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 438 - Africa dimenticata / 4

 

SFORTUNATA LA TERRA...

 

«Sfortunata la terra che non ha eroi...No, piuttosto: sfortunata la terra che ha bisogno di eroi». Così Brecht nel Galileo. Possiamo applicare questa amara sentenza a tante terre del cosiddetto Sud del mondo, in particolare all'Africa, al Congo.

 Poiché ai  «poveri del mondo», noi, con le nostre distorte ideologie, avevamo, più o meno inconsciamente, rivolto un'accorata richiesta: «Voi poveri "dovete" fare la rivoluzione, solo i poveri sono i veri rivoluzionari; noi vi sosterremo con le nostre manifestazioni». E, alla mancata "rivoluzione", verrebbe allora da porre un'angosciosa domanda: «Ma come? Non avete "eroi"?». Invece ci possiamo rendere conto che, in una situazione di miseria e di degrado, un'ipotetica rivoluzione richiederebbe un "eroismo" quasi impossibile. È possibile invece che avvenga un'esplosione di distruttività e di autodistruttività.

 

Un brusco risveglio

Fino agli anni Novanta del secolo scorso, la scia di sangue che segnava la storia dell'Africa poteva essere attribuita alle potenze coloniali e paragonarsi ai dolori del parto sul nascere di società completamente nuove. Ma, proprio quando, nel 1994, con la fine dell'apartheid in Sudafrica, si assiste con gioia a un sogno realizzato, la storia africana sembra precipitare in un incubo. Ci si scuote dall'illusione e si acquista una tragica consapevolezza. Questo il grido di dolore di un africano: «Il genocidio ruandese rappresenta, per tutta la coscienza collettiva africana, un brusco risveglio, un momento traumatico che ci mette dinanzi alla possibilità concreta della nostra scomparsa collettiva. Si può tranquillamente affermare, senza timore di essere smentiti, che la storia recente africana trova nel genocidio ruandese uno spartiacque tra il prima e il dopo che non smette mai di interrogarci. Tanti perché non trovano una risposta. Il genocidio di circa un milione di africani per mano di africani è l'enigma insoluto della nostra memoria collettiva panafricana. La bellezza dei laghi viene deturpata dai corpi dei figli d'Africa, trucidati non da armi sofisticate ma con il semplice machete. Tutti sono stati chiamati in causa dai fatti estremi del Ruanda: uomini politici, società civile, artisti e pensatori. Gli interrogativi sono drammatici: qual è la nostra identità dopo il genocidio? Quale progetto comune inventare per gli uomini e le donne dell'Africa?» (Jean Léonard Touadi, Congo, Editori Riuniti, p. 78)

Un'altra angosciosa domanda si impone: come mai i cattolici in Ruanda si sono potuti abbandonare a orribili massacri? È il fallimento di un'evangelizzazione troppo superficiale, incapace di trasformare le menti e i cuori? In realtà la Chiesa in Ruanda ha pagato un prezzo altissimo. La Chiesa ha visto morire circa un terzo del suo clero. Un altro terzo è rimasto in funzione e gli altri sono fuggiti all'estero. Sono noti i casi in cui singole comunità o singoli sacerdoti hanno offerto rifugio a fuggitivi di etnia opposta mettendo a rischio le proprie vite. Sono tuttavia numerosi i casi di sacerdoti e religiosi accusati di essere autori di eccidi o di incitamento al massacro (Congo, p. 71).

Questi gli inquietanti interrogativi riguardanti il genocidio ruandese. Ricordiamo che in Congo un massacro di proporzioni ancora maggiori si è verificato nel corso degli anni tra il 1997 e il 2003, con milioni di morti.

 

Sono eroi, ma non lo sanno

«Costa (console italiano in Ruanda) è un uomo normale che ha saputo comportarsi in modo straordinario. Non aveva ambizioni di martirio, non si considera un eroe, non ritiene di aver fatto un granché. Non è il missionario che ha totalmente votato la vita agli altri, né il rambo pronto a opporre il proprio petto ai proiettili. Eppure quello che ha fatto Costa ha permesso di salvare oltre 500 ruandesi, portati in salvo con i convogli organizzati direttamente da lui, senza contare i 123 italiani, i belgi, gli svizzeri, i francesi e gli altri europei. E ha contribuito in modo determinante alla protezione e al salvataggio di un altro migliaio di bambini.

Mentre faceva questo, militari e interahamwe (bande di assassini che davano la caccia ai tutsi), ladri e sciacalli, l'hanno depredato e rapinato di tutto ciò che aveva. Costa ha perduto, in quei tre mesi, beni e mezzi per oltre 3 milioni di dollari. Le quattro aziende che aveva sono state spazzate via. E lui, nelle stesse settimane, elargiva mance a destra e a manca per ottenere i permessi, formare i convogli, superare i posti di blocco dei miliziani. All'inizio del genocidio aveva preso con sé il denaro delle casse delle sue imprese e quello che aveva in casa. Erano 300mila dollari. Alla fine, a luglio, gliene erano rimasti meno di mille. Aveva dato via tutto. Così dichiara: "Oggi, dopo dieci anni, posso forse dire che il mio cruccio non sono solo i brutti ricordi. La cicatrice che mi resta è il dubbio che potevo fare di più, potevo correre qualche rischio in più. Forse potevo farlo. Alcune persone straordinarie che ho conosciuto in quel periodo, loro sì, sono arrivate all'estremo delle loro possibilità. Io no. In questi anni mi sono convinto che avrei potuto fare di più"» (Pierantonio Costa e Luciano Scalettari, La Lista del Console, Ed. Volontari nel mondo FOCSIV). Il titolo La lista del Console, fa riferimento a Schindler’s list, il quasi miracoloso salvataggio di circa 1100 ebrei da parte dell'imprenditore Oskar Schindler.

