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politica
Sono andato avanti anni a pensare che tra noi ci fosse qualche piccola differenza, ma che fossimo uniti se non nella condanna almeno nella critica del sistema capitalistico, alla luce di ideali e regole di vita ritenuti superiori. Pensavo che un cristiano come te, che ha vissuto l’epoca d’oro del Concilio, del cattolicesimo impegnato, dei preti operai, delle comunità di base non potesse che stare da quella parte, senza dubbi di sorta. Di solito uso categorie un po’ più sfumate, ma in questo manicheismo mi ispiro a un grande del passato che autorizza a pensare che non si possa servire Dio e Mammona. Un autentico servizio divino non è mai scontato e l’asservimento idolatrico è sempre subdolo, lo so, dunque ci sarebbe comunque molto da discutere; ma almeno l’orientamento di fondo… La questione è solo tecnicamente economica, perché i risvolti di questa discussione gettano una luce sul senso complessivo dello stare al mondo, sulle priorità dei valori, sulla qualità della speranza di cui siamo capaci, persino sulla possibilità di pensare una vita umana sulla Terra fra un secolo o due. A me questi «risvolti» interessano sopra ogni cosa, perché ritengo che muovendo da presupposti capitalistici e neoliberisti tutto ciò risulti compromesso in partenza. Sperando di sbagliare, visto come stanno le cose. So di non sapere Dove so di non sbagliare è a proposito della mia incompetenza economica. So di non sapere. Leggo, ascolto, ogni tanto studio persino qualcosina, ma più si entra nelle tecnicalità (termine orribile, ma lo uso apposta) dell’economia più perdo sicurezza. Chiunque abbia pratica di queste cose mi può tranquillamente mettere in scacco. Ma la cosa fondamentale, almeno per me, è chiarissima e non è certo una legge o un tecnicismo dell’economia, anzi: l’economia deve essere governata politicamente, altrimenti il sistema capitalistico lasciato libero ci porterà alla rovina. Il sistema è miope, guarda all’utile e al profitto immediato e non si cura delle conseguenze esterne e future. Se non si ribelleranno prima milioni di poveri mettendo a ferro e fuoco il pianeta, sarà il pianeta stesso a non tollerare più ciò che il sistema sta facendo. Sì, lo so, me l’hai detto: anch’io sono il sistema. Ma questa obiezione, abbi pazienza, è solo retorica di bassa lega, per sprofondare tutti nelle stesse sabbie mobili, perché sposta in un vicolo cieco il problema; e comunque non basta ciò che posso fare io, nemmeno insieme a tutti gli altri io. Posso tenere una temperatura bassina d’inverno e caldina d’estate, ma anche se lo facessimo tutti, questo e altro, in 7 miliardi di umani, saremmo comunque spacciati sui tempi lunghi. Ci vuole un’iniziativa politica mondiale talmente urgente da essere già in ritardo. Tuttavia, gli interessi economici di individui, popoli, Stati vanno quasi tutti in direzione ostinata e contraria. Se lasceremo sfogare gli istinti del capitalismo e non avremo altro Dio al di fuori di lui, se onoreremo i dogmi della legge della domanda e dell’offerta e del pagamento dei debiti e tutto il resto della metafisica liberista, la foresta amazzonica sarà violentata sempre di più; gas, carbone e petrolio verranno bruciati come e più di prima; le immense quantità di metano imprigionate dal freddo nelle tundre del nord del pianeta continueranno a liberarsi come già stanno facendo. Beati noi vecchi che non vedremo. Come poi si possa governare l’economia, e con quale politica, è un problema immenso che non pretendo certo di risolvere io; ma qui siamo fermi a molto prima, perché mi sembra di capire che, a tuo avviso, la sola idea di governare le sacre leggi dell’economia sia considerato un pensiero ignorante, eretico, aberrante. Forse qualcuno ha ancora paura dello statalismo stalinista, ma la paura di uno spettro non mi sembra un buon motivo per restare impietriti a osservare la rovina del pianeta. Questo in sintesi, solo come premessa, ma veniamo a noi. Due sensi della parola «legge» In effetti, Tommaso, la nostra piccola discussione è viziata da un equivoco, ma non penso si tratti del significato della parola «legge», sul quale mi trovi d’accordo. Secondo me si tratta di prospettiva generale, anzi, se si potesse dire, metagenerale; cioè di una prospettiva che prova a andare oltre il dato, a cambiare l’inclinazione dello sguardo per cercare di estendere i limiti del visibile oltre il campo di esistenza stabilito. All’interno delle coordinate economiche in cui poni il tuo discorso non posso che essere d’accordo con te. Come se a un tavolo di bridge mi volessi convincere delle regole del gioco. Va bene, ma perché devo giocare a questo gioco? Il capitalismo in effetti non è un gioco e nessuno decide di giocare o meno, ma