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editoriali
434 - REFERENDUM COSTITUZIONALE / 2 |
Le ragioni del sì
La nuova formulazione degli art. 55 a 99 e del Titolo V della Costituzione, su cui saremo chiamati a referendum prossimamente, modificando le funzioni, le competenze e il modo di elezione del Senato della Repubblica, dovrebbe portare all’Italia due attesi benefici: la fine del bicameralismo perfetto e il rafforzamento istituzionale delle Regioni. |
Il testo delle modifiche è in alcuni casi necessariamente complesso, dal momento che la riforma costituzionale non interviene su una tabula rasa legislativa come la prima redazione del 1946, ma su una ormai cospicua legislazione intorno al funzionamento e alle competenze delle Regioni, ma le due conseguenze sono evidenti.
La riforma delle funzioni e competenze del Senato dovrebbe porre finalmente rimedio ad un errore dei Padri Costituenti, i quali progettarono un bicameralismo perfetto che non ha mai funzionato in 70 anni e che altri Paesi non meno democratici di noi si sono affrettati ad abbandonare già da molto tempo. Il bicameralismo perfetto infatti espone la nazione alla certezza di lungaggini del processo legislativo e al rischio di maggioranze differenti tra le Camere, dunque di veti incrociati e conseguente ingovernabilità. Ciò che si è puntualmente verificato. Tanto per dare una rapida occhiata fuori del nostro Paese, sono andato a contare i Capi di Governo succedutisi dal 1947 a oggi in Italia e in tre grandi Paesi europei che non hanno mai avuto o hanno abbandonato da tempo il bicameralismo perfetto (non ho contato i rimpasti, per la difficoltà di demarcare nettamente, nei differenti contesti istituzionali, un nuovo governo con lo stesso leader, o un cambiamento nelle nomine dei ministri): Italia = 45; Germania = 8; Inghilterra = 14; Francia = 43. Il caso francese è particolarmente interessante: infatti 21 Capi di Governo si sono succeduti negli 11 anni della IV Repubblica dal 1947 al 1958; dopo la svolta della V Repubblica, con l’abbandono del bicameralismo e della proporzionale pura, 22 Capi di Governo si sono succeduti in 58 anni.
Il rafforzamento istituzionale delle Regioni, e in genere degli enti territoriali, direttamente previsto da alcuni degli articoli di riforma costituzionale e indirettamente con le competenze specifiche attribuite al Senato, è un decisivo passo in avanti nell’attuazione di un principio base della Carta Costituzionale, e anche una misura lungimirante di equilibrio socio-istituzionale nel contesto del più globale e ultra-nazionale percorso di costruzione europea. Detto in parole povere occorre bilanciare con una più forte identità e rappresentatività regionale la perdita di autonomia nazionale in seno all’Unione Europea. Ce lo ricordano ogni giorno e in ogni angolo d’Europa le esplosioni di ansie identitarie che virano facilmente al nazionalismo xenofobo. Ben venga dunque un Senato che veglia sull’armonizzazione delle autonomie locali durante l’inesorabile cammino di rafforzamento di dette autonomie.
Le modifiche al procedimento legislativo, poco commentate anche perché abbastanza “tecniche” sebbene probabilmente quelle che più cambieranno il funzionamento quotidiano delle due Camere, potrebbero finalmente mettere gli eletti di fronte a una esigenza di efficacia, oggi clamorosamente elusa, come dimostra la montagna di disegni legge giacenti a ogni fine di legislatura.
