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 466 - Trent'anni fa

 

1989, la fine di una meravigliosa illusione?

 

Sono passati trent'anni dalla caduta del muro di Berlino (9/11/1989), evento che ha simboleggiato la fine della lunga e drammatica esperienza del socialismo reale, di quello che appariva essere la meravigliosa realizzazione dei sogni dell'umanità.

Quali le ragioni di questo avvenimento? Le manifestazioni nonviolente che nel corso del 1989 si erano susseguite nell'Europa dell'Est? La politica innovativa di Gorbaciov? Oppure, prima o poi, l'immensa costruzione che reggeva l'impero sovietico era destinata a implodere, a crollare? È difficile fornire una risposta precisa. E non sarò io a formularla.

 

L'avvenire radioso, il cammino tortuoso

Ad aiutarci a capire il perché di tale fenomeno epocale, occorre tenere presente che gli abitanti della Cina comunista erano nettamente di più di quelli dell'Europa dell'Est, Unione Sovietica compresa. Eppure anche in Cina si era verificato di fatto il tracollo del regime comunista. Diversamente da quanto avvenuto nei Paesi dell'Est europeo, il passaggio dal comunismo al capitalismo era stato graduale, attraverso i decenni Ottanta e Novanta. Ma possiamo dire che un evento simile alla caduta del muro di Berlino potrebbe essere stata la morte di Mao (9/09/1976) e il successivo arresto della cosiddetta Banda dei Quattro, cioè dei principali collaboratori di Mao nella «Rivoluzione culturale», senza che nessuno se la sentisse di difenderli. Da allora ha avuto inizio il processo che avrebbe trasformato il gigante cinese da baluardo del comunismo radicale a superpotenza capitalistica. Decine e decine di milioni di morti per costruire il socialismo cinese. Non un morto per smobilitarlo e passare al capitalismo.

Il maoismo intendeva essere la realizzazione più coerente del marxismoleninismo. Ricordo che nel 1971 in Cina era stato celebrato solennemente il centenario della Comune di Parigi, avvenimento che aveva ispirato alcuni scritti significativi di Marx e di Lenin. Era stato distrutto «lo Stato parassita, l'esercito permanente e il funzionarismo statale... spariti i furti, gli assassini, le vie di Parigi furono sicure senza alcun servizio di polizia» (Marx, La guerra civile in Francia). Pochi mesi prima della Rivoluzione d'Ottobre, Lenin così prevedeva: «Il comunismo rende lo Stato completamente superfluo. Quanto a "eccessi individuali", non c'è bisogno di nessuna macchina speciale; lo stesso popolo armato si incaricherà di questa faccenda, con la stessa semplicità con cui una qualsiasi folla di persone civili, anche nella società attuale, separa delle persone in rissa» (Stato e rivoluzione).

Anche Mao vorrebbe sopprimere il potere statale: «Sì, lo vogliamo sopprimere, ma non per il momento; non possiamo ancora farlo. Perché? Perché esiste ancora l'imperialismo... L'avvenire è radioso, ma il cammino è tortuoso. Abbiamo ancora davanti a noi molte difficoltà» (dal Libretto rosso).

Come vengono accolte queste idee? Come suggerisce Furet (Il passato di un'illusione), «l'idea comunista ha vissuto più a lungo negli animi che nei fatti; più a lungo nell'Ovest che nell'Est dell'Europa; in Occidente, non essendo un mezzo di governo, l'idea conserva il suo fascino originale». È infatti stupefacente constatare quante persone generose e sagge, il fior fiore degli intellettuali, abbiano aderito con entusiasmo al "Credo" comunista, anche quando i fatti smentivano la teoria. Inquietante è la pungente provocazione dello scrittore Bellow (citato da Furet): «Tesori di intelligenza possono essere investiti al servizio dell'ignoranza, quando il bisogno d'illusione è profondo».

 

Il confine tra il Bene e il Male

Fino a che punto i regimi dell'Europa dell'Est potevano contare sul consenso dei cittadini? Per quanto riguarda la Polonia, potrei affermare, in base all’esperienza personale, che negli anni Cinquanta esistevano dei comunisti convinti (anche se costituivano una minoranza); negli anni Ottanta non ne esistevano più (salvo qualcuno che era iscritto al Partito per puro opportunismo).

Quali le ragioni dell'iniziale consenso? Per quanto riguarda l'Urss, «l'industrializzazione massiccia dei primi piani quinquennali (1929-41) venne sostenuta dalle masse proprio in virtù "del sangue, della fatica, delle lacrime e del sudore" che Stalin impose loro. Come ben sapeva Churchill, il sacrificio ha in se stesso la capacità di motivare gli uomini. Persino il sistema stalinista godette quasi certamente di un notevole sostegno popolare, anche se non tra i contadini» (Hobsbawm, Il secolo breve). Così Keynes (citato da Furet): «Il comunismo costituisce un ideale in un mondo ossessionato dall'economia... L'economia politica sovietica scopre un'idea morale, un uomo rigenerato, liberato dalla maledizione del profitto».

Alla fine degli anni Cinquanta, Mao lancia la campagna del "Grande balzo in avanti", un balzo verso un futuro in cui il comunismo avrebbe cominciato a funzionare a pieno regime. «Senza la credenza che le "forze soggettive" siano onnipotenti, che gli uomini possono smuovere le montagne e dare l'assalto al cielo, se solo lo vogliano, le pazzie del Grande balzo in avanti resterebbero incomprensibili» (Hobsbawm).

