Se tu non vai a Sanremo, non è detto che Sanremo non venga da te. Le canzoni di Sanremo non sono in cima agli interessi della redazione del foglio (purtroppo?), ma nessuno di noi ha potuto esimersi dal leggerne di tutti i colori sul monologo di Roberto Benigni sul Cantico dei Cantici in mondovisione. Commenti entusiasti o critici, di cattolici di sinistra e cattolici di destra, di parte ebraica, chi lo ha trovato blasfemo chi irritante chi affascinante e chi perfino geniale. Un dato è certo: è una benignata, non una lectio magistralis. Benigni è un comico. Con questi limiti, ha sdoganato un libro dell’Antico Testamento (o della Bibbia ebraica), ignoto ai più. Leggere e attirare l'attenzione sulla poesia e sulla Bibbia nei media è sempre un'operazione importante e interessante. Dobbiamo temere la contaminazione col pop? Ed è interessante e importante anche citare la bibliografia di un intervento a Sanremo, in un'epoca in cui si fa fatica a dichiarare fonti e difendere l'autorità di studiosi e scienziati (cioè di qualcuno che ne sa un po' di più dell'amico su Facebook).
Nel merito, la scelta del Cantico è stata “furba” per un contesto come Sanremo e forse ha fatto in fin dei conti un buon servizio alla causa della necessità di (ri)leggere la Bibbia per capire la nostra cultura e il nostro mondo. Tanto per fare un solo ma significativo esempio: come si capisce lo Stil Novo senza questa tradizione di testi erotico-mistici?
«In un Paese afflitto da un drammatico analfabetismo biblico, il segnale è positivo e non va sottovalutato. Così, milioni di italiani hanno appreso che il Cantico dei cantici esiste» (Brunetto Salvarani). Infinitamente di più di quelli che hanno partecipato il 17 gennaio alle iniziative della Giornata del dialogo ebraico-cristiano, il cui tema era appunto il Cantico. O di quelli che parteciperanno al convegno nazionale di Biblia su «Sogni e visioni dalla Bibbia a oggi» che si svolgerà a Torino dal 27 al 29 marzo. Non si può comparare i milioni di persone che è in grado di raggiungere un intervento pop come questo rispetto alle decine, forse qualche centinaio di persone di un convegno scientifico.
La biblista Rosanna Virgili su «Avvenire» ha dovuto ricordare a un lettore incredulo che la chiesa cattolica ha impedito per secoli l’accesso alle Scritture. A forza di citazioni di documenti papali ha mostrato come dopo il Concilio di Trento (1545-63) «le traduzioni principali furono considerate fuorilegge e per due secoli nessuna Bibbia in traduzione venne pubblicata in Italia e per altri due secoli la Bibbia non apparve nelle case dei cattolici». E come solo il Concilio Vaticano II con la Dei Verbum «stabilisca una vera cesura con il passato circa la conoscenza e la diffusione della Bibbia nella Chiesa cattolica. Siamo nel 1965: poco più di cinquant’anni fa».
Ci ha lasciati perplessi l'esacerbazione unilaterale ai fini dello spettacolo della lettura philologically correct e quindi la mortificazione della forza polisemica del testo e la cancellazione di secoli di letture e interpretazioni, che appartengono di diritto alla storia della tradizione, oltreché alla fortuna di questo testo. Forse l’esacerbazione sessuale è spiegabile come intenzione polemica contro un'educazione sessuofobica. Benigni per essere politicamente corretto ha anche infilato nel Cantico omosessuali e lesbiche. Bene buttar via l'acqua sessuofobica, ma attenzione al bambino che non è solo sesso. Non c'è bisogno di veder organi sessuali e amplessi ovunque per coglier l'eros del Cantico: si pensi ai versetti nel Vespro della Beata Vergine di Claudio Monteverdi, purissimo uso liturgico dell'eros: Nigra sum... Ecce iam hiems transiit... Surge, amica mea…
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