Attentato alla Costituzione
Il dibattito politico sul tema è subito montato di tono, da tutte le parti, ed è presto andato fuori tema. Nella trappola dei vari catastrofistici comitati-No e delle loro previsioni di imminente dittatura è cascato subito anche il Primo Ministro che ha offerto con giovanile imprudenza il collo alla ghigliottina. È un artificio retorico abbastanza banale quello di minacciare di "buttare il bambino con l'acqua sporca". Ne fa uso il maschio spossessato del telecomando quando esclama "Io non conto piu' niente in questa casa', o la signora delusa dal cortese rifiuto del marito di aspettarla dalla pettinatrice più o meno nell'ora della partita di Champion quando piagnucola «Tu non mi ami più come una volta». Usano alla stessa maniera tale artificio quelli che qualificano il burkini di attentato alla civiltà occidentale come quelli che s'indignano sulla riforma del Senato come attentato alla Costituzione.
Voteremo su tutta la costituzione o su qualche articolo modificato? A sentire certuni stiamo per buttare alle ortiche La Migliore Costituzione del Mondo per sostituirla con la Peggiore Costituzione Autoritaria. A me sembra molto più che una esagerazione: una menzogna. Siccome perseverare diabolicum, non sarebbe poi una brutta idea cambiare, soprattutto ora che abbiamo la rete di sicurezza dell'Unione Europea contro derive dittatoriali. Mi duole vedere che a difendere il caro vecchio sistema dell'ingovernabilità sono la fitta schiera di quelli che sperano di continuare a farsi gli affaracci loro, mano nella mano con quella più esigua, ma non meno determinata, di coloro i quali il bicameralismo perfetto non sono mai riusciti a farlo funzionare, ovviamente sempre per colpa di qualun altro, ma guai a chi glielo tocca.
Uno dei principali argomenti tecnici contro la riforma costituzionale consiste nella carenza di tutta una prevedibile lista di regolamenti collaterali per assicurarne il corretto funzionamento a venire, quasi che quello richiesto col referendum fosse un voto di fiducia su ciò che non è ancora stato scritto. E allora? Forse che nel 1946 i costituenti e gli elettori non hanno fatto prova di quella stessa fiducia? Nel bene – quel che ha poi effettivamente funzionato, come per esempio la separazione delle cariche e dei poteri che, insieme all’Europa, ci ha preservato dalla dittatura berlusconiana – e nel male. Prendiamo per esempio l’art. 77: potevano i costituenti immaginare che il Decreto Legge sarebbe stata non l’eccezione, ma sarebbe divenuta la regola? Potevano immaginare che proprio il bicameralismo perfetto avrebbe prodotto questo ricorso sistematico al Decreto Legge? Né mi preoccupa che i Presidenti di Camera e Senato in futuro debbano trovare modo di parlarsi e di mettersi d’accordo, senza che sia stabilito a-priori chi dei due la vince. È successo tra Berlusconi e Napolitano, e non ce ne siamo lamentati più di tanto. Si potrebbe continuare con altri esempi. Scrivendo in un’epoca di comunicazione politica fatta di megafoni nelle piazze, come potevano i reverendi “padri costituenti” immaginare i cambiamenti nel rapporto tra cittadini e rappresentanti politici? Molti ideali consegnati nel testo della Costituzione restano da realizzare, come è normale per degli ideali. Ma non è solo il Titolo I della Parte II (art. 55 e seg.) che è stato reso obsoleto dai fatti; persino l’art. 17 (Parte I, Titolo I) ci fa un po’ sorridere oggi, quando per riunirsi non c’è più alcuna necessità di farlo in un luogo fisico, pubblica piazza o privato scantinato, ma lo si fa con un post su Facebook o in un blog. Altri articoli non hanno mai trovato attuazione, ma ormai il loro tempo è passato, inutile perderci tempo.
Il vero/falso argomento forte del Fronte-del-No è l’opposizione alla legge elettorale col premio di maggioranza detta Italicum, che metterebbe nelle mani del leader del partito più votato la totalità del potere; che sia poi solo quello esecutivo è un dettaglio che si omette affinché lo spauracchio sia più spaventoso.
