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Le migrazioni umane sono un fenomeno a carattere permanente. L'umanità, che sta diventando oggi più che mai una unità (pur con moti di reazione contraria, come i neo-nazionalismi), si è formata con lo spostamento di singoli e di popoli, per ragioni ambientali, ricerca di vita migliore, persecuzioni, espulsioni (ebrei), conquiste, esplorazioni, missionarismo, anche sottomissioni (schiavismo), stermini, ecc. Tra le popolazioni c'è una legge dei vasi comunicanti: si va, per necessità o per scelta, dove si vive meglio.

Il problema attuale, più consistente, è certamente da governare, ma non può essere evitato, o eluso. Coi respingimenti e i muri si condanna al peggio chi fugge da luoghi invivibili e ha già sofferto violenze. Chi viene in pace, bisognoso, ed è respinto acquisterà uno spirito aggressivo. È comprensibile la priorità dei profughi da guerre e fame rispetto ai migranti economici: occorre accoglienza immediata dei primi, lista d'attesa dei secondi e non pura espulsione. Teniamo conto che si fugge anche da società tribali e tradizioni non più sopportabili (per es. matrimoni forzati delle bambine) verso società attraenti e invidiate per libertà e benessere. Noi conosciamo la crisi, ma loro vedono solo il bello.

Il problema attuale è cosmopolitico, neppure soltanto europeo, e richiede soluzioni cosmopolitiche, come canali umanitari, per diritto internazionale, dalla partenza all'arrivo. I valdesi e la Comunità di S. Egidio, che hanno già condotto in Europa centinaia di migranti in tutta sicurezza, sono l'esempio: è possibile.

Solo la coscienza della nuova età planetaria è all'altezza dei fatti: la pluriculturalità, l'interculturalità, l'universalismo, il cosmopolitismo, sono le categorie culturali-politiche adeguate al fenomeno, con l'obiettivo storico di un governo democratico mondiale, dei diritti umani universali, dell'unità nella diversità. L'umanità è unica, con molti volti. Ricuperando in profondità il modello spirituale politeista e quello cristiano della uni-trinità di Dio, è possibile un umanesimo che abbia il respiro della pacifica «pluralità delle vie» (Bori). La storia va dalle culture e identità separate, autocentrate, reciprocamente escludenti, verso la contaminazione (meglio: «fecondazione reciproca», come dice Panikkar) delle culture. Un umanesimo universalista e plurale è la vocazione e la condizione necessaria del tempo che viene.

La vita umana ha bisogno della pace tra le “culture profonde” (religioni, sapienze) per assicurare la pace tra i popoli. Vale la formula di Hans Küng: «Non c'è pace tra le nazioni senza pace tra le religioni. Non c'è pace tra le religioni senza dialogo tra le religioni. Non c'è dialogo tra le religioni senza una ricerca sui fondamenti delle religioni». L'unità planetaria è plurale: hanno valore le identità comunicanti; è pericolosa a sé e agli altri una identità (anche una fede rivelata) che si fa immobile, eterna, autosufficiente. La crisi cristiana e cattolica ha questo problema: il papato di Francesco non ha da rimuovere soltanto una pastorale legalista, ma una lettura fissa delle verità ricevute. Anche papa Benedetto ha riconosciuto che il dogma ha una evoluzione nella storia. Ora, non solo i poteri curiali, coi loro mezzi, ma anche il residuo popolo devoto in cerca di religione rassicurante vuole verità marmoree a cui appoggiare la misericordia pratica spicciola. Questi fatti non sono estranei alla migrazione di popoli, che è penetrante incontro di culture e di spiritualità.

La gestione politica del fenomeno migrazioni non può essere locale (scaricata sulle regioni più esposte), ma europea e “planetaria” (come dice Mattarella), non emergenziale, non solo di ordine pubblico. Carrozze e automobili hanno fatto creare regole e strutture stradali: così ha da fare il movimento dei profughi. Il fenomeno ha atroci “costi umani” quotidiani, sotto i nostri occhi che si abituano, come durante le guerre; costi che avranno effetti nel futuro: la memoria (dolorosa, avvelenata) delle vittime genera un “trauma” che può cercare risarcimento o vendetta. È già accaduto nella storia; potrebbe accadere.

È naturale la paura umana dell'“altro”: allora, necessaria come leggere e scrivere e far di conto diventa l'educazione all'alterità, invece della politica che sfrutta la paura (i torvi movimenti xenofobi) o il crimine che sfrutta la necessità dei fuggitivi (gli scafisti e le mafie). Abbiamo tutti responsabilità e possibilità, sia ognuno di noi (tutti abbiamo rapporti personali con immigrati), sia le comunità sociali-religiose-locali-politiche: riconoscere, aiutare, formare mentalità, dare dimensioni esatte del fenomeno; conoscere e sostenere le esperienze positive.

Popoli più giovani rinsanguano popoli vecchi: la questione non è solo etica, ma è anche una convenienza economica-sociale, perché aumentano i produttori giovani, che primi finanziano le pensioni dei vecchi non produttori. Se confrontiamo le vecchie generazioni, di cultura precedente, con le nuove, nate e cresciute in presenza del fenomeno in atto, sentiamo i vecchi dire: «È arrivato lo straniero che ci toglie il lavoro, è privilegiato, delinque, ecc. ecc.», e i giovani: «Ho compagni di classe cinesi, africani, ecc.». Si vede già per strada la coppietta: lui italiano, lei cinese, o lui africano e lei italiana. Diamogli qualche anno e le fusioni matrimoniali faranno il loro lavoro, come hanno fatto a Torino i matrimoni piemontesi-meridionali, nello sconcerto dei genitori, poi felici dei nipotini di…. sangue misto.

Intanto, cadono sotto i colpi della realtà “idoli sacri” del passato: Stati, Patrie, Confini, terre sante, culture imperiali, religioni superiori. Per il fenomeno migrazioni umane, come per i fenomeni atmosferici e il degrado dell'ambiente, non esistono confini ma continuità: solo guardando la terra dal cielo si vede la realtà. Il problema più serio: ci sono oggi maestri e modelli e scuole di vita interculturale? Non ne vediamo famosi, ma abbiamo fiducia, nonostante tutto, che microcellule di società solidale vivano e fermentino. Sta a noi tutti sostenerle e renderle forze adeguate alla prova in cui siamo tutti posti.


 
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