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Se i poveri perdono la speranza «Ora, a distanza di mezzo secolo [dai caldi anni Sessanta], sembra che solo “qualche cristiano” (forse un Papa) sia intenzionato a perseguire una politica a favore dei più poveri. “Qualche cristiano” che segue il cammino dei "comunisti perdenti", e cerca di tracciare una nuova via con umile, gandhiana mitezza». La conclusione di Oitana è bella e la condivido. Ma ‒ se non sbaglio ‒ tutto il tono del suo discorso è: il sogno del comunismo era troppo, doveva necessariamente cadere. È l'ideologia del bene che diventa male, dell'utopia che diventa necessariamente violenza. Non l'accetto. Ci vorranno secoli, ma l'essere umano è costituzionalmente creatore di u-topie giuste, di superamento di se stesso e della sua storia. C'è del divino nell'uomo. Anche del diabolico. Ma a cosa vogliamo guardare di più, dare spazio e voce? Come leggere la storia? Un cammino accidentato verso la luce, o trappola di topi condannati a scannarsi? (Sono due estremi, ma noi verso quale ottica propendiamo: a quella che dà coraggio, speranza e impegno, o a quella che tristemente registra il male invincibile?) Non era sbagliato il sogno comunista, ma l'imporlo. Dobbiamo rispettare e onorare il sogno popolare del comunismo, la "speranza mal riposta" dei poveri (Mazzolari). Mal riposta, deviata, deturpata dalla violenza, ma speranza, virtù teologica presente nei poveri, non nei sistemati. Papa Francesco dice che la realtà vale più dell'idea, ma ha ragione solo se si intende rispetto del grado attuale del cammino, senza forzarlo ad essere ideale. Non ha ragione se si intende nel senso del realismo senza ideali. Guardate la politica che ci rifilano: da un estremo all'altro è piatto realismo morto, passivo. La realtà vista davvero è fermento, lievito, desiderio, creazione ribollente, frenata e tappata da chi prende il potere (economico, informatico, politico) come un oggetto che cresce solo in quantità, ma è secco come scheletro senza vita. L'utopia è la realtà della realtà. Uccidere l'utopia, e sostituirvi l'impresa lunare, la follia nucleare, la sostituzione dell'uomo col robot, la comunicazione con l'onni-controllo, è la morte dell'umanità. Queste quantità di potenza sono il "mal di troppo", cioè il cancro della nostra attuale umanità. Ma l'umanità cambierà, perché non è abbandonata alla propria follia. Dio ha mille nomi, ma il suo migliore nome è "non-ti-abbandono". L'utopia viva è che l'umanità viva ancora, contro questi nemici, riducendoli a quel che sono, strumenti, come le scarpe che vanno dove decido io. Io credo che un foglietto come noi, un gruppetto, piccolo erede di grandi eredità umane, deve dire anche contro i tempi, proprio contro i tempi, cose come queste. Sul comunismo fallito dobbiamo dire che era nobile programma incarnato rozzamente, semplicisticamente, astrattamente, violentemente. Ma noi custodiamo l'idea: siamo uguali di valore, si vive solo insieme, solo il bene di tutti è il bene di ciascuno. Dobbiamo dire questo. Per urgenza di coscienza, e per dovere civile. La speranza dei poveri non è ottimismo dogmatico. Quando i poveri, ingannati, perdono anche la speranza, tutto è perduto. Noi non siamo i poveri, ma dobbiamo aiutarli a vedere che la speranza è più grande e perpetua dell'inganno. Oggi bisogna essere comunisti, perché quel comunismo sbagliato è fallito, dunque bisogna farne uno più vero. Diciamolo. Enrico Peyretti
Il comunismo non è solo socialismo reale Il pezzo di Oitana esprime sollievo per un pericolo scampato che ora non si ripropone da nessuna parte: lo spettro non fa più paura. Il comunismo è morto e se vogliamo fargli il funerale io farei sentire anche le ragioni di chi afferma che il comunismo non è stato solo il socialismo reale e tanto meno solo i suoi crimini. Il comunismo ha anche dato speranza e dignità a milioni di poveri, anche contadini, tra America latina e Africa. Dove è andato al potere ha fatto danni, ma dove è stato perseguitato ha alimentato speranza e libertà. Altrimenti non si potrebbe capire come sia stato possibile. L’Urss stessa, con tutti i suoi mostri, è inspiegabile senza la speranza reale e in parte motivata dei poveri. Per il resto tutto era contro di loro. Oitana si chiede «le ragioni dell’iniziale consenso». A me non sembra difficile; basta tornare alle “tesi di aprile” (1917), il programma che ha portato i bolscevichi da sparuta e irrilevante minoranza a partito di massa: pace, terra e pane. Contro la guerra prima e durante. Quante sofferenze per i poveri contadini russi. Già smettere quello non era poco, ma da destra a sinistra, dallo zar fino a Kerenskij nessuno voleva smettere quel macello. Terra e pane a contadini asserviti da secoli. Il sogno di sempre, e per un po’ è sembrato persino avverarsi. Peccato, per poco, perché poi arrivano nei piani quinquennali le cose ricordate nell’articolo. Forse il comunismo era già morto negli anni ’20 con la strage di contadini ucraini e l’asservimento di quelli russi nelle fabbriche e nei gulag, ma è stato riportato in vita dall’invasore nazista che ha rivitalizzato il regime con la guerra di resistenza patriottica e (molto!) ideologica. Il comunismo è stato anche argine al nazismo, non dimentichiamolo. Circa 20 milioni di morti russi (contro qualche centinaia di migliaia di americani). Del pezzo di Oitana non mi convince il passaggio in cui dice che in Cina dopo milioni di morti fino agli anni ’70 da attribuire a Mao & compagni «non un morto per smobilitarlo e passare al capitalismo». Il regime capitalista cinese dagli anni ’80 non ha più ucciso nessuno? Fosse anche solo la pena di morte... Infine, dopo aver celebrato il funerale del comunismo, mi auguro che non si ripeta ciò che è già successo: «Tesori di intelligenza possono essere investiti al servizio dell'ignoranza, quando il bisogno d'illusione è profondo». Oggi, dopo la caduta del muro di Berlino, abbiamo bisogno di illuderci che siamo nel migliore dei mondi possibili, o quanto meno che i genocidi siano finiti e pure le eliminazioni sistematiche degli oppositori al regime dominante, perché ne facciamo parte. Claudio Belloni
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