Dopo le elezioni amministrative e regionali siciliane, stiamo forse assistendo a un’altra resurrezione politica di Berlusconi? Analizzando i risultati parrebbe di sì. Probabilmente alle prossime elezioni politiche Berlusconi non sarà candidabile e Forza Italia è ben lontana dalle percentuali raggiunte nelle precedenti elezioni, e questo lascia aperto il problema della leadership del centrodestra: sarà un moderato proposto da Berlusconi o direttamente Salvini o Meloni? Ma la maggior capacità di fare coalizione del centrodestra e la nuova legge elettorale con un terzo di maggioritario non lasciano dubbi sul più che probabile risultato elettorale. Al Movimento 5 Stelle resterà la soddisfazione di essere il primo partito, ma difficilmente riuscirà a trovare alleati per formare il governo. Il Pd, scontando dopo la batosta subita al referendum di essere sconfitto, cercherà in ogni modo di impedire al centrodestra di raggiungere la maggioranza, costringendolo così a fare una grande coalizione con lui. Neanche per i partitini a sinistra del Pd le prospettive sono rosee. Per avere un peso che non sia pura testimonianza dovrebbero presentarsi uniti, e già questo non sarà facile da realizzare. Ma anche così il loro potere di attrazione è molto ridotto: la classe media ha paura che il loro programma di aumento delle spese pubbliche comporti anche un aumento delle tasse, la famigerata patrimoniale, e il ceto popolare è contrario alla loro apertura all’immigrazione. Il loro obiettivo dichiarato è recuperare tutti gli elettori di sinistra che, delusi, si sono rifugiati nell’astensione che ha superato ormai la metà del corpo elettorale. Ma le elezioni siciliane ci danno una chiara indicazione: pur in presenza di una candidatura forte e molto significativa come quella di Fava, l’astensione non solo non si è ridotta, ma anzi è aumentata. La lista di sinistra ha avuto un risultato molto deludente. Dietro questo fallimento si nasconde una percezione che si diffonde tra gli elettori più attenti, particolarmente di sinistra: le istituzioni italiane hanno ormai ben pochi poteri su ciò che è importante, contano molto di più quelle dell’Unione Europea, quelle delle altre grandi potenze, i centri finanziari, l’industria globalizzata. Questi poteri appaiono lontani e non condizionabili con elezioni marginali come quelle italiane.
Così il panorama che contempliamo è alquanto desolante, perciò forse è il caso di allargare lo sguardo per vedere il contesto generale in cui si svolge questa nostra piccola commedia. Nel mondo è in atto un profondo rivolgimento. Grandi masse, miliardi di persone, che per secoli sono vissute ai margini della storia, fatte schiave, sfruttate, depredate, premono in ogni modo possibile per ottenere il loro posto nella società moderna, per godere di una parte della ricchezza che concorrono a produrre, per far sentire la loro voce e tutto questo si deve realizzare cercando nello stesso tempo di non distruggere l’equilibrio ecologico in cui viviamo. Siamo di fronte a una vera rivoluzione e, come tutte le grandi rivoluzioni, non si presenta come un pranzo di gala. Avviene nel disordine, senza una chiara coscienza della strada da percorrere né una direzione politica. Perciò è contraddittoria, con grandi scoppi di violenza e un pesante contributo di sangue, aperta a tutte le possibilità, anche le più tragiche.
Immerso in questo movimento l’Occidente ha perso la sua centralità, anche se stenta a prenderne coscienza e accettarlo: non è più lui che decide le sorti del mondo. Da qui lo smarrimento e la rabbia che si respirano nei nostri paesi. In questa temperie agli intellettuali occidentali tocca un compito importante: quello di studiare e approfondire la realtà per fare buona informazione e spiegare quello che sta avvenendo sotto i nostri occhi, ma molti non riescono o non vogliono vedere e pungolare gli uomini e le donne di potere affinché non si attardino con ideologie irrimediabilmente obsolete o cercando ingannevoli scorciatoie, ma prendano giuste decisioni per facilitare questo difficile parto.
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