Ma abbiamo altri esempi significativi. Il Dottor Mukwege per quindici anni fa fronte a un'urgenza perenne. Passando da un luogo all'altro, spesso affrontando le armi della soldataglia, soccorre migliaia di donne con le vagine squartate. E quando si appresta a tentare di ricucire la vagina distrutta di una piccola di tre anni, il dottore deve operare uno sforzo per bloccare il proprio cervello, la propria esasperazione, affinché la sua mano resti ferma e l'operazione risulti efficace.

Durante la cosiddetta prima guerra del Congo, padre Stefano Camerlengo si trovava proprio in mezzo all'offensiva dell'esercito di Laurent Désiré Kabila contro Mobutu. «Quando si sparse la notizia che i soldati di Kabila avrebbero bombardato Mont Ngafula, la gente cominciò a fuggire all'impazzata verso il fondovalle. Una fiumana di persone scendeva la collina, ciascuno tirandosi dietro i bambini, una pentola, due stracci, in una fuga frenetica e disordinata, per arrestarsi di fronte ai blocchi militari. A uno di questi blocchi non ricordo cosa sia successo: mi trovai inginocchiato per terra, con un mitra puntato alla testa. Un soldato urlava contro i bianchi, colpevoli di avere aiutato i ribelli. Non so quanto tempo restai in quella posizione: un minuto o un'eternità. Ricordo solo che, quando riaprii gli occhi, non vidi più nessuno attorno a me. Mi alzai di scatto e rincorsi la gente. E la gente mi circondò per dirmi: "Grazie, Padre, perché sei rimasto con noi"».

Le guerre del Congo hanno fatto registrare 3 o 4 milioni di vittime. Il genocidio ruandese e le violenze in Congo sono opera di decine di migliaia di autentici assassini. Ma gli eroi, eroi sconosciuti, sono molti di più. È un'intera nazione di eroi. Fanno notizia solo i criminali. Ma come non definire eroi coloro che ogni giorno lottano per sopravvivere aiutandosi a vicenda? E non si tratta solo delle atroci guerre che hanno insanguinato il Congo fino a pochi anni fa. Anche ora la violenza dilaga. Ma si tratta soprattutto della miseria, della malnutrizione, della mancanza di igiene. Kinshasa è un enorme immondezzaio. Nell'unico presidio sanitario del quartiere di Pakadjuma, molti sono sieropositivi, hanno già avuto il colera in passato e sono esposti a dissenteria cronica. Ci sono solo due latrine in muratura per una popolazione di diverse migliaia di abitanti. Le fogne sono un reticolato di acqua nera che straborda nella stagione delle piogge facilitando la diffusione di diarrea e vermi intestinali. Anche il più povero tra noi non riuscirebbe a vivere in tali ambienti. Loro ci vivono. Sono eroi.

 

19 dicembre 2016: massacro rinviato

A quella data scadeva il secondo (e ultimo, secondo la costituzione congolese) mandato di Joseph Kabila. Ma il presidente intende rimanere rinviando le elezioni. Il gruppo di opposizione più radicale, l'Apareco (Alliance des Patriotes pour la Refondation du Congo) il 5 dicembre 2016 lancia un appello per una mobilitazione generale e un'accanita resistenza contro l'usurpatore Kabila, strumento di Ruanda e Uganda. Infatti l'Apareco sostiene che Joseph Kabila non è il figlio di Laurent Désiré Kabila: il suo vero nome sarebbe Hypolite Kanambe, un ruandese. Una ricerca su wikipedia confermerebbe tale ipotesi. Tale situazione "fantapolitica" ricorda quanto avvenne in Russia circa quattro secoli fa, quando ben tre pretendenti sostenevano di essere Dimitri, figlio di Ivan il Terribile!

Il 18 dicembre, all'Angelus, l'invito di Papa Francesco: «Chiedo a tutti voi di pregare affinché il dialogo nella Repubblica Democratica del Congo si svolga con serenità per evitare qualsiasi tipo di violenza e per il bene di tutto il Paese». I vescovi congolesi riuniti esprimono il timore che la nazione sprofondi in una situazione incontrollabile. Quando giunge il fatidico 19 dicembre, la capitale Kinshasa è sotto assedio. Le comunicazioni via internet vengono bloccate. Soldati in assetto antisommossa stazionano agli angoli delle strade coi fucili pronti a sparare. Le case dei politici dell'opposizione sono circondate e decine di attivisti arrestati. Il messaggio è chiaro: «Restate in casa o rischiate una pallottola».

Infine, dopo lunghe trattative, sabato 31 dicembre 2016 si arriva a un accordo tra governo e la maggioranza delle opposizioni. Kabila resta al potere fino alle elezioni previste entro la fine del 2017: la transizione sarà cogestita tra governo e opposizione. Sia l'episcopato congolese che i rappresentanti dell'Onu in Congo si dichiarano soddisfatti. L'Apareco accusa di tradimento i firmatari dell'accordo. Ma, intanto, i disordini scoppiati nei giorni successivi il 19 dicembre fanno registrare circa 40 morti, secondo l'Onu. Quante vittime nel 2017?

Dario Oitana

 

I precedenti articoli sull'argomento sono stati pubblicati su il foglio nn. 435, 436 e 437.

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