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 343 -I N MARGINE ALLA VITTORIA DI SARKOZY

 

PER LA COSTITUZIONE DI UNA NUOVA SINISTRA

La vittoria di Sarkozy alle presidenziali francesi e poi alle legislative, ripropone con forza un problema che già da qualche anno si dibatte in tutta Europa e in particolare in Italia: il superamento in politica dei concetti di destra e sinistra

Nel programma di Sarkozy infatti, oltre a temi tipici della destra come più sicurezza, possibilità di aumentare l’orario di lavoro per poter aumentare il salario, più competitività, allungamento della vita lavorativa, si trovano anche temi quale l’ecologia, il problema dello sviluppo della sponda sud del Mediterraneo, la povertà dell’Africa.

Appena eletto, Sarkozy ha confermato questo programma parlando, la sera stessa dell’elezione, di inquinamento e di necessità di politiche per ridurlo, di collaborazione con i paesi del Maghreb e della grave situazione dell’Africa bisognosa di aiuto, e scegliendo, dieci giorni dopo per il suo nuovo governo, tre ministri di tendenza socialista, tra cui quello degli esteri Bernard Kouchner (subito espulso dal partito socialista), esperto di Africa, cofondatore di «Medici senza frontiere» e organizzatore di varie missioni umanitarie nei paesi più poveri.

Ed è proprio nel confronto tra politica globale e locale che la distinzione tra destra e sinistra, chiara dal punto di vista ideologico, si fa confusa a tutto vantaggio della destra che appare più concreta, meno contraddittoria e quindi più credibile della sinistra. Vediamo perché.

 

Sfruttamento e falsa coscienza

Dal marxismo abbiamo appreso che l’accumulazione del capitale su cui si è basata la rivoluzione industriale è in gran parte avvenuta attraverso lo sfruttamento dei contadini inurbati senza mezzi di produzione, costretti a vendere la loro forza lavoro. Divenuto imperialismo, il capitalismo ha esteso lo sfruttamento a tutto il mondo e, grazie alla super-accumulazione così realizzata, ha potuto investire in ricerca e avere i capitali per costruire potenti società industriali.

Questo stesso sfruttamento però ha permesso il continuo miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori occidentali, l’aumento dei consumi privati e pubblici, e infine la costituzione dello Stato del Benessere in cui lo Stato si preoccupa di ridurre al minimo i rischi e le difficoltà dei propri cittadini, dal momento della nascita a quello della morte, utilizzando il prelievo fiscale ottenuto dagli alti profitti e dai redditi crescenti (in Italia per la debolezza del tessuto industriale meridionale lo Stato è ricorso anche ampiamente al debito).

Ogni volta che i sindacati ottenevano un miglioramento salariale o normativo, il padronato non faceva che scaricarlo sui paesi sottosviluppati, aumentandone lo sfruttamento, delle risorse agricole prima, e poi energetiche, mentre la forza militare ne garantiva la soggezione. La classe operaia ha quindi anch’essa usufruito e partecipato, seppure senza rivendicarlo, a questo sfruttamento. Mi sembra perciò che nella politica della sinistra ci sia sempre stata una falsa coscienza, che però è stata, almeno fino alla fine degli anni Sessanta, mascherata dall’esistenza del campo comunista. La spinta infatti a ottenere la redistribuzione tra gli operai di almeno una parte dello sfruttamento del mondo sottosviluppato era accompagnata dall’appoggio all’Unione Sovietica in vista di una rivoluzione comunista mondiale che avrebbe eliminato lo sfruttamento. La contraddizione però c’era.

 

La critica rivoluzionaria

Già dai primi anni della dittatura di Stalin, i trotzkisti avevano criticato il principio del socialismo in un solo paese che, ritardando indefinitamente la rivoluzione mondiale, avrebbe compromesso l’eliminazione dello sfruttamento.

Negli anni Sessanta, grazie anche alla critica maoista, un movimento consistente e variegato, con estrema lucidità, aveva individuato la contraddizione di fondo della sinistra europea, fino ad arrivare, nelle frange più estreme, a indicare nei sindacati e nei partiti comunisti occidentali il nemico principale della rivoluzione (da qui il passaggio al vicolo cieco della lotta armata).

Il venir meno dei regimi comunisti ha ora tolto tutti i veli e fatto emergere in piena luce la contraddizione: le politiche di miglioramento o anche solo di difesa delle condizioni privilegiate di vita dei lavoratori dei propri paesi, sono incompatibili con il miglioramento delle condizioni di vita dei popoli dei paesi poveri e contemporaneamente con la difesa dell’ambiente e l’uso oculato delle risorse.

 

La sinistra oggi

La sinistra occidentale, senza più alibi, appare oggi tragicamente divisa in due campi contrapposti nell’affrontare questa contraddizione: la maggioranza, che si definisce riformista, continua come prima ad ignorarla, però senza più riferimento a un campo comunista, diventa sempre più moderata ed è sempre più difficile distinguere la sua politica da quella della destra; la minoranza che l’ha invece chiaramente individuata, la risolve semplicisticamente condannando la civiltà e il sistema occidentale, ignorando i problemi, gli interessi legittimi, le aspettative e la situazione reale dei nostri paesi, proponendo politiche punitive ed estreme, che la relegano in una minoranza permanente senza possibilità di diventare maggioranza, condannandola quindi a una funzione di testimonianza impolitica.

