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teologia
462 - Il vangelo spiegato ai vescovi in prima fila al convegno di Verona |
Gesù non parla di famiglia, e nemmeno di matrimonio
Ai vescovi presenti in sala al Congresso di Verona sulla famiglia, ricordiamo che Gesù non ha mai trattato il tema della famiglia, che il suo messaggio e i suoi costumi abituali (ethos) sono a-familiari, sino al micidiale «Chi non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli e le sorelle... non può essere mio discepolo» (Lc 14,26). Come mai allora tanta insistenza sulla famiglia? |
Agli episcopi ci permettiamo di spiegare... il vangelo (Marco 10,6-9 e i due passi della Genesi che Gesù ivi cita). Non ci interessa l'introduzione (2-5 sul ripudio) poiché è solo un mezzo redazionale molto dotto per introdurre la citazione della Genesi, una costruzione letteraria raffinata in polemica col giudaismo farisaico. Tale disputa colta è un prodotto della Chiesa primitiva. Essa infatti segue lo schema classico dei dialoghi didattici, nei quali viene posta una domanda al maestro (v. 2: «è lecito ripudiare la moglie?»), alla quale egli replica di regola con un'altra (contro)domanda (v. 3: «cosa vi ha ordinato Mosè?»); e solo dopo la risposta a quest'ultima, il maestro trae le conclusioni, esattamente come nel successivo racconto del (cosiddetto giovane) ricco. La «durezza di cuore» è un escamotage ben studiato per salvare capra e cavoli: da una parte modificare la normativa mosaica (cosa indigesta per un giudeo-cristiano) e dall'altra giustificare Mosè per la sua concessione.
Poi, dopo la citazione di Gesù, in Marco 10,10-12 la scena prosegue rientrando a casa, con ulteriori delucidazioni sul ripudio, che sono anch'esse una creazione della chiesa antica con la tipica tecnica della spiegazione in separata sede (come dopo la parabola del seminatore in Mc 4,14-20, la cui interpretazione in termini allegorici non è di Gesù). Con tale sandwich la trappola è scattata: anche le parole centrali di Gesù (il succo prelibato all'interno del tramezzino) sono state intese in senso matrimoniale; ma così non è.
La spinta della carne (basar)
Gesù cita sbrigativamente Gen 1,27: parecchi [fra cui il già citato nel n. 460 Carlo Enzo in «Servitium» III 228 (2016) p. 58s], non traducono zakar uneqabah con «maschio e femmina», bensì con «maschile e femminile li creò» (in ciò confortati anche dalla traduzione dei LXX, arsen kai thêlu, sia qui che in 5,2; il che non è poco). A Dio «non interessa progettare i sessi, da cui sarà costituita biologicamente la specie umana, ma indicare i caratteri psicologici e morali che solitamente vengono attribuiti a ciascun sesso... caratteri che dovranno essere propri a ciascun individuo, sia esso maschio o femmina» [«chi vuol capire capisca» (Mc 4,9), secondo la variante aggiuntiva del manoscritto veronese a due passi dal mega-raduno euganeo, un network ultra-cattolico che demonizza l'omosessualità e la cura della disforia di genere nel 3% degli adolescenti; cfr le due endocrinologhe sulla «Stampa» del 10 aprile 2019].
Carlo Enzo (57) scrive inoltre: «Dico “creazione”, ma dovrei dire “progetto”; infatti la voce verbale bara' non significa, come si crede comunemente, inventare una cosa nuova e farla, ma soltanto pensarla e progettarla». Di conseguenza si potrebbe anche tradurre l'intero versetto 27 «Dio progettò l'Uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo architettò, maschile e femminile li pensò».
Ai prelati, cattolici e ortodossi, di Verona ricordiamo che dono di Dio è l'essere maschio-femmina o maschile-femminile, mentre invece le acquisizioni socio-culturali, comprese le istituzioni tra cui il matrimonio, sono opera umana, non un dono di Dio [così Westermann 84-86, sempre nel Biblischer Kommentar già citato nell'ultimo articolo]; il suo dono unitivo è l'essere maschi e femmine che sboccerà (il secondo passo della Genesi citato da Gesù) nell'amore uomo-donna. Infatti Gen 2,24 suona: «L'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna, e saranno basar 'hd (in ebraico, ed eis sarka mian in greco)». Balza agli occhi l'aspetto dinamico e progressivo reso da Westermann in tedesco sempre con «zu einem Fleisch» [«verso (ad) una carne», senza il «sola»; la preposizione zu + il dativo, che corrisponde all'eis + l'accusativo dei LXX].
Parafrasando la p. 318 di Westermann, anzitutto i due verbi «lascerà e si unirà» non possono essere intesi come una descrizione di strutture istituzionali matrimoniali: il matrimonio è fuori quadro, coi suoi elementi familiari e socio-economici insiti nella sua stipulazione, determinata dal pesante intervento dei genitori. Questo passo non coincide con la concezione dei rapporti familiari patriarcali dell'antico Israele, nel quale col matrimonio è più la donna che l'uomo a staccarsi dalla propria famiglia (come da noi sino a non molto tempo fa); perciò, se qui si trattasse di matrimonio, sarebbe più la donna a lasciare i genitori. Rammentiamo ai vescovi di Verona che forse il matrimonio sta sullo sfondo, ma come parallelismo di contrasto: «a differenza delle istituzioni vigenti, e in parte persino in opposizione ad esse, si fa leva sull'elementare forza dell'amore fra uomo e donna», che provengono da famiglie diverse e forse si erano a malapena conosciuti. «Qui non si parla del matrimonio come istituzione per la prosecuzione della specie, bensì della comunione di uomo e donna in quanto tale». Qui tira l'aria del Cantico dei cantici, in cui i due si sono scelti (esulando dalle nozze combinate o forzate) per un'unità spirituale; «qui si tratta della più onnicomprensiva delle comunioni personali. L'uomo appartiene ora alla sua donna, cioè entra in una solida comunione di vita con lei in forza dell'amore per lei».
