Le elezioni presidenziali 2017, con le successive legislative, resterà un evento di grande rilevanza nella storia della Francia e molto probabilmente dell’Europa. Il 7 maggio 2017 i francesi hanno eletto il più giovane Presidente della 5° Repubblica, un uomo quasi sconosciuto al pubblico appena tre anni prima e guardato con sufficienza quando, 12 mesi fa, creò il suo movimento «En Marche!»: Emmanuel Macron. Dalla nascita delle istituzioni della V Repubblica è la prima volta che al secondo turno mancano allo stesso tempo sia il candidato dell'area " gollista (o della sua discendenza)" sia quello dell’area socialista. I partiti tradizionali “di governo” sono letteralmente caduti a pezzi. Il sistema elettorale a doppio turno ha virtuosamente condotto i cittadini francesi a essere protagonisti della scelta finale, e, nonostante l’alto numero di astensioni o di schede bianche, essi hanno risposto con responsabilità e coraggio. Dimostrandosi responsabili protagonisti di una democrazia matura, i francesi che sono andati a votare per le successive elezioni legislative hanno confermato le loro scelte offrendo al nuovo Presidente una schiacciante maggioranza parlamentare – mai più vista dai tempi di De Gaulle −; fedeli al principio per cui un governo deve essere messo in condizione di governare, ed essere poi giudicato sul suo operato.
I due candidati selezionati per il secondo turno − Emmanuel Macron e Marine Le Pen − prima ancora che due ideologie o due ispirazioni politiche. esprimono due atteggiamenti culturali e due visioni antropologiche opposte. Due antropologie che percorrono e dividono la Francia (e a ben guardare anchele principali democrazie europee e occidentali) in questo inizio di millennio, caratterizzato dall’irrompere della globalizzazione nella vita di tutti i cittadini della terra, e di cui gli occidentali non sono più i soli beneficiari, ma anche chiamati a pagarne il prezzo. Onore al merito di questo sistema elettorale per aver obbligato i francesi a guardare in faccia i propri fantasmi, a scavare nel profondo di paure e speranze, per poi scegliere da che parte schierarsi. Due antropologie relativamente facili da sintetizzare negli slogan: “In cammino!” da una parte; “Indietro tutta!” dall’altra.
La collera contro un mondo che non è più quello di una volta, il ripiegamento identitario su sé stessi, il rifiuto della novità e del cambiamento, la fede nelle formulette semplicistiche, la caccia alle streghe e ai colpevoli di tutto, la psicosi del complotto, non sono riconducibili esclusivamente all’espressione politica del Front National. Abitano in profondità il voto dell’estrema sinistra, occupano gli armadi della destra repubblicana come i salotti della sinistra frondista. Ritroviamo l’antropologia del “fermate il mondo, voglio scendere!” nel programma di Marine le Pen all’estrema destra (per es. la sovranità francese fuori dall’Unione Europea e dall’Euro; le frontiere nazionali; la “preferenza francese” e il protezionismo selettivo; il ritorno alla pensione a 60 anni e al precedente Codice del Lavoro), come in quello di Jean Luc Melenchon all’estrema sinistra (proibire i licenziamenti e abrogare la Riforma del Codice del Lavoro; rifiutare i Trattati Internazionali e uscire dall’Unione Europea e dall’Euro; adottare una politica protezionistica e ritornare alla pensione a 60 anni). Il che non significa che su altri punti (l’accoglienza di tutti i migranti per l’uno; l’espulsione di tutti gli islamisti per l’altra) le visioni siano poi radicalmente diverse.
Vi si è opposta una antropologia che guarda con coraggio il mondo in evoluzione, che accetta la sfida, che, per non rinunciare ai valori di fondo, sa di dover pagare un prezzo e cambiare profondamente. Una antropologia che fa lo sforzo di conoscere la verità, anche quando è complessa e sgradevole, di prendere dei rischi, di girare senza isterici rimpianti la pagina delle certezze dei padri, di sporcarsi le mani, di partecipare e prendersi la responsabilità, di proporre “come” fare. La forza del programma di Macron sta in questa antropologia, espressa da tremila gruppi di lavoro, cui hanno partecipato in maggioranza semplici cittadini e non politici di mestiere, e che ha prodotto proposte concrete invece di anatemi (per es. fissare obiettivi di risultato al Servizio Pubblico; introdurre l’apprendistato in ogni percorso scolastico professionale; lanciare un prestito senza ipoteca ai giovani agricoltori; creare un Quartier Generale Europeo per la Difesa).
Paradossalmente il confronto più aspro di queste due antropologie si è imperniato sulle modalità concrete di dare volto politico alla utopia della Solidarité, che campeggia sulla facciata di tutti i municipi di Francia. I francesi avevano la scelta fra ritornare al Codice del Lavoro del 2007, oppure andare ancora oltre la Riforma del 2017. Hanno scelto la seconda, l’opzione Macron. Hanno scelto il rischio e la flessibilità di privilegiare gli accordi aziendali alle sicurezze e rigidità dei dispositivi legislativi; hanno scelto di adattare i ritmi di vita a durate di lavoro variabili tra 35 e 44 ore settimanali in funzione degli accordi negoziati all’interno di ogni impresa tra imprenditori, sindacati e rappresentanti dei lavoratori. Hanno scelto di credere nella società civile prima che nelle regole imposte per legge. E hanno poi dato fiducia alle liste elettorali de La Republique en Marche (LRM, il movimento di Macron), composte di candidati al Parlamento equamente e accuratamante ripartiti tra uomini e donne, politici di professione e cittadini senza esperienza politica.
I francesi avevano la scelta tra mantenere l’esclusivo beneficio dell’assegno di disoccupazione a categorie ben precise (i soli francesi per alcuni, i soli lavoratori dipendenti licenziati per altri), oppure trasformare l’assegno di disoccupazione in un diritto di tutti i cittadini, limitato nell’importo e nelle modalità di attribuzione. Hanno scelto la seconda opzione, quella di Macron. Hanno scelto di fare un passo in avanti, invece di un passo indietro. L’assegno di disoccupazione è nato per proteggere i salariati che perdono il lavoro; in un mondo in cui i salariati diminuiscono inesorabilmente, mentre aumentano i lavoratori indipendenti (specie quelli che guadagnano poco) è urgente trasformare la solidarietà di categoria in solidarietà di cittadinanza. Una scelta antropologica progressista, la scelta della maggioranza degli elettori francesi. Forse la maggiore sfida a venire non risiederà tanto nella traduzione in riforme delle promesse elettorali, quanto nella capacità di recuperare alla vita politica, sociale, produttiva o alla vita “tout court” tutti i perdenti della globalizzazione che hanno espresso il loro disagio con i voti “Indietro tutta” di estrema destra e di estrema sinistra, o ingrossato a dismisura le fila degli astensionisti.
L’elezione di Emmanuel Macron a 8° Presidente della Repubblica francese non è solo un terremoto nel sistema dei partiti tradizionali è un giro di boa cultural-antropologico, un alzare lo sguardo verso orizzonti ancora tempestosi, ma affrontati con la volontà di riuscire a traghettare valori e principi in un mondo aperto e nuovo.
Stefano Casadio |