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 435 - Catastrofi naturali e teologia

 

Che c'entra Dio coi terremoti?

 

Almeno tre bravi pastori di anime (il vescovo di Ascoli, quello di Rieti e il predicatore pontificio Cantalamessa) hanno cercato di affrontare in termini teologici la questione classica, ormai anche piuttosto inattuale, del rapporto tra Dio e le catastrofi naturali.

È chiaro a tutti che, nella Bibbia e in gran parte dei testi sacri antichi, il divino, monoteista o politeista che fosse, stava all'origine dell'esistenza dei cieli e della terra e di tutto ciò che in essi accadeva. Dio o gli dei erano la causa ultima di lampi, tuoni, diluvi, siccità e terremoti. La visione culturale e scientifica ed etica del mondo e di millenni di preistoria e di storia supportava, legittimandole, tali credenze, non solo religiose.

Oggi una nuova cultura scientifica ed etica rimette in discussione quanto di questi antichi sapere è sopravvissuto, a livello sociale, in alcune venerabili tradizioni religiose. Agnostici, atei e anche molti credenti ritengono ormai irrazionale e immorale attribuire direttamente a Dio, come nei miti greci, in quelli di tutto il Medio oriente, nella predicazione degli stessi profeti biblici, ogni fenomeno naturale, propizio o dannoso per gli uomini, come compenso o punizione per le loro violenze e infedeltà.

Come dice bene Zygmunt Bauman, possiamo considerare il 1755 l'anno in cui al personaggio storico-culturale «Dio» è stato consigliato l'allontanamento dal centro dell'universo e l'abbandono del ruolo di primo responsabile di quanto di bene e di male accade nel mondo. Nel 1755, infatti, terremoti, incendi, inondazioni colpiscono la ricca e prestigiosa Lisbona. E i colpi della distruzioni cadono su ricchi e poveri, colpevoli e innocenti. Non era certo la prima volta che ciò accadeva, ma la cultura del tempo ormai non accettava più le giustificazioni teologiche subito sfoderate dai teologi. Il verdetto fu inappellabile: «Il soggiorno di Dio al centro dell'universo non è riuscito a superare la prova della ragione e della morale. Ora tocca agli uomini la nuova gestione. Tocca loro assumersi, nel bene e nel male, la responsabilità per tutto ciò» («la Repubblica», 9 settembre 2016). Bauman riconosce che «dopo due secoli abbiamo imparato, nel modo più duro, che i manager umani hanno finito col combinare un vero caos», che anche loro sono incapaci di regolare il mondo con vera sapienza e decisivo potere. Ma almeno è possibile fare rendere loro conto degli errori e delle inadempienze, senza caricare le vittime stesse di immaginifiche colpe sovrastoriche (peccati originali). Il che, se non le consola per le catastrofi che le hanno travolte, rende moralmente improponibile ogni ritorno all'antica interpretazione religiosa sul ruolo di Dio in tali eventi.

 

Dio, chi è mai costui?

Ecco perché, con parole diverse, ma analogo intento, i tre bravi pastori hanno sentito il dovere di precisare che «non Dio, ma gli uomini, con la loro insipienza e disonestà, sono responsabili dei tanti mali provocati dai terremoti»; vuoi perché i terremoti sono un fenomeno naturale connesso al processo di formazione della varietà e bellezza della terra (vescovo di Rieti); vuoi perché Dio non è intenzionalmente coinvolto nei processi fisici della formazione e trasformazione della terra. Questi sono frutto di “cause seconde” del suo operare creativo. Tali cause agiscono per loro conto, secondo leggi proprie, e, se ci teniamo a sapere dove Dio si trovi in tali tragici momenti, dobbiamo cercarlo in mezzo alle vittime, come soccorritore (Cantalamessa).

Tutto bene? Tutto, almeno teologicamente risolto, con lode di tutti? Sembra di sì. Che vescovi e Curia riconoscano che Dio nulla ha a che fare coi terremoti e non interferisca con le leggi della natura va benissimo ad atei e agnostici. Che le spalle di Dio si possano sgravare dalle responsabilità dei mali che colpiscono le sue creature è ottima cosa per i credenti, più o meno secolarizzati. Che la responsabilità di tali disastri possa essere interamente accollata all'ignoranza e alla disonestà degli uomini (naturalmente altri da noi e dalle vittime, anche se non tutte) piace a tutti, soprattutto ai giustizialisti e a quanti, da bravi “umoralisti”, amano satirizzare o scandalizzarsi per le fragilità altrui.

E Dio? Dio, il Dio della Bibbia che dopo la creazione si compiace della sua opera e sogna di riposare in pace. Che vedendola in azione se ne disgusta e prova a distruggerla. Che si ripente e immagina l'arcobaleno; si elegge un popolo, che tenterà di ripudiare, senza successo, perché ne ha pietà. Che promette un re messia e invia un servo sofferente. Che si fa uomo, per salvare gli uomini e muore vittima della loro prepotenza e forse del suo stesso disegno. Dio resta sulla sua fame. Non solo i secolarizzatori lo hanno abbandonato, ma i teologi stessi si rifiutano di misurarsi ancora col suo mistero. Giocano a rimpiattino tra ragione e tradizione. Tanto basta a giustificare la loro presenza al mondo. Se poi a Dio non piace più l'immagine divina, che loro stessi, nei secoli, gli hanno cucito addosso coi mille selfie che si sono fatti con Lui, provi Lui a farsi un selfie con loro e capirà cosa vuol dire «creare qualcuno a proprio immagine e somiglianza».

Aldo Bodrato

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