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chiesa
454 - In margine alla viganeide |
Ancora su scandali e sessualità nel clero
Ciclicamente si torna a parlare dello scandalo della pedofilia nella chiesa. Questa volta l’accusa non proviene da vittime, avvocati, procure o giornali più o meno laici e secolarizzati, ma dai vertici del clero. |
È chiaro che si tratta di un attacco politico a Francesco e proprio per questo è altrettanto chiaro che chi si straccia le vesti scandalizzato non lo fa preoccupato per le vicende che denuncia e le persone coinvolte, ma le utilizza in modo strumentale per i propri fini. Un destino beffardo quello delle vittime della pedofilia del clero, perché doppiamente usate: prima sessualmente e poi politicamente. La richiesta di dimissioni del vescovo di Roma da parte di mons. Carlo Maria Viganò, nunzio negli Stati Uniti, è sufficiente a far passare tutto il resto in secondo piano, ma anche in mancanza di risvolti clamorosi come questo, il ciclo dello scandalo di solito prevede che si passi rapidamente a parlare d’altro: omosessualità, attacchi alla chiesa, celibato del clero, ruolo della donna, seminari,ecc. Da più parti si alza fatalmente una cortina fumogena di problemi che nasconde un problema preciso e circostanziato: nella chiesa è ricorrente l’abuso sessuale da parte di membri del clero su minori, e la cosa, se trapela, resta per lo più impunita. Siccome anch’io, seguendo la polemica del giorno, passerò ad altri temi, ho ritenuto opportuno sottolineare fin dall’inizio che, in tutto questo, ci sono delle vittime e un sistema corrotto che non possono essere dimenticati.
Il problema è complesso, certo, e di non facile soluzione, ma sarebbe bello vedere un tentativo serio e sistematico di comprensione e contenimento. Ci sono persone disturbate nel clero (più che altrove? se sì, sarebbe utile interrogarsi seriamente sui motivi: perché entrano? perché restano?) che prestano servizio a contatto con le potenziali vittime e lo fanno protette dal prestigio dell’istituzione e in un clima di totale fiducia che comprende sia le vittime sia i familiari di queste. L’autorevolezza dell’istituzione è tale che persino le persone più vicine e in buona fede, i familiari, accecati da una fiducia malriposta, possono non riconoscere l’evidenza di relazioni distorte e malate.
Quando poi la cosa emerge sembra impossibile, ma è la materia in sé a essere sfuggente. I due protagonisti, l’abusato e l’abusante, hanno un solo aspetto in comune: che del loro segreto preferiscono non parlare, ovviamente per motivi diversi. Per il resto non sono mai pari: uno è piccolo, solo, confuso e, se parla, timoroso e poco credibile; l’altro è adulto, autorevole, padrone del discorso e al di sopra di ogni sospetto. La vicenda si svolge in clandestinità, senza testimoni, e tutto è interpretabile, almeno fino a un certo punto – ma anche questo punto per mille motivi può essere spostato molto avanti, troppo. Qualcosa emerge solo se e solo quando qualche vittima è in grado di comprendere che un punto ci sia e sia stato superato, e allora sta all’ambiente in cui avviene la confessione dare ascolto, capire ed eventualmente assumersi la responsabilità di agire. Se poi la cosa giunge all’orecchio della struttura istituzionale della chiesa (non è affatto detto, perché i primi confidenti, amici, compagni, familiari potrebbero non essere abbastanza forti o anche solo in grado di capire), essa reagisce spesso per riflesso condizionato come dovesse difendere sé stessa e per prima cosa protegge i suoi. A seconda dei casi e dei particolari emersi si esclude con fermezza (magari con indignazione per l’infamante insinuazione), si cerca di far ragionare, di comprendere gli evidenti malintesi, si dubita (unilateralmente), si giustifica, si distribuisce la responsabilità sulla vittima, si minimizza, poi si tace, non si comunica, non si trasmette, si aspetta, si rimanda, si insabbia, se necessario si diffama, si intimidisce e si minaccia. Uso l’impersonale perché i soggetti e le responsabilità dileguano dietro uffici, cariche, incarichi, indagini, verifiche, responsabili che non rispondono. I pochi soggetti individuabili, se dicono, sono volutamente vaghi e non si capisce mai che cosa dicano, basti ricordare il più importante: Ratzinger e la celebre inquietante vaghezza della «sporcizia nella chiesa». Raramente il linguaggio del clero si ispira all’evangelico «sì sì, no no». Perché non dire pane al pane? L’ambiguità fumosa che cosa persegue? Che cosa difende prima di tutto? Chi o che cosa ha realmente a cuore? Chi o che cosa protegge? Le vittime o i responsabili? I responsabili o i responsabili dei responsabili?
