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chiesa
444 - Uno sguardo sulla religiosità ortodossa romena / 1 |
«Cristo è risorto! Veramente è risorto!»
Aprile 2017, dalla domenica delle Palme alla domenica di Pasqua. Come per gli antichi cristiani, la settimana che finisce con la resurrezione di Gesù è anche oggi centrale per la fede e vissuta con intensità dai credenti, compresi gli emigrati di ritorno. Marginea e cinque monasteri (Putna, Sucevitsa, Moldovitsa, Humor, Veronet) raggiungibili in meno di un’ora d’automobile. |
Marginea si trova nell’arco dei Carpazi, in Bucovina, al confine con la Moldavia romena. Sta diventando oggi un paese molto grande per lo sviluppo dovuto alle rimesse degli emigrati a Torino e al ritorno più o meno definitivo di una parte di loro. La casa che ci ha ospitati è quella di Dumitru e Parascheva Boicu, genitori di mia nuora Valerica. È una piccola casa contadina, simile alle altre del quartiere: ci sono la stalla con una mucca e due maiali, il fienile, la legnaia, il pollaio, un cortile, un frutteto, l’orto e un campo. Gli altri due campi, lontani da casa, sono raggiungibili in bicicletta, unico mezzo di trasporto usato da Dumitru. Tra le migliorie apportate, ora c’è l’acqua in casa e questo ha permesso la costruzione del bagno, un anno fa. Sulle pareti interne della casa ci sono molte immagini di storia sacra (Gesù, Maria, episodi della vita di Gesù); i soggetti corrispondono a quelli dei monasteri, solo che queste risalgono agli ultimi decenni.
Settimana santa
Quanto detto fin qui serve a collocare nel suo ambiente di vita il padre di Valerica, Dumitru, la cui religiosità ho attentamente osservato. Non so una parola di romeno; tutto quello che ho potuto capire della famiglia Boicu e della realtà religiosa di questo piccolo pezzo di Romania lo devo a mio figlio, che come antropologo delle migrazioni ha svolto in passato qui una sua ricerca, e a mia nuora Valerica, che ha vissuto questa realtà in modo consapevole fin da piccola. Sono stati per me traduttori e interpreti.
Durante la settimana santa Dumitru, mentre svolgeva i suoi compiti quotidiani, ha digiunato in modo rigoroso mercoledì e venerdì: né cibo né acqua per tutto il giorno. Quando era presente al pasto serale ha recitato insieme a noi tutti, in piedi, il Padre nostro, prima di toccare il cibo. Nel pomeriggio del venerdì è andato nella chiesa del suo quartiere a compiere, in fila nella navata con tutti gli altri, noi compresi, il rito prescritto. Al centro della navata che normalmente è vuota, perché nelle chiese ortodosse non ci sono banchi e si sta in piedi per tutto il tempo della messa, è stato messo un altare spoglio: un tavolo alto con il Vangelo da una parte e un’icona della crocefissione dall’altra. Dopo il bacio e la prostrazione alle due icone, si passa sotto l’altare, chinandosi, e si ritorna al punto di partenza girando intorno al tavolo. Tre sono i passaggi sotto l’altare, tre i giri attorno, molte le prostrazioni e i segni di croce. Tutti, bambini, adulti e anziani, sfilano composti e in silenzio nella navata spoglia ma non lugubre, a causa delle icone sfavillanti d’oro che coprono le pareti laterali.
Dopo la nostra cena da venerdì santo, Dumitru che non vi ha partecipato, ci interpella, «Se volete, possiamo parlare della storia della religione». Il racconto è durato più di un’ora. Creazione del mondo e dell’uomo, maschio e femmina; il serpente e la cacciata dall’Eden fino alla nascita di Caino e Abele. Qui è cominciata la storia di Maria da Gioacchino e Anna fino all’Annunciazione, tale e quale è raccontata dagli affreschi dei monasteri dipinti. Poi, dal Vangelo di Luca, la nascita di Gesù, i Magi, la strage degli innocenti, la fuga in Egitto… A questo punto Dumitru è passato direttamente alla passione e morte di Gesù e qui si è fermato. La precisione delle immagini e la fermezza del raccontare, la naturale mescolanza tra vangeli canonici e apocrifi comunicavano, a chi ascoltava, una sensazione di sicurezza: non mito, ma storia sacra. Dice mia nuora che è così per molti margineani, anche quelli delle generazioni venute dopo suo padre.
