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 435 - REFERENDUM COSTITUZIONALE

Costituzione e cultura

Nelle discussioni sul referendum (anche in redazione), di là dai dettagli tecnici, si distinguono e si oppongono due logiche: quella del fare funzionale, dell'efficacia nell'affrontare i problemi, degnissima logica; e quella del fare sulla guida di alcuni princìpi e scopi, a mio parere una logica non solo degnissima, ma più perspicace e alla lunga più efficiente nell'agire sui problemi.

Ed è la più necessaria. «Cercasi un fine» (don Milani), molto più che un governo stabile. Manca il fine, o è troppo al di sotto della giustizia. Il fare, infatti, si chiede giustamente: come? Con che mezzi e tempi? Con quali procedure? Ma soprattutto la politica si deve chiedere: a quale scopo umano più degno? Con quale metodo più paritario e comunitario nelle decisioni?

Il fare-fare rischia di non vedere avanti, gli effetti e i valori in gioco. Una pratica del fare-fare moltiplica nella società le figure e gli abusi dei faccendieri (parola senza un significato che non sia temibile). L'altra cultura rischia di guardare troppo in alto e di non fare prontamente il necessario. Ma qual è, tra tante istanze, la cosa più necessaria? Qui conta sapienza umana e coscienza dei valori alti, ben più dell'abilità. Tra due rischi, il minore è il secondo. I migliori politici sono sempre stati quelli colti, intelligenti, mossi da ideali. Non metterei i filosofi al governo, ma non vorrei un governo senza il consiglio influente dei filosofi, dei saggi. La conta dei voti è molto poco.

Sì, io credo proprio che la Costituzione è metapolitica. Sappiamo che non vuol dire politica dei sogni, metafisica e perfetta. Per la fortuna e la salvezza della politica reale, quotidiana, la Costituzione è metapolitica. Essa, certo, è un fatto storico, ma è nata ed esprime un momento umanamente molto alto della ondivaga storia umana, italiana e mondiale: è nata dal dolore della violenza e delle offese patite; è nata da un riscatto e ritrovamento di umanità e dignità (imperfetto, certo, ma molto alto). Momenti tali sono l'orientamento nei passi. Ridurre la Costituzione del 1948 − e in generale il neo-costituzionalismo mondiale del dopo-1945, uno dei momenti più umani di tutta la storia umana − a un momento storico qualunque sarebbe come ridurre così Gerusalemme e Atene, l'Umanesimo rinascimentale e le rivoluzioni moderne, le sapienze antiche e le vette dell'arte. Noi siamo nella storia, ma in coda alla storia, fatta di crimini e di grandi luci di vita: dei crimini si muore, delle luci si vive, oggi e domani, per uscire dai crimini.

Metapolitica vuol dire, mi pare, due cose: le regole e gli scopi, che trascendono e danno forma alla politica concreta, irriducibili ad essa.

1) "Le regole del gioco democratico" (come insisteva Bobbio), dettate dalle sofferenze, sono scritte nella luce dell'ignoranza, a favore di nessuno, in modo che l'ignoto che riceverà il potere sia il più possibile impedito dalle regole ad esercitarlo prevaricando sull'ignoto che avrà il compito di controllarlo e criticarlo. Non è vero che la democrazia è la legge della maggioranza: invece essa è proprio la legge per tutelare la minoranza. La maggioranza (passiva o attiva) sanno farsela i capipopolo, senza bisogno di regole, cioè ingiusta.

2) gli "scopi" delle regole del gioco democratico. Nella nostra Costituzione sono scritti nei Principi fondamentali e nella Parte Prima (artt. 1-54), ed anche in alcuni punti della Parte Seconda, sulle regole (artt. 55-139). Consistono in vari coordinati obiettivi di umanizzazione della vita sociale, riducendo la violenza, le ingiustizie e le diseguaglianze escludenti.

Bobbio parlava di "formalismo" delle regole democratiche, che non prescrivono una data idea di società, ma ammetteva subito una "sostanza" della democrazia, che sta nei princìpi o scopi definiti nella Costituzione.

È per questo che noi intellettuali umanisti (e magari cristiani), dobbiamo lavorare per tutti e non per alcuni, siamo responsabili diretti della politica senza essere operatori politici diretti nelle istituzioni. Per questo dobbiamo essere l'occhio e la voce della Costituzione, legge delle leggi e sovrana dei governi, ad essa sottoposti. Le modifiche costituzionali nel tempo devono rispettare, e soprattutto adempiere, gli scopi della Costituzione, il maggiore dei quali è l'art. 3. Se la cultura smarrisce questo compito, tradisce la società. La società, tradita da una cultura evasiva o ludica o mestierante, si sottomette al potere prevaricante e illusionista. C'è una funzione del pensiero critico irriducibile alla funzione, pur degna, del consigliere pratico del principe, in un singolo tornante della storia. La riforma sana della Costituzione dipende dalla funzione libera, educatrice e umanizzatrice della cultura.

Enrico Peyretti

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