Eppure, anche in Cina, non è mancato il consenso, sia pure in alcuni periodi. Ricordo di avere letto con stupore i reportage dalla Cina di autori non certo comunisti, come l'ex ministro di De Gaulle Peyrefitte e il giornalista de La Stampa Michele Tito. Sembrava davvero che si fosse realizzato, dopo tanti inutili tentativi ed errori, il sogno millenario dell'umanità: gli uomini sono naturalmente buoni! Bastava cambiare la società e il "buono" autentico in ognuno di noi si sarebbe spontaneamente manifestato in tutta la sua multiforme pienezza. E non si trattava di un gruppo ristretto di monaci, ma dello sterminato popolo cinese! Si avverava quanto predetto da Marx: «La soppressione della proprietà privata porta all'emancipazione di tutti i sensi umani e di tutte le qualità umane». E tutto ciò non era qualcosa di astratto, di fumoso, non era «un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi, ma un movimento reale che abolisce lo stato di cose presente» (Manoscritti economico-filosofici del 1844 e L'ideologia tedesca).

Ma per conseguire un tale obiettivo, l'emancipazione dell'intera umanità, occorreva operare scelte dolorose ma necessarie. In nome del Bene, tutto è doveroso, tutto è lecito! Risultato: un immane massacro, un tragico macello. Quanti contadini ucraini furono sacrificati per la realizzazione del primo piano quinquennale? Quattro, cinque milioni? Quanti morti nel corso del Grande balzo e della Rivoluzione Culturale? Venti, trenta milioni? Quante le vittime dell'autogenocidio cambogiano? Un quarto della popolazione in tre anni? Come ci informa Nanni Salio (Il potere della nonviolenza, p. 117) «i paesi comunisti figurano tra quelli che hanno commesso il maggior numero di democidi [omicidi compiuti dai governi in assoluto], e anche in percentuale rispetto alla popolazione».

 

Dalla parte dei perdenti

Quale fu dunque la causa del crollo del 1989? Nessuno dei governi occidentali se l'aspettava in termini così brevi. Ma nei Paesi dell'Est forse qualcuno lo poteva prevedere. «Se succede qualcosa in Urss, qui cambierà tutto». Così, nel 1987, mi dicevano in Polonia. Ma che cosa stava succedendo nella "patria del socialismo"? Si stava verificando «la combinazione della glasnost, che portava all'indebolimento dell'autorità, e della perestrojka, che equivaleva allo smantellamento dei vecchi meccanismi che facevano funzionare l'economia» (Hobsbawm). E Gorbaciov faceva capire chiaramente che non avrebbe più salvato i regimi dell'Est con un intervento militare. «Ma quei regimi erano rimasti al potere solo in virtù del vuoto che avevano creato intorno a sé nel quale non c'era alternativa allo status quo eccetto con l'emigrazione (se era possibile). La maggioranza delle persone sceglieva una vita tranquilla, che comportava qualche gesto formale di consenso (come il voto o la partecipazione a dimostrazioni pubbliche) a un sistema al quale nessuno credeva salvo i bambini della scuola elementare. E non ci furono gruppi di ultras comunisti pronti a morire in un bunker per la loro fede» (Hobsbawm). E solo in Polonia esisteva un'opposizione tale che il sistema potesse venire sostituito da un processo negoziato, non dissimile dalla transizione alla democrazia in Spagna dopo la morte di Franco nel 1975.

Occorre ricordare quanto già detto: è forse più facile per la gente comune vivere momenti (che possono durare anche alcuni anni) in cui l'entusiasmo di potere tentare qualcosa di radicalmente nuovo possa compensare la sopportazione di eroici sacrifici; molto più difficile è essere costretti ad affrontare ogni giorno piccoli, banali sacrifici, perdere delle ore per fare la spesa e sbrigare interminabili pratiche burocratiche. Poiché (lo vediamo anche oggi, qui in Italia) non sono molti i lavoratori nei servizi pubblici animati da zelo e fierezza, consci di godere del privilegio di servire la collettività. Anzi si assiste a un certo rilassamento dell'impegno lavorativo. Possiamo immaginare quello che succedeva in una società in cui gran parte delle attività erano gestite dallo Stato. E ora nei paesi ex-comunisti si guarda con diffidenza a tutto quello che può ricordare il socialismo e il tanto vituperato «internazionalismo proletario». Trionfa il capitalismo e prosperano i partiti di destra xenofoba.

E come avvenne la trasformazione dell'Urss? Forse l'evento risolutivo fu il tentativo della vecchia nomenklatura comunista di opporsi al cambiamento, imprigionando Gorbaciov e tentando un golpe nell'agosto del 1991. Il popolo reagì in modo deciso e nonviolento, facendo fallire il tentativo. Purtroppo il movimento fu ingabbiato da Eltsin, fautore di una politica autoritaria.

In Cina, in particolare a Pechino, si sviluppò nel giugno 1989 un movimento nonviolento, represso nel sangue entro breve tempo. Ma i giovani manifestanti non chiedevano certo a Deng Xiaoping di tornare al maoismo, desideravano probabilmente una democrazia di tipo occidentale. Sarebbe stato possibile un tale rivolgimento in Cina?

E in Italia? Ricordo un prete fiorentino che, negli anni Sessanta, così si esprimeva: «Io ho sempre votato per il Pci. Ma se i comunisti arrivassero a governare l'Italia, dovrebbero organizzare un sistema economico profondamente diverso dall'odierno consumismo. E chi li appoggerebbe? Nessuno, salvo qualche cristiano autenticamente evangelico». Ora, a distanza di mezzo secolo, sembra che solo «qualche cristiano» (forse un Papa) sia intenzionato a perseguire una politica a favore dei più poveri. «Qualche cristiano» che segue il cammino dei "comunisti perdenti", e cerca di tracciare una nuova via con umile, gandhiana mitezza.

Dario Oitana

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