Italicum e governabilità
Anche a me non piace affatto la legge elettorale col premio di maggioranza, che mi irrita due volte: primo perché non obbliga il cittadino a una scelta; secondo perché poi gli fornisce l’alibi per nascondere la mano che ha tirato il sasso. Ma questo non c’entra con la riforma della costituzione, né con il referendum, che non è un referendum abrogativo dell’Italicum. A me piace invece la legge elettorale francese: proporzionale al primo turno e ballottaggio tra due soli candidati al secondo (che è poi anche la nostra per le elezioni amministrative). In questo modo tocca ai cittadini prendere la responsabilità di scegliere il Presidente e formare il Governo, scegliendo al secondo turno il “meno peggio”; accettando in molti casi di scendere a patti con i propri ideali e con i compromessi di un’alleanza. Sono i francesi a fare la scelta, ad assumersene la responsabilità nell’urna, a decidere – da adulti – chi va al governo e chi sta a casa. Non si contentano di votare “e poi che se la sbroglino“, come invece facciamo noi. Il senso ultimo del passaggio istituzionale dalla IV alla Vème Republique (abbandonare il bicameralismo ed il proporzionale puro) sta proprio nella volontà dei francesi di darsi un governo che governi e poi di cambiarlo quando ha finito il suo mandato. È il sano principio che ciascuno si prenda le sue responsabilità: elettori ed eletti; che chi governa sia messo in condizione di agire e di essere giudicato sui fatti; toccherà anche alla Le Pen? Probabilmente, ma poi anche Lei dovrà renderne conto. Tutte le principali democrazie europee hanno abbandonato il “meglio” della proporzionalità pura in favore di sistemi elettorali e istituzionali che favoriscono la responsabilità e la governabilità. Vogliamo rifletterci?
Ancora c’è da fare i conti con il vezzo della nostra sinistra di sparare sul pianista. Il barbiere di San Gimignano − il migliore e anche l'unico − ha il ritratto di Lenin sulla specchiera e quello di Che Guevara sopra le poltroncine d'attesa. Interrogato sul voto al referendum ha proclamato senza esitazioni: «Tutto piuttosto che quel democristiano di Renzi». Mi ha ricordato due categorie di persone: quelli che si tagliano gli zebedei per far dispetto alla moglie; quelli che sparavano a mitraglia contro Prodi e che votavano Bertinotti (Berlusconi ringrazia ancora adesso). Giusto per evitare il «ma chi l'avrebbe mai detto!?» − tipo gli inglesi dopo il Brexit − provo a descrivere il più probabile scenario prossimo venturo. Il fronte del Tutti-contro-Renzi vince il referendum; valanga di No, sulla riforma costituzionale ma che non sono voti per abrogare la legge elettorale. Renzi è costretto a dimettersi. Si va alle elezioni anticipate con l'attuale legge elettorale: l’Italicum. Il M5S prende la maggioranza relativa, incassa il premio al Parlamento, ma ce li ha tutti contro al Senato. Ci ritroviamo con un comico − professionista, questa volta − come Primo Ministro, che fa le comiche perché altro non può fare.
Avendo constatato per settantanni come ha funzionato il vecchio Senato prendo volentieri e in piena coscienza il rischio di convivere con il nuovo. Preferisco che le mie nipotine mi giudichino per peccato d'azione (pur limitato a una scheda nell'urna) che per quello di omissione. Voterò Sì, perché l’abolizione del bicameralismo perfetto e le altre riforme istituzionali sono un passo avanti per la democrazia in Italia e non viceversa; perché “quella” parte della nostra costituzione (quella relativa al funzionamento del potere legislativo) non ha funzionato – provi qualcuno a dimostrare il contrario, ripercorrendo i 70 anni trascorsi! − ed era ora di cambiarla. Concludo: voto Sì per chi ha il coraggio di cambiare; voto Sì con la fiducia che si sapranno trovare i modi politici per risolvere le crisi istituzionali; voto Sì perché ciascuno – di destra e di sinistra – abbia l’opportunità di fare e la responsabilità di renderne conto, a cominciare dai cittadini elettori.
Stefano Casadio
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