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 435 - Referendum

 

Il meglio è nemico del bene

 

Non bastava l’intervento di D’Alema che tuona: «Non è così che si modifica la Costituzione» e pensare che dovrebbe saperne qualcosa… Ci voleva anche l’incauta uscita dell’ambasciatore americano a favore del sì, a cui ha comunque sobriamente e correttamente risposto il presidente Mattarella. Siamo tornati ai tempi di Clara Boothe Luce che negli anni 50 influiva sulla formazione del governo italiano, in funzione anticomunista? Forse no, non è il caso di scaldarsi troppo…

È sempre più difficile affrontare l’ingarbugliata matassa del prossimo referendum costituzionale, nell’intreccio perverso con la riforma del sistema elettorale. Ci sono almeno tre elementi positivi: la fine del bicameralismo paritario, la fiducia al governo affidata alla sola Camera e una maggior definizione delle competenze legislative delle Regioni, riportando allo Stato alcune materie di peso nazionale. Il paradosso è che su questi punti, almeno sui primi due, quasi tutti sono pienamente d’accordo, come ci ricorda ancora Alessandro Pace (Referendum, le ragioni del no, «la Repubblica», 21 agosto 2016). Che le due Camere fotocopia fossero un prodotto di scelte politiche contingenti e non di teorie costituzionali raffinate, come per molto tempo si è voluto far credere, è stato ribadito, tra gli altri, dallo storico Guido Crainz («la Repubblica» 13 aprile 2016): «Alla costituente la somma dei voti comunisti e socialisti aveva superato quelli della democrazia cristiana… venne anche da qui la scelta netta di De Gasperi a favore del bicameralismo… non era per nulla scontato l’esito delle elezioni politiche (del 18 aprile 48, che diedero alla DC la maggioranza assoluta). Alcuni sostenitori del no affermano tuttavia che il doppio passaggio non rallenterebbe l’approvazione delle leggi e quanto meno avrebbe una funzione di bilanciamento dei poteri. Sul primo punto bastino due recentissimi esempi: la legge contro il caporalato, la cui entrata in vigore è rinviata ad ottobre dovendo ritornare alla Camera. Visto ciò che accade, tra l’altro, al c.a.r.a di Foggia, nel servizio del giornalista Fabrizio Gatti dell’Espresso, maggior sollecitudine non avrebbe guastato. A seguire, la legge contro lo spreco di cibo (una elementare norma di civiltà), che è stata sì definitivamente approvata a luglio, ma unicamente perché il Senato non l’ha modificata, cioè rinunciando, per l’urgenza, al suo ruolo. E la funzione di contrappeso? Quando mai? Chi si documenta ascoltando le dirette radiofoniche delle riunioni di commissione e di aula ha l’impressione di un doppio assalto dei vari gruppi d’interesse con il risultato di affossamenti, stravolgimenti e pessimi testi come risultato finale, altro che balance of power. Sull’abolizione della doppia fiducia al governo non val la pena di soffermarsi: basti pensare alla paralisi in caso di maggioranze diverse, scenario ampiamente sfiorato in più occasioni negli ultimi venti anni.

Infine la modifica dell’art. 117 che elimina la competenza legislativa mista di Stato e Regioni, frutto della discutibile riforma del 2001, non può che essere vista favorevolmente. Essa ha infatti provocato da un lato un enorme contenzioso davanti alla Corte Costituzionale e dall’altro ha contribuito all’aumento incontrollato della spesa locale, con gravi ripercussioni sul debito complessivo. Altro tema controverso è quello dei risparmi, ciascuno spara le sue cifre, nella miglior tradizione del pressapochismo nostrano. Alcune cose però sono certe: ad esempio il taglio dei costi al Senato. Anche una riduzione dei deputati non avrebbe guastato, visto che negli Usa (310 milioni di abitanti) ne bastano 475, ma mai come in questa riforma il meglio risulta nemico del bene… E ancora l’abolizione del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro. Nelle intenzioni dei Costituenti doveva essere la terza Camera (non ne bastavano due!), poi, vuoi per un residuo sentore di corporativismo (rappresenta le categorie produttive) vuoi per la marginalità delle funzioni, si è ridotto a una sorta di zombie istituzionale in cui sistemare candidati trombati e sindacalisti fuori corso, insomma un cimitero degli elefanti, non senza spese per la collettività.

Alti lai si sono poi levati sul numero ridotto dei senatori e sulla loro designazione. Sarebbe violata la sovranità popolare. A parte che il sistema di elezione è per ora definito in termini generici, nessuno si sogna, ad esempio, di considerare la Germania (82 milioni di abitanti) meno democratica perché ha un Bundesrat composto di soli 68 membri, eletti in secondo grado dai parlamenti dei Länder.

Risibili sono anche molte delle critiche sulla lunghezza degli articoli e sulla complessità del nuovo testo. «Il Senato della Repubblica è abolito». Pensate che chiarezza, che linearità, che lingua italiana degna di Concetto Marchesi. In molti avremmo desiderato il taglio del nodo gordiano, ma non c’era evidentemente l’accordo politico e si è trattato e mediato. E anche al netto di una perversa tendenza, non nuova, al dettaglio in ogni normativa (dal regolamento di condominio alle leggi costituzionali), il risultato finale non poteva essere che quello. Avvisaglie se ne erano viste già nella riforma del 2001, dove, ad esempio, elenchi di competenze utilizzavano quasi tutto l’alfabeto.

Altra critica, a prescindere, è quella dei “benaltristi”, sovente in premessa a documenti seri e approfonditi. Agli italiani non potrebbe “fregar de meno” di questa riforma, ben altri sono i loro problemi. Qui si commette il grave errore logico di sottostimare l’importanza delle norme di procedura, tanto più essenziali nei periodi di crisi. Se vogliamo avere buone leggi, occorrono procedure efficienti per approvarle in tempi accettabili. Cosa che adesso non è.

È saggio buttare a mare tutto il lavoro fatto in questi anni oppure, nell’impossibilità di scegliere i singoli punti (il c.d. spacchettamento pare di dubbia costituzionalità), è opportuno dare un giudizio ponderatamente positivo? Considerando che in caso vinca il sì potranno esservi ritocchi ulteriori, nel caso vinca il no è quasi del tutto certo il rinvio sine die di ogni ipotesi di riforma. Nel secondo caso è giusto tener conto delle eventuali conseguenze, anche a breve termine. In merito va detto che non vedo orizzonti luminosi in nuove maggioranze, tra la truculenza di Salvini e le persistenti ambiguità del movimento 5 stelle. Di Renzi e del suo governo (non dimentichiamolo, di coalizione con forze moderate) si potrà dire e pensare ciò che si vuole, ma siamo sicuri che (faccio tre esempi) su immigrazione, Europa e rapporti con la Libia: avremmo con altre maggioranze (non fantasiose) scelte più prudenti e avanzate? Come dire il convento passa il cibo che può, ma non è che nei dintorni ci siano poi ristoranti migliori.

Fuor di metafora e trascurando il “solito complotto della perfida finanza internazionale contro il debito pubblico italiano”, anche di questi temi occorre forse prudentemente tener conto recandosi alle urne il prossimo dicembre.

 

Pier Luigi Quaregna

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