terroristiche, e non tutte le guerre sono tra loro sovrapponibili. Facilmente l'una si serve dell'altro e l'altro nell'altra si trasforma. Ma ciò che davvero le accomuna è l'abitudine a rivestire di paramenti sacri, religiosi o ideologici, le cause umane dell'uso della violenza estrema. Ieri ci si appellava ai miti della (T)erra (M)adre, della (P)atria, del (S)angue e della (R)azza. Oggi alle (T)radizioni e ai (V)alori della (C)iviltà, ai fantasmi dell'(I)slam e dell'(O)ccidente. Fantasmi perché né il cosiddetto islam, né il cosiddetto Occidente (cristiano) sono ormai qualcosa di più di una realtà nominale e fittizia. Sono ombre del passato proiettate sullo schermo della storia presente a rappresentare i proprio sogni e a dar volto agli incubi che tali sogni turbano.

Gli integralisti islamici parlano di un islam puro, unito e onnipotente. Inseguono l'utopia di un califfato religioso e politico, guidato da un emulo di Maometto, capace di conquistare il mondo e di governarli in pace grazie alle leggi della sharia. In realtà governano le popolazioni islamiche che riescono a conquistare usando il terrore e fomentando l'odio e la rivalità tra le diverse confessioni della loro stessa religione. Sbandierano il fantasma dell'anti-islamismo crociato per giustificare la propria spietatezza e accusare di connivenza col nemico occidentale i loro nemici interni. Per gli integralisti islamici l'Occidente è Satana che ambisce al primato di Allah, ne scimmiotta l'onnipotenza e minaccia l'islam nei suoi valori più sacri. Di fatto la vera minaccia per il futuro dell'islam è l'integralismo, sono le guerre inter-islamiche. Coloro che hanno il compito di liberare l'islam da questo cancro mortale sono gli islamici stessi.

Speculare è la posizione dell'integralismo occidentale, che mentre moltiplica le grida contro il pericolo di perdere la propria libertà e di vedere stravolti i valori della propria civiltà superiore, innalza muri verso l'esterno e l'interno, rivendica autonomie escludenti, divide le comunità in gruppi e gruppuscoli tra loro in guerra, rifiuta ogni disegno di maggiore integrazione europea, emargina i paesi più poveri e più deboli, lascia marcire nel fango i profughi asiatici e affogare in mare quelli africani. I fan dell'Occidente utilizzano il fantasma dell'invasione islamica, per pugnalare i propri nemici politici e sociali interni. Per odio reciproco neppure riescono a dar vita a una politica comune della difesa e della collaborazione investigativa. Sbandierano i diritti dell'uomo per sequestrarne l'uso a proprio vantaggio e negarli agli altri. Il nemico dell'Occidente non è l'islam, sono gli occidentali stessi, quando, come molti islamici “moderati”, fingono di non vedere la rovina che incombe sull'islam a opera dell'Isis e del jihad, e trattano con indifferente indulgenza, se non con tacito consenso, quelle forze politiche organizzate e quei movimenti eversivi che vorrebbero il ritorno alle rivalità nazionali e alla prova di forza di tutti contro tutti.


 
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