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politica
Noi illuministi, con la nostra ignoranza. Noi cristiani, con le nostre quotidiane omissioni di soccorso. Ma perché siamo portati a dimenticare i conflitti e le catastrofi umanitarie che si compiono in quella tormentata regione del pianeta? Forse perché l'Italia ne è lontana? Forse perché sono deboli i legami storici, culturali ed economici che abbiamo stabilito con quei paesi ? Il colmo è che invece molte sono le risorse di quei territori di cui ci serviamo ogni giorno. Nell'era della globalizzazione siamo tutti "vicini di casa". Eppure, in un'epoca assai meno "globalizzata", Vietnam e Cile ci sembravano a noi confinanti, ci coinvolgevano nelle loro drammatiche vicende. In questo articolo saranno rappresentati alcuni personaggi. La loro storia forse ci aiuterà a capire qualcosa di più sull'Africa e gli africani. E anche ci aiuterà a scoprire qualcosa dei motivi per cui abbiamo tanta difficoltà a capire. L'anticomunismo esige sacrifici umani «Piangi, fratello negro amatissimo. Inseguiti e braccati, scacciati dai propri villaggi, sconfitti in battaglie dove la legge della forza significa per te schiavitù o morte...E venne il bianco. Sornione, scaltro e più avido, scambiava il tuo oro con specchietti, ubriacando i tuoi guerrieri, ammassando nei suoi vascelli i tuoi figli e le tue figlie. Il tam-tam mormorava da villaggio in villaggio raccontando la grande partenza verso fiumi lontani dove il cotone è Dio e il dollaro Re. Condannato al lavoro forzato come bestie da soma, ti fu insegnato a cantare le lodi di Dio. Questi diversi canti, ritmando il tuo calvario, ti davano la speranza in un mondo migliore. Ma il tuo cuore chiedeva solo il tuo diritto alla vita e la tua parte di felicità. Tu farai del Congo una nazione libera e felice, al centro di questa grandiosa Africa nera» (Patrice Lumumba). Fin da giovanissimo Lumumba fu animato da una curiosità attiva che lo portò a compiere viaggi in Belgio, piccolo Stato che possedeva una colonia ricchissima di materie prime. Partecipò alla tavola rotonda che aveva il compito di preparare l'indipendenza. Il partito da lui fondato conquistò nelle elezioni la maggioranza relativa e toccò perciò al primo ministro Lumumba pronunciare, alla presenza di Re Baldovino, il discorso sulla proclamazione dell'indipendenza (30/6/1960). Per alcuni commentatori, con le sue coraggiose parole egli scrisse la sua futura condanna a morte. «Nessun congolese potrà mai dimenticare che questa indipendenza è stata conquistata mediante una lotta quotidiana, ardente e idealista. Abbiamo conosciuto il lavoro spossante richiesto in cambio di salari che non ci permettevano di soddisfare la nostra fame, né di vestirci. Abbiamo conosciuto le ironie, gli insulti. Siamo stati spogliati delle terre in nome di documenti falsamente legali... Faremo del Congo il centro che irradia la luce su tutta l'Africa. Faremo sì che i cittadini godano delle libertà fondamentali previste nella Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo». Sarebbe lungo elencare i drammatici avvenimenti che seguirono la dichiarazione di indipendenza e che si protrassero fino al 1965. Basti ricordare l'ammutinamento di parte dell'esercito e, col sostegno del Belgio, la secessione (11 giorni dopo l'indipendenza!) della ricca regione del Katanga, nel Congo sudorientale. Lumumba, vista l'inutilità del suo appello all'Onu, chiese aiuto all'Urss, allarmando in tal modo le potenze occidentali. Il capo di Stato maggiore Mobutu poté così organizzare un colpo di stato. Lumumba venne arrestato e spedito presso i suoi nemici giurati del Katanga. Il giorno stesso del suo arrivo fu assassinato. Sembra che il suo corpo sia stato fatto a pezzi e i suoi denti esibiti come trofei. L'Occidente deve essere ritenuto responsabile di un tale delitto politico? Forse fu opera dei servizi segreti. E per i governi: laisser-faire. Così il governo belga nel 2002: «Alla luce dei criteri applicati oggi, alcuni membri del governo di allora e alcuni personaggi belgi dell'epoca portano un'indiscutibile responsabilità negli eventi che hanno condotto alla morte di Lumumba. Il governo considera perciò appropriato porgere alla famiglia di Patrice Lumumba e al popolo congolese le proprie scuse per il dolore che è stato inflitto da quell'apatia e da quella fredda neutralità ». Il trionfo del camaleontismo «Il furto al potere», ovvero cleptocrazia. Così è stato definito il regime di Mobutu. Ma si potrebbe anche definire come «il trionfo dell'ipocrisia», il camaleontismo al potere. Infatti uno dei primi provvedimenti di Mobutu, cioè del principale boia di Lumumba, fu di proclamarlo «eroe nazionale» e di ribattezzare lumumbashi la città dove Lumumba era stato assassinato (Elisabethville). Ma non fu l'unico cambiamento di nome. Il Congo si chiamò Zaire. Mobutu stesso cambiò il proprio nome da Joseph Desiré in Sese Seko Kuku Ngbendu Wa Zabanga (guerriero sempre vincitore senza che nessuno possa fermarlo, lascia il fuoco sul suo cammino). Ma anche tutti i congolesi dovettero cambiare nome e cancellare i propri nomi "europei". Anche la "moda" dovette cambiare: non più camicia e cravatta ma una giacca stile "maoista". E lui con un bel cappello di pelle di leopardo. Mentre economicamente e politicamente era succube