C’è poi – e qui come preannunciato devio –, incomprensibile, la confusione fatale e sistematica tra pedofilia e omosessualità. Non si capisce perché si debbano sempre confondere due fenomeni così diversi: un reato sessuale e un orientamento sessuale. Probabilmente l’omofobia dell’istituzione finisce per attribuire i comportamenti più disdicevoli agli omosessuali, mentre è noto che la pedofilia riguarda anche gli eterosessuali, che peraltro sono anche più numerosi. Potrà non piacere, ma l’omosessualità prevede rapporti affettivi più o meno sessuati tra adulti liberi, consapevoli e consenzienti esattamente come nel caso della sessualità etero.
Il mondo laico si scandalizza della pedofilia, non dell’omosessualità dei preti. Questa, semmai, è un problema per loro; e anche un doppio problema, verrebbe da dire, dato che in teoria il celibato dovrebbe rendere pressoché irrilevante l’orientamento sessuale dell’ordinato. Al contrario, leggendo ciò che proviene dal mondo religioso conservatore, sembra che lo scandalo riguardi più l’omosessualità che la pedofilia. Pare che il problema sia di non potersi fidare di un clero corrotto in quanto infiltrato di omosessuali. La violenza sui minori passa decisamente in secondo piano e, nella confusione tra pedofilia e omosessualità, chi denuncia sembra stigmatizzare le perversioni dei carnefici più che indignarsi per la sofferenza delle vittime.
Nel documento di mons. Viganò emerge persino una curiosa interpretazione politica della questione: vescovi e cardinali si dividerebbero tra destra e sinistra, dove sinistra vuol dire pro-omosessuali (ed evidentemente destra vuol dire contro). Non è facile seguire questo tipo di percorsi mentali, ma di solito in questi casi aiuta l’intento polemico. Visto che il bersaglio è papa Bergoglio (e con lui il Concilio), probabilmente tutto ciò che è percepito come degenerato è attribuito alla sinistra intesa in senso lato come l’immenso orizzonte di modernità e secolarizzazione in cui rientra sicuramente anche il Vaticano II. Sembra di capire che tutti i mali vengano da lì; peccato che una parte considerevole degli scandali emersi riguardino la chiesa preconciliare (in senso temporale e non), oppure eventi accaduti sotto il regno dei fidati e rimpianti Wojtyła e Ratzinger. Insomma, l’accostamento/attribuzione di omosessualità e pedofilia alla sinistra conciliare o bergogliana suscita quanto meno qualche dubbio.
Al di là di tendenziose confusioni e improbabili connessioni, ciò che risulta fin troppo chiaro è la condanna ufficiale e insistita dell’omosessualità da parte delle gerarchie ecclesiastiche; persino l’illuminato Francesco vi ha recentemente fatto riferimento come a una malattia che, se presa in tempo, può essere efficacemente curata con il ricorso alla psichiatria. Non era certo una dichiarazione ex cathedra, ma è un sintomo che conferma un quadro clinico fin troppo omogeneo. Anche per questo non è facile essere omosessuali in Italia (per un automatismo linguistico di stampo illuminista-escatologico stavo per scrivere davanti a “facile” la parola “ancora”: mi è bastato accorgermene, però, perché mi si affacciasse alla mente il brutto clima da preventennio che stiamo vivendo, e la mia componente profetico-apocalittica mi avrebbe spinto a sostituire “ancora” con “più così”…); se non è facile essere omosessuali in Italia, dunque, figurarsi nella chiesa e tanto più nel clero.
Ma l’omosessualità nella chiesa e nel clero c’è; eccome se c’è. Non sarebbe certo un problema, se fosse vissuta in modo sereno e consapevole. Invece, per come viene vissuta – condannata alla clandestinità, con sensi di colpa, complicità inconfessabili, doppia moralità e persino ostentata omofobia per risultare al di sopra di ogni sospetto –, può diventare veramente malata. Non stento a credere che tra membri omosessuali del clero si instaurino forti legami – sia per i meccanismi malati ora evocati sia per comprensibile solidarietà tra i membri malvisti di una minoranza – e che questi possano portare, soprattutto ai più alti livelli gerarchici, a costituire fedeltà e legami trasversali che dentro un’istituzione come la chiesa non possono non avere risvolti di potere. La cosiddetta lobby gay ecclesiastica forse non è una fantasia di corvi e conservatori, ma se c’è, in clandestinità, non lavora certo per l’emancipazione degli omosessuali, preti o laici che siano. Anzi, se un membro omosessuale del clero si dichiara come tale esce dalla protezione e si espone doppiamente all’istituzione: vittima come tutti gli altri, ma anche pericoloso testimone e potenziale traditore.
Sono tutti problemi complessi e delicati, che riguardano la vita intima delle persone e che in un modo o in un altro non possono non segnare un’esistenza; non guasterebbe prenderli in considerazione per quello che sono e trattarli con genuino spirito evangelico invece che strumentalizzarli a fini politici, qualunque sia il fine.
Claudio Belloni
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