L’arresto di Cesare Battisti non può che essere un motivo di soddisfazione. Ma a Salvini la soddisfazione non bastava: ha detto per l'ennesima volta che «la pacchia è finita». E Battisti, che «ovviamente dovrà marcire in galera fino all'ultimo dei suoi giorni», è stato indicato dal figlio del neopresidente del Brasile Bolsonaro come «un regalo» per Salvini. Anche se criminali conclamati, gli esseri umani non possono essere trattati come pacchi-dono: nessuno può regalarli o riceverli come regalo. Ma non basta. Il ministro Salvini, con la ormai solita divisa della polizia, e il ministro Bonafede sono andati insieme ad aspettare Battisti all’aeroporto di Ciampino, per vedere il catturato che arrivava e controllare se era umiliato. Come si faceva ai tempi dei romani, quando i prigionieri durante i trionfi erano portati in catene perché tutti vedessero che non potevano più nuocere. Ciascuno di loro vuole annettersi il risultato dell'arresto di un delinquente che elude da quasi quarant'anni la cattura per intascare il dividendo al momento del voto. E il ministro della Giustizia (sic), con la divisa della Polizia penitenziaria, per non essere da meno del collega, il giorno dopo ha pubblicato sulla sua pagina Facebook un video con i momenti salienti dell’arrivo dall’atterraggio alla reclusione in carcere, compreso il momento del rilievo delle impronte. Avrebbero fatto bene a tener conto di quel che ha dichiarato Alberto Torregiani, figlio del gioielliere ucciso nel 1979 in una sparatoria in cui lui stesso rimase ferito e perse l'uso delle gambe: «Non trasformiamolo in un orco. Mi aspetto che venga trattato con tutti i diritti e il rispetto che deve avere un detenuto». Invece un'operazione di polizia si è trasformata in parata di regime. La maniera cialtronesca con cui una parte di questo Paese, alcuni giornali e alcune istituzioni, hanno reagito all'arresto di Battisti è squallido. E ci sarebbe da riflettere sul come Battisti sia diventato il simbolo di una stagione e come quella stagione sia oggi resa con un linguaggio al confine tra il pettegolezzo e il film d'azione. Dall’altro lato, tuttavia, anche una parte della sinistra ha le sue ombre: nel 2004 molti intellettuali ed esponenti della cultura firmarono un appello per la liberazione di Battisti. Non si doveva cedere a quella ingenuità ideologica per cui la violenza di sinistra, anche quando è brutale e immotivata, va considerata migliore per il fatto di essere di sinistra. Nulla del comportamento di Battisti, che non risulta essersi mai dissociato ? né umanamente né politicamente ? da un movimento violento che ha causato vittime, meritava una simile compromissione. Due sono i piani di riflessione che ci suggerisce il caso Battisti. Esso deve anzitutto farci riflettere sulle cose gravi, che implicano molti e diversi valori, molti e diversi pericoli. La ricerca di giustizia senza violenza (sia giustizia sociale, sia giustizia correttiva) è uno di questi terreni. La passione per gli oppressi, contro gli oppressori, è facile che armi il cuore e la mano. Vivere quella passione con cuore puro da odio e vendetta, è grande impresa umana. Nel movimento di Gandhi, apostolo di questa impresa, ci furono anche violenti e azioni violente. Gandhi, in quei casi, appena poteva imporre la propria autorevolezza, fermava l'azione e la rinviava a dopo la cura del cuore violento. Che la sinistra abbia prodotto violenze folli, fa più dolore che sorpresa. Che la ricerca di una sinistra sociale attiva e nonviolenta sia ricerca di pochi, è povertà di umanità, di noi tutti. Che la giustizia correttiva (cfr. art. 27 della Costituzione) sia ancora largamente vendicativa e infligga dolore per dolore, è un ritardo di umanizzazione, di noi tutti, e di immaginazione. Il secondo piano è quello storico. L’impressione è che questo Paese debba ancora finire di fare i conti con gli anni Settanta, perché questo significherebbe anche andare a toccare quel nodo doloroso e complesso che lega una parte delle istituzioni, delle forze dell'ordine ed estremismo di destra che invece hanno steso su connivenze e depistaggi una coltre d'oblio e di reticenze. Sarebbe stato bello assistere a uno Stato che avesse manifestato la propria condanna al terrorismo, stringendosi attorno al ricordo di Guido Rossa, operaio comunista dell'Italsider, nel quarantennale del suo assassinio, il 24 gennaio 1979.
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