Per la mezzanotte del sabato Dumitru era nella sua chiesa per la festa della Resurrezione. Sono in grado di raccontarla avendola vissuta contemporaneamente nel monastero di Sucevitsa, raggiungibile da Marginea solo con l’automobile. Prima della mezzanotte nella chiesa gremita i fedeli sono in attesa in piedi; tutti hanno in mano lo stesso lumino rosso, per ora spento. I canti alternati del coro maschile e di quello femminile accompagnano l’azione liturgica. Si sciolgono le campane della Resurrezione, il timbro dei canti cambia e avanzano i preti tra le due ali di fedeli: portano i lumi appena accesi e avviano l’accensione dei lumi vicini, che poi si propaga a tutti gli altri. Con la piccola luce in mano si fanno tre giri all’esterno della chiesa. Si rientra per la messa dell’alba pasquale. Finita la messa, Dumitru è andato come tutti al cimitero vicino, dove ci sono le tombe dei suoi e là ha deposto il suo lume, speranza di resurrezione per quelli che sono tornati al Padre. Quest’ultima parte del rito che ho vissuto nel grande cimitero di Sucevitsa (tante croci quasi uguali, altrettanti lumini rossi sui tumoli) mi ha trasmesso un’evidenza visiva della fede nella resurrezione dei morti.
Dumitru è tornato a casa quasi tre ore dopo la mezzanotte. Alle cinque si è alzato e ha trovato il cesto con il cibo della festa (carne cotta, uova sode colorate e i dolci della tradizione) preparato sabato da Parascheva, Valerica e Ani, la sorella, lavorando fino a notte fonda. Questo cibo deve essere benedetto in chiesa prima di essere consumato nel pasto pasquale. Nella mattinata Dumitru si è occupato degli animali ed è venuto con noi a portare la luce sulle tombe degli antenati di Parascheva nel paese vicino. Poi, tutti insieme, abbiamo festeggiato con un ricco pasto.
Mi ha colpito la serenità con cui Dumitru intreccia la fede al suo quotidiano: con semplicità e naturalezza, pur sapendo di essere tra persone come noi, diversamente credenti o non credenti. Pare che a Marginea ce ne siano altri simili a lui per la fede. Dumitru ha anche partecipato, martedì, alla visita che tutti noi abbiamo fatto all’eremita Efrem. Per lui era il primo incontro, mentre moglie e figlie lo conoscono da tempo.
Preti, monaci, eremiti
In Bucovina ci sono tre gruppi di religiosi, diversi tra loro per funzioni e stili di vita. I preti, che si sposano, hanno funzioni simili a quelle dei nostri parroci di paese in passato: celebrano la messa, amministrano i sacramenti, nelle omelie trasmettono norme etiche, vivono in mezzo alla gente, consigliano i fedeli. Alcuni preti, per scelta personale, sono più simili ai monaci nello stile di vita. Ci sono anche preti veggenti e preti esorcisti. Questi ultimi agiscono contro il diavolo, la cui presenza nel mondo è riconosciuta da tutti, preti, monaci, credenti e non credenti. Il diavolo si combatte con la preghiera e il digiuno: il prete esorcista, infatti, digiuna tre giorni prima di entrare in azione.
I monaci non vanno tra la gente, ma aspettano i fedeli nei monasteri. Pregano molto, con Gesù come modello, e cercano la purità del cuore. Praticano digiuni purificatori e testimoniano l’umiltà. Molte le prostrazioni nell’arco della giornata; un novizio, ad esempio, deve farne quaranta al mattino e quaranta la sera. Vivono in comunità. Le stesse regole e stili di vita nei monasteri femminili. Ho conosciuto due monache, Teofana e Tecla, nel monastero di Humor che hanno la stessa età di mia nuora quarantenne. Nel monastero di Putna abbiamo incontrato il monaco Serafino di soli venticinque anni. Queste età fanno riflettere sulla diversità del monachesimo da noi, oggi.
Tullia Chiarioni
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