ciò non toglie che pur prigioniero e incatenato al tavolo e alla sedia io cerchi di pensare un’alternativa. Fuor di metafora, il mio problema è che io non riconosco quasi mai la legittimità e/o la necessità dei paletti e dei vincoli che tu riconosci. Già qui – con il termine «riconosci» – penso di aver stravolto il tuo discorso, perché immagino tu dia per scontato che tali vincoli e paletti siano «tali», non certo «riconosciuti». Se fossero solo «riconosciuti» potrebbero logicamente essere anche «disconosciuti», invece tu vuoi proprio dire che non si possono disconoscere, mentre io cerco di farlo lo stesso. Qui sta il punto. Provo a spiegarmi. Per quanto riguarda la legge in senso 1, quella che tu definisci in modo sintetico: «Una norma emanata da un’autorità». Ovvio: è un bene rispettare le leggi; meglio ancora chiedersene il senso e l’opportunità, perché la consapevolezza storica e la coscienza morale dovrebbero averci ormai insegnato che talvolta le leggi sono ingiuste. Potendo, si cerca di cambiarle; non potendo, ciascuno fa quello che può a seconda del grado di sviluppo umano conseguito, della dotazione di coraggio e dei rapporti umani di cui dispone: ci si può entusiasmare per leggi ingiuste (magari denunciando il vicino ebreo, oppure oggi cominciando a comprare una pistola, non si sa mai che qualcuno entri in casa), ci si può adattare in silenzio, ci si può ribellare di nascosto, ci si può esporre. Sulla legge in senso 2, quella che tu definisci: «Una situazione ricorrente nei fatti e di solito descrivibile in linguaggio matematico». Qui mi vuoi proprio mettere con le spalle al muro, mi sa: «Claudio, non vorrai disobbedire alla legge in questa accezione, puoi forse sfuggire alla gravitazione universale?». Certo che no, ovvio. Però oso persino pensare che non sia giusto che un corpo umano in caduta libera acceleri a 9,81 ms2, perché anche 9,81 può essere troppo. Ovvietà per ovvietà, meglio cadere da un aereo con un paracadute che senza. La legge della caduta dei gravi non la modifichi, ma la si può in qualche modo governare, controllare. Nemmeno le leggi fisiche vanno accettate passivamente con rassegnazione. Millenni di genio umano e ingegneria insegnano che le stesse forze possono essere comprese, utilizzate, incanalate, attenuate, sfruttate, neutralizzate. Le priorità della Costituzione La Costituzione, da cui è partita la nostra discussione, è sicuramente una norma di tipo 1, ma non solo. Non è semplicemente «emanata da un’autorità»: è posta in modo tale e allo scopo di stare sopra quella stessa autorità che la pone e sopra qualunque altra autorità. Il senso di quella legge è dividere, indebolire, neutralizzare il potere del sovrano, perché non ci sia mai più un sovrano. Così è nata e cresciuta l’idea, perlomeno dal tempo della Magna Charta in poi. Allora i baroni, oggi i cittadini, sono garantiti nella loro dignità da qualunque eccesso del potere sovrano. Il potere è pericoloso e tende a varcare i limiti. Lo sappiamo, non dobbiamo dimenticarlo, e bisogna impedirglielo, innanzitutto indebolendolo e, se necessario, mettendo i poteri di risulta uno contro l’altro. Per esempio, se da qualche decennio i magistrati italiani osano inquisire anche governanti e parlamentari, vuol dire che finalmente sta entrando in vigore la divisione dei poteri anche in Italia. Prima non succedeva mai. La Costituzione dovrebbe stare sopra qualunque altro potere, compreso quello economico. Nella nostra Costituzione unicamente la persona è «inviolabile», la proprietà è solo «riconosciuta e garantita». Vuol dire che la persona umana è (dovrebbe essere) più importante della proprietà. Certo, la Costituzione è una legge storica (né divina, né eterna) ed è condizionata da una sapienza particolare che ritiene che l’essere umano, la persona, il cittadino, chiamalo come vuoi, sia più importante delle ricchezze, dei contratti, dei profitti, della restituzione dei debiti, dei patrimoni personali, dei redditi onestamente guadagnati (figurarsi di quelli disonesti!). Meglio garantire «anche» queste cose, ci mancherebbe, ma dovendo proprio scegliere la Costituzione stabilisce una diversa priorità. Il condizionamento storico di quest’idea è di impronta cristiana, socialista, a tratti persino liberale. Ovviamente non tutti erano d’accordo con questa impostazione nel 1947 e nel 2016 non ricordo quale autorevole voce della finanza internazionale osservava sommessamente che c’erano alcune rigidità inopportune in questo testo. Il fatto che da «lassù» si scomodino a suggerire una revisione costituzionale in Italia è la testimonianza più chiara del fatto che non si tratta proprio di due dimensioni così distinte, non ti pare? Claudio Belloni (continua)
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