degli interessi occidentali, Mobutu volle coprire tale sudditanza con una ridicola africanizzazione. In realtà non faceva solo gli interessi del capitalismo internazionale, curava molto bene anche i propri interessi. Era riuscito, sottraendolo al proprio popolo poverissimo, ad accumulare, per lo più in banche svizzere, qualcosa come almeno cinque miliardi di dollari! Si poteva permettere di noleggiare un Concorde per uno shopping a Parigi con la sua famiglia. Ma quanti onori gli abbiamo tributato! Nixon, Mitterand, la regina Elisabetta. «Mobutu non olet», quando si tratta di fare buoni affari. Anche Mao lo ricevette, in funzione antisovietica. Che cosa invece possiamo sapere su Laurent Desiré Kabila, colui che rovesciò Mobutu? Lo si poteva definire un "successore" di Lumumba? Apparentemente sì. Era stato un suo fedele collaboratore nei drammatici mesi in cui Lumumba era primo ministro. Poi si era dato alla macchia fomentando una guerriglia contro Mobutu. Nel 1965 si incontrò con Che Guevara, arrivato in Congo con un centinaio di guerriglieri cubani. Ma il Che lo definì «privo di serietà rivoluzionaria» e lasciò il Congo. In seguito Kabila si rifugiò in Tanzania. Quando il regime di Mobutu perse l'appoggio dell'Occidente, Kabila ricomparve e, con l'appoggio di Uganda, Rwanda e Burundi, scatenò una sanguinosa guerra che si concluse con la fine dello "Zaire" di Mobutu (lo Stato tornò a chiamarsi Repubblica Democratica del Congo). Che cosa era rimasto del "lumumbismo", del marxismo e del maoismo del primo Kabila? Nulla. Ancora corruzione, repressione, culto della personalità. L'esercito che portò Kabila al potere si era servito di migliaia di bambini soldato piazzati in prima linea e falciati dall'esercito di Mobutu. I piccoli superstiti, arrivati nella capitale portando fucili più grandi di loro, non ottennero i 100 dollari che erano stati promessi. Finita la Prima guerra del Congo, Kabila scatena la Seconda, ancora più devastante. Il Congo è percorso da orde di «soldati senza frontiere», provenienti da varie nazioni, e dediti al saccheggio. Si può dar torto a Emma Bonino, allora Commissaria europea incaricata della gestione degli aiuti umanitari, se definisce «macellaio» il vecchio partigiano lumumbista? Toccato il fondo? Cuore di tenebra è un breve romanzo di Conrad scritto alla fine dell'Ottocento. Anche se mancano indicazioni geografiche, il testo è collegato al viaggio compiuto dall'autore sul fiume Congo, fino al cuore dell'Africa. Nel racconto lo scopo del viaggio, poco chiaro all'inizio, si trasforma in un'ossessione: l'incontro con Kurtz, mercante d'avorio. Questo individuo, portatore di morte, circondato da schiavi che lo credono una divinità, è anche lui vittima di quell'orrore che regna nel buio della foresta. «Orrore» è l'ultima parola da lui pronunciata. Il viaggio assume l'aspetto di una dantesca discesa agli inferi. Quasi un secolo più tardi appare in Africa un uomo che davvero assume contorni satanici, forse più dell'immaginario Kurtz. Si tratta di Joseph Kony, capo della Lord's Resistance Army (LRA), Esercito della Resistenza del Signore, accusato di avere rapito tra i 66mila e i 100mila bambini e di avere causato due milioni di profughi interni dal 1986. Partita dall'Uganda la LRA ha a lungo dominato vaste regioni del Congo, della Repubblica Centro Africana, del Sud Sudan e del Sudan. Quale è la "religione" di questo "Profeta"? Legge la Bibbia, recita il Rosario, celebra il Natale. Ma osserva anche il Venerdì e il Ramadan. Suo programma: sterminare tutti, risparmiare i bambini, lavare il loro cervello, trasformarli in macchine assassine. A loro, piccoli spietati combattenti, sarebbe toccato il compito di costruire una nuova società dopo la vittoria. Ai suoi seguaci impartisce regole rituali, come quello di farsi il segno della croce prima di combattere, per evitare di essere uccisi (le pallottole si trasformeranno in acqua), e disegnare con olio benedetto sul petto e sul fucile una croce. Nulla di nuovo sotto il sole: «In hoc signo vinces»! Kony è ancora vivo? Non si sa. Sembra che l'ultimo rapimento stile LRA risalga al febbraio 2016. Questo volere purificare radicalmente la società affidandola ad un esercito di bambini ricorda quanto tentato dagli khmer rossi in Cambogia. Anche allora si voleva allevare sudditi senza memoria, bambini simili a pagine bianche su cui scrivere quello che il Partito voleva. Qualcosa di simile era avvenuto in Cina, con le giovanissime guardie rosse scatenate contro ogni "tradizione". E in Occidente i "sessantottini" esultavano e plaudivano. In seguito a questo "viaggio" nel cuore dell'Africa "dimenticata", possiamo avere l'impressione che si tratti di una discesa tra i gironi di barbare superstizioni. Sì, certamente. Sappiamo che "il buon selvaggio" è solo frutto della nostra immaginazione. Ma quanto "Occidente" abbiamo trovato nell'Africa! Spietata lotta ideologica, sfruttamento economico, fanatismo "marxista". Ma anche Costantino e le crociate. La conclusione di Cuore di tenebra mostra il viaggiatore ritornato a Londra in un salotto borghese. Ma non riuscirà a raccontare «l'orrore» di cui è stato testimone. Il "salotto" avrebbe avuto difficoltà a sopportare la verità. Così come anche noi, forse. Dario Oitana
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