Ciò che Dio unisce è l'attrazione amorosa
Il «zu einem Fleisch» (verso, ad una carne) indica un processo assolutamente personale di affetto, attaccamento, attrazione, che prescinde dalla posizione-collocazione sociale. L'uomo, per amore della donna, lascia persino il padre e la madre, allentando dunque i fortissimi legami corporei e psichici.
Rammentiamo ai prelati veronesi il fatto sorprendente e straordinario che qui sia la pulsione basilare della reciproca attrazione a essere data e fondata sull'essere-creati, e non primariamente la procreazione e neppure l'istituzione del matrimonio come tale. È un dato creaturale, progettuale e benedicente di origine divina, che fa certo riferimento a un nucleo domestico (quindi, modernamente parlando, pure alle convivenze), ma non al matrimonio coi suoi vincoli. Perciò, in relazione alla (passata) durezza delle gerarchie ecclesiastiche nei confronti delle convivenze [ma non dell'Amoris laetitia e nelle esperienze di convivenza accolte in sede pastorale negli incontri di coppie], varrebbe invece l'opposto: semmai è la convivenza che fa parte del progetto di Dio, ma non (direttamente) il matrimonio.
Gesù, nel citare Gen 2,24, “si permette” un'omissione vistosa: dopo «l'Uomo [anthropos, sia uomo che donna] lascerà suo padre e sua madre», non c'è «e si unirà alla sua donna» (che fra l'altro in Marco striderebbe col suo soggetto anthropos, genere umano; cosa di cui non si sono resi conto i copisti posteriori quando l'hanno aggiunta). Il che rende ancor più chiaro che nel vangelo non si parla di marito e moglie. «E si unirà alla sua donna» è scartata da tutte le edizioni critiche perché manca nei codici più antichi e autorevoli come il Sinaitico e il Vaticano, comprese le versioni della Cei del secolo scorso; ma «e si unirà a sua moglie (sic)» è ricomparsa nella versione del 2008 [c'è una manina anche alla Cei?], e pure nell'ultima versione (2018) delle Edizioni Paoline. Il testo ebraico e il testo di Marco concordano: non c'entra, o è molto secondaria, la prospettiva del matrimonio e della prole. Il punto di vista di Gesù è extra-matrimoniale. Questo ricordiamo ai prelati cattolici e ortodossi del network veronese, come pure che la conclusione: «Dunque ciò che Dio ha unito, l'uomo non separi» è un ammonimento sapienziale, non un dogma: e comunque l'accento non è posto sulla rottura di un contratto. D'altronde come potrebbe esserci una legge “non negoziabile” nell'unico vangelo in cui non ricorre mai la parola “legge” (nomos)!
Il Gesù di Marco interpreta correttamente le parole della Genesi senza far riferimento al matrimonio e a un suo presunto vincolo (considerato) indissolubile. Quindi la suddetta massima conclusiva di valore esortativo, opportunamente introdotta da oun (dunque), intende preservare il più possibile l'unione amorosa dell'uomo e della donna, e farla crescere verso una carne. L'uomo non deve interferire, ostacolare, interrompere o distruggere tale relazione d'amore, fondata nella Genesi ed elemento costitutivo del progetto creativo divino: questo è quel che Dio ha congiunto e continua a riunire.
La vita costruisce la relazione di coppia
Se quindi ciò che Dio unisce è la relazione d'amore verso una carne, le alte sfere gerarchiche [non mi riferisco a Papa Francesco, semmai ai suoi “oppositori” presenti a Verona] non dovrebbero interferire nei rapporti di coppia, poiché le eventuali accuse nei confronti dei conviventi e dei risposati andrebbero contro l'ammonimento di Gesù: ossia in un senso diametralmente opposto alla dottrina tradizionale, per la quale quel che Dio ha unito sarebbe il matrimonio “rato e consumato”, e non tanto il rapporto d'amore. Ma anche noi «siamo chiesa» come quella di Marco, e possiamo esprimerci: colpevolizzare ed escludere l'amore dei risposati andrebbe contro l'ammonimento sapienziale di Gesù, anziché applicarlo! Siamo consapevoli del significato di questo rovesciamento a cui ci ha portato il metodo storico-critico; non c'è da salvaguardare un vincolo di indissolubilità, bensì da salvare l'amore dell'uomo e della donna, compreso ovviamente quello del primo matrimonio (senza derive divorziste all'americana). Secondo le belle parole di Eduard Schweizer (Il Vangelo di Marco, Collana «Nuovo Testamento», Paideia-Brescia 1971, p. 217) «Non si può chiedere: che cos'è proibito dalla legge, e dove c'è per me un luogo di scampo dalla legge? Invece di porre questo dilemma, Gesù dirige gli sguardi dei suoi ascoltatori al dono del Creatore ed esorta a viverne. In questa libertà dalle considerazioni esclusivamente legali, che è dono di Dio, si realizza dunque il fine della creazione».
Dalla nostra indagine biblica possiamo quindi arguire che Dio oggi congiunga anche le convivenze, nonché i secondi amori, con o senza matrimonio. Occorre trovare una soluzione pastorale per i divorziati risposati: l'attuale prassi, che prevede la riammissione all'Eucarestia solo nel caso essi vivano come fratello e sorella, è in palese contraddizione col forte slancio verso una carne unanime (basar 'hd, in carnem unam nella «Nova Vulgata» del 1998).
Mauro Pedrazzoli
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