Dopo Greta e il movimento mondiale Fridays for Future (vedi editoriale di aprile), altri ragazzini sono stati protagonisti della cronaca. 20 marzo. Ramy e Samir, rispettivamente di origine egiziana e marocchina (ma cittadino italiano), avendo avuto la freddezza di nascondere il cellulare e chiamare il 112 perché venisse in loro soccorso, hanno evitato che la mattinata vissuta da 51 studenti di una scuola media di Crema su un bus nel Milanese, dirottato e bruciato da un autista di origine senegalese, non si sia trasformata in una strage. 4 aprile. Simone, un 15enne, dopo le violente proteste a Torre Maura, nella periferia di Roma, per l’arrivo di alcune famiglie rom in una struttura di accoglienza, ha messo a tacere un esponente di Casa Pound sulla vicenda dei Rom. Greta, Ramy, Samir, Simone, e gli altri: non elettori, ma svegli. Il mondo salvato dai ragazzini ‒come voleva Elsa Morante nel 1968?
Forse è bene non caricare questi ragazzini del compito di “salvare” il mondo, e scaricare troppo velocemente la coscienza. Ma un paio di lezioni, sì, possiamo prenderle da loro, per dare risposta ad alcune urgenze del nostro tempo. La prima: il pastrocchio che è nato dalla richiesta della cittadinanza per Ramy, col ministro Salvini che prima nega e poi acconsente fiutando gli umori del popolo. Di sfuggita, va notato come il microcosmo di quel bus metta in luce una realtà più complessa di come venga normalmente descritta: l’autista senegalese, che vuole fermate le morti nel Mediterraneo, i due ragazzini uno con e l’altro senza la cittadinanza italiana e un gruppo di ragazzi italiani. Ma il dibattito sullo ius soli, abbandonato anche per motivi elettorali alla fine della precedente legislatura, avrebbe bisogno di una riflessione seria che non si appoggi a questo tipo di reazioni tutte e solo giocate sull’emotività («Vogliamo fare i carabinieri!»). Se ius soli deve essere, che sia un diritto, e non una regalia. Se poi, giustamente, si vuole dare un riconoscimento ai due ragazzini, ci sono altri modi per farlo.
Delle proteste a Torre Maura contro l’accoglienza di 77 rom nel centro di via Codirossoni tutti hanno in mente, forse, l’immagine dei panini buttati per terra e calpestati, il 3 aprile. Un gesto disumano, accompagnato dalla frase «Pezzi di m… dovete morire di fame». Doppia mancanza di rispetto per il pane, perché il pane è ciò di cui vivono tanti uomini, e perché quel pane era destinato ai poveri. Dobbiamo contrastare questa barbarie e tornare, il prima possibile, a una convivenza pacifica e civile. «La storia ci insegna che piccoli atteggiamenti di razzismo portano poi a trovare delle giustificazioni, primo passo verso una ideologia razzista vera e propria, con tutte le conseguenze che ci possono essere. Per ora è un misto di rancore e di cattiveria, enfatizzato da alcuni per interessi che sono davvero vili e non sono degni dell’umanità», sostiene Enzo Bianchi. «Noi non eravamo abituati né preparati ad accogliere masse di emigranti come è avvenuto. Siamo stati noi migranti e ce ne dimentichiamo, purtroppo. Tutto questo fa sì che l’accoglienza sia percepita oggi come una brutta parola che fa dividere gli uomini tra buonisti e quelli che restano legati a una identità locale e temono l’arrivo di altre persone straniere». Poi c’è chi moltiplica la paura o se ne serve per ragioni politiche, e arriva a disprezzare chi pensa che l’accoglienza sia (ancora) uno dei doveri dell’umanità.
Ed ecco la seconda lezione: Simone che dice, nel suo romanesco un po’ rude «A me nun me sta bene che no». Un ragazzino di 15 anni ‒ come si vede nel video diventato virale ‒ che tiene testa, solo, al leader di CasaPound Mauro Antonini. Vale la pena leggere la trascrizione di quel dialogo. Simone: «Quello che lei sta facendo è una leva sulla rabbia della gente per fare i suoi interessi, per i voti». Antonini: «Te sei contento che hanno messo 70 rom qua?». Simone: «A me 70 persone non mi cambiano la vita. A me il problema non è chi me svaligia casa, il problema mio è che me svaligiano casa. Se me svaligia casa un rom, tutti je demo annà contro, poi quando è italiano mi devo star zitto che è italiano. È sempre la stessa cosa, si va sempre contro la minoranza, a me nun me sta bene che no. Perché pare che la minoranza cambia tutto». Antonini: «Ti sembrano una minoranza i rom in Italia?». Simone: «Sono una minoranza che sì, noi siamo 60 milioni. Nessuno deve essere lasciato indietro: né italiani né rom né africani né qualsiasi tipo di persona». Un secondo militante: «Sei uno su cento, siete dieci su mille». Simone: «Almeno io penso. Almeno io non mi faccio spingere dalle cose vostre per raccattare voti». Un secondo militante: «E perché, quelli della tua fazione politica non ci vengono qui?». Simone: «Io non c’ho nessuna fazione politica, io so de Torre Maura». Un terzo militante: «Mia moglie esce alle 4.30 di mattina di casa perché lavora in una clinica sull'Ardeatina e attacca alle 8 di mattina... ma deve uscire alle 4.30 perché il Comune di Roma qui a Torre Maura non ce dà nessun servizio». Simone: «E la colpa è dei rom?».
Il castello di carte dei suoi interlocutori cade di fronte a questa domanda: «E la colpa è dei rom?». Simone ha messo in luce la falla dell’argomentazione usando un semplice pizzico di logica. E così ha smascherato non solo la stupidità dei razzisti, ma anche l'inerzia di chi avrebbe dovuto sostenere una normale argomentazione antirazzista. E non l'ha fatto.
Ma a onor del vero il mondo non sarà salvato dai ragazzini. Forse non sarà salvato da quell’altro ragazzo che in una trasmissione televisiva ha detto che i rom «non sono come noi» scatenando l’applauso del pubblico (e il dissenso del presentatore). Forse sarà salvato da coloro, ragazzi e non, che si porranno sempre e di nuovo da capo il compito di umanizzare la società in cui viviamo.
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