La situazione è resa ancora più tragica dalla debolezza o assenza totale di movimenti di sinistra riformista nei paesi poveri e in particolare in Africa, con cui la sinistra europea possa allearsi. Il caos è il più totale: si va da gruppi terroristici di matrice religiosa o criminale a dittature populiste, personali o militari, a governi fantoccio manovrati da interessi esterni a ibridi ipercapitalistici e dittatoriali come Cina o Russia. Così, mentre la sinistra maggioritaria si ritira indignata di fronte a questo caos e si isola sempre più dai movimenti dei paesi poveri, l’altra sinistra rischia di trovarsi fiancheggiatrice di movimenti e personalità inaccettabili, e quindi si isola sempre più in Occidente.

La destra naturalmente non ha di questi problemi: non ha mai sentito l’uguaglianza come un valore, non ha mai nutrito speranze rivoluzionarie, ha sempre deriso le utopie, il concetto di imperialismo gli è estraneo, crede all’egemonia e alla forza, non ha bisogno di nessuna sponda con i paesi poveri che preferisce controllare direttamente o indirettamente. Perciò la sua politica è molto più credibile, concreta e facilmente comunicabile di quella della sinistra perché parte dalla constatazione della situazione reale del mondo e si basa su una convinzione profonda e ben radicata: per primeggiare bisogna impegnarsi molto, fare sacrifici, essere forti e pronti a difendere le proprie conquiste contro tutti coloro che ce le insidiano. Dopo di che, si può anche essere generosi, cercando di accogliere le richieste ragionevoli degli altri popoli per evitare, per quanto possibile, lo scontro.

 

Una nuova internazionale socialista

Dopo il fallimento dell’alternativa globale comunista, già chiaro molto prima della fine dell’Urss, esiste un solo modello di globalizzazione: quello della destra che ha come obiettivo il mantenimento dell’assetto attuale del mondo, lasciando carta libera ai poteri che già lo dominano, senza porsi il problema di cosa avverrà dopo.

Se vuole veramente proporre un programma alternativo alla globalizzazione capitalistica, la sinistra deve rifondarsi anch’essa su scala globale, non essendo assolutamente sufficiente l’internazionale socialista, accozzaglia eterogenea di partiti interessati solo alla politica nazionale, senza alcun programma comune per una società mondiale più equa. Il compito più urgente che questa nuova Internazionale deve porsi è quello di aiutare e far crescere movimenti e partiti democratici e progressisti nei paesi poveri, favorendo la leadership di personalità di rilievo e di grande spessore culturale. Questo è l’unico modo accettabile ed efficace per sviluppare la democrazia nel mondo.

Questa nuova sinistra deve essere contemporaneamente realista e progressiva, partendo dall’analisi della situazione del mondo di oggi senza fughe in avanti, ma ferma negli ideali e tenace nel perseguirli, elaborando una politica in grado di dare speranze ai popoli diseredati senza apparire punitiva verso quelli occidentali. È inutile favoleggiare di sistemi di natura, vie diverse dal capitalismo o di rivoluzioni che eliminino guerre, sfruttamento, ingiustizie ecc, è «sufficiente» che un governo mondiale di sinistra metta regole e limiti all’economia di mercato e costruisca un efficiente sistema fiscale globale, in grado di finanziare un sistema di sicurezza sociale a livello mondiale e di ridistribuire la ricchezza prodotta.

La nuova sinistra non dovrebbe nascondere alla popolazione dei paesi occidentali i sacrifici e le rinunce che il riequilibrio economico comporteranno, potrebbe però con successo sostenere che questi sono prezzi più che ragionevoli da pagare per avere un mondo più pacifico, più ordinato, più giusto, più vivibile per tutti, soprattutto per le classi più deboli e per i lavoratori che sono quelli che soffrono di più l’insicurezza, l’incertezza e la concorrenza dei disperati del resto del mondo.

Anche per le istituzioni, non è necessario opporsi frontalmente a quelle che già ci sono, come il G8 o la Banca Mondiale, e immaginarne delle nuove completamente diverse, basta cambiarne la politica e utilizzarle per un riequilibrio globale.

Si tratta di ripercorrere a livello mondiale la strada che il movimento socialista ha percorso nell’Ottocento nei singoli paesi occidentali: all’inizio il movimento operaio si opponeva e combatteva contro le istituzioni statali, considerate strumenti in mano al nemico di classe per sfruttarlo, poi ha capito che poteva utilizzarle, dopo averle conquistate democraticamente, per il miglioramento della propria condizione, fino a fare dello Stato un caposaldo della propria politica.

La costituzione di questa nuova sinistra sembra una scommessa persa in partenza, ma speriamo che le difficoltà crescenti in cui i movimenti e i partiti di sinistra si trovano nei nostri paesi e le sconfitte sempre più gravi come quella francese alla fine facciano superare ideologismi, particolarismi, tatticismi, piccoli interessi di bottega e timori, così come la sterile polemica se le sconfitte siano dovute a un programma troppo moderato o troppo radicale, e convincano i gruppi più avveduti e le personalità più aperte e lucide, che non mancano, a mettere mano a un necessario, profondo rinnovamento. In mancanza di esso la sinistra, nelle sue due componenti, moderata e radicale, è destinata al disfacimento o all’irrilevanza e con lei svanirà per lungo tempo la speranza di dare uno sbocco politico democratico e progressista alle contraddizioni del mondo.

Angelo Papuzza

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