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editoriali
Molto si è parlato nelle scorse settimane della vicenda della nave Aquarius, bloccata al largo di Malta con 600 profughi a bordo, e del censimento dei rom, proposta dal ministro Salvini per rinfocolare l’odio dei suoi elettori verso “l'altro”, caso mai tale odio rischiasse di attenuarsi. Proviamo dunque a riflettere su questo momento politico a partire dalla relazione che il 17 giugno, presso la comunità monastica di Bose, è stata tenuta dall’ex direttore di «Repubblica», Ezio Mauro, dal titolo «Vivere la polis oggi». Inevitabilmente l’intervento si è incentrato sulla situazione che sta attraversando l’Europa (e con essa l’Italia), e cioè su come fronteggiare una delle ondate migratorie più consistenti e lunghe degli ultimi decenni. Mauro ha introdotto l’argomento partendo dall’episodio biblico di Gen 4,9: il confronto tra i due fratelli Caino e Abele. Quando il Signore chiede a Caino dove sia suo fratello Abele, la sua risposta è spiazzante: «Non lo so. Sono forse il custode di mio fratello?». Emerge qui il concetto di responsabilità, uno dei pilastri della politica e delle democrazie occidentali, fondate per offrire ai membri delle varie comunità garanzie e diritti che non si possono mettere in discussione. Tali principi non derivano di per sé da un credo religioso. Sono la base dell’etica che contraddistingue le democrazie (e che non si trova infatti nei regimi dittatoriali). Purtroppo sembra che oggi questo senso di responsabilità sia venuto a mancare, persino nei politici scelti a ricoprire le cariche più alte dello stato. Mauro ha citato per es. l’episodio dell’ex presidente degli Stati Uniti Bill Clinton, che, quando si trovò di fronte al Gran Giurì per rispondere del caso Lewinsky, alla domanda «Perché lo fece?», rispose candidamente: «Perché avevo il potere di farlo». Un potere che, secondo qualche presidente Usa, non risponde ad altri che a se stesso. La politica deve al contrario intercettare le inquietudini dei cittadini, risolverle e non alimentarle ad arte. Esattamente il contrario di quello che sta accadendo in molti Paesi dell’Europa, compreso il nostro. In Italia le ultime campagne elettorali hanno usato come cavallo di battaglia i problemi derivanti da una massiccia immigrazione dai Paesi africani e asiatici. Problemi che possono portare alla percezione da un lato di insicurezza crescente e dall’altro alla sensazione di offrire dei privilegi agli immigrati e di offrirli a scapito degli “indigeni”. Purtroppo, sostiene Mauro, facendo leva sull’interesse, l’ideologia di destra sta diventando «senso comune», mentre i partiti di sinistra nicchiano e hanno fallito nel loro scopo di presentarsi come sostenitori dei lavoratori e delle classi disagiate. Recentemente è stata messa in discussione la Convenzione di Dublino (il trattato internazionale multilaterale in tema di diritto d’asilo) e gli stati europei, che fanno parte del gruppo di Visegrad (Rep. Ceca, Slovacchia, Polonia, Ungheria), sono intenzionati a non entrare nella spartizione delle quote di migranti. L’Ungheria ha addirittura votato negli ultimi giorni una modifica alla sua Costituzione in cui si afferma che diventa illegale dare asilo e aiuto agli immigrati. Purtroppo sembra che a questo gruppo potrebbero aggiungersi anche Austria e Italia. Emblematico, secondo Mauro, quel che è successo a Gorino, un paesino del delta del Po: gli abitanti si sono rifiutati di accettare nella loro comunità 12 donne africane con i loro bambini. La motivazione? «Qui non c’è niente neanche per noi». Si potrebbe obiettare che nei paesi occidentali si ha fin troppo a propria disposizione e si spreca anche molto; quindi che con una più equa ridistribuzione delle ricchezze si potrebbe vivere meglio tutti, “indigeni” e “forestieri”. Detto ciò, bisogna riconoscere che i problemi reali della gente comune comunque sussistono: la difficoltà di vivere nelle periferie delle grandi città, la precarietà quotidiana per mancanza di lavoro, la crisi economica che ci attanaglia ormai da un decennio. In particolare, Mauro indica come compito dell’Europa e dunque dell’Italia garantire il lavoro e le opportunità per ottenerlo. Il migrante − che sia uno sfollato a causa dei cambiamenti climatici o un rifugiato che scappa da una guerra − come tutti anela innanzitutto alla libertà. Solo in un secondo momento, scopre di avere la facoltà di accedere ai diritti di cui godono tutti i “garantiti” delle democrazie, cioè di noi cittadini della polis. Le democrazie possono perfino prevedere qualche ingiustizia, ma non le esclusioni e offrono garanzie ai membri della comunità. Gli immigrati vengono trattati dalle miopi campagne di respingimento come corpi, come numeri e non come persone ed esseri umani; si svaluta così a grandi passi il valore universale dei principi delle democrazie e si rischia di far fiorire anche in Europa la tesi dell’«uomo bianco», che Mauro definisce «figura biopolitica», come già successo in passato in Sudafrica con l’apartheid e negli Stati Uniti con la segregazione razziale. È un’epoca la nostra in cui i vincenti (i ricchi) credono di poter fare a meno dei perdenti (i poveri) e questi sono lasciati andare alla deriva. Fin qui Mauro. Se però un giorno tutti i perdenti (in questo caso tutti i non italiani, coloro che sono temuti perché "ci portano via lavoro, cultura e identità" si fermassero, incrociassero le braccia, addirittura se ne "tornassero a casa loro", il nostro mondo “di ricchi o para-ricchi” si sfascerebbe in un attimo. Non solo perché i "ricchi" non sanno vivere senza il lavoro dei "poveri", ma anche perché uno è ricco in contrapposizione a uno che è povero e perché è in questa "distanza" che risiede il privilegio tanto amato e difeso. Per essere ricchi i ricchi hanno bisogno dei poveri.
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