Dopo gli omicidi in Francia, a Parigi e Marsiglia, e in Austria a Vienna, e in particolare quello del professor Samuel Paty, assassinato dopo aver mostrato in classe alcune caricature di Maometto, anche nella redazione c’è stata una larga e animata discussione (vedi gli altri due articoli di Casadio e Peyretti). Si sono lette e condivise riflessioni che mettevano in luce posizioni spesso polarizzate: pur stigmatizzando entrambe, ovviamente, i recenti crimini, sembravano coagularsi attorno a due partiti, quello del rispetto e quello della libertà. Modelli esemplari di questa dialettica contrapposta sono apparsi il breve scritto di Carlo Rovelli, Non sono d’accordo e la lettera aperta di Paolo Flores d’Arcais che replicava a quella riflessione. La discussione nella redazione, il fatto stesso che sia esistita e abbia mosso passioni contrapposte, ma anche una necessità di dibatterle, ci ha portato forse come approdo che nessuno di questi aspetti possa essere considerato un valore assoluto. Gli assoluti, in fin dei conti, sono rassicuranti, ma spesso inesatti. Considerare il valore della libertà e del rispetto ci pone in realtà di fronte alla difficoltà di trovare un equilibrio tra due elementi che i rapporti sociali rendono estremamente complicato e precario.
C’è un livello di critica legittimo: la satira ne è un attore mordace, ma può anche esserne l’oggetto. Pertanto, facilmente uno può trovare ad esempio le vignette di «Charlie Hebdo» piacevoli, un altro disgustose. E può dichiararlo. Il problema sorge se in nome di quel disgusto ne chiede la rimozione, o peggio, arriva a uccidere. Qui si passa un argine che non può essere sostenuto con un appello al rispetto (per quanto un esercizio dell’empatia renderebbe forse le nostre società migliori nella gestione dei loro conflitti). Perché il rispetto, quando proposto in una misura eccessiva, strabordante, può diventare una clava che una parte muove sull'altra. Ora sembra che l'islam abbia nel suo seno un livello di isteria preoccupante. Certamente l'islam non è l'unica fede ad avere avuto questi accessi. Tutte le religioni le hanno coltivate nel loro seno, come se il dogmatismo fosse una tentazione sempre presente, e la stessa laicità vi si è talvolta abbandonata, mostrando un volto persecutorio nei confronti dei credenti. E questo è accaduto anche per la laicità francese: senza tornare agli eccessi della Rivoluzione, si può ricordare l’affaire des fiches all’inizio del secolo scorso, quando il governo di Émile Combes imbastì una schedatura dei soldati cattolici per impedirne le promozioni. L’oltranzismo fanatico non identifica il pensiero laico, né quello cristiano, né qualsiasi altra fede, ma in alcuni momenti storici, in alcune aree sociali incuba al loro interno. Lo stesso discorso vale per l’islam. È una banalità quasi scontata ricordare che continua a offrirci pensatori illuminati, anche in Italia, basta pensare, a titolo di esempio, alla scrittrice contemporanea Igiaba Scego. Non si può tuttavia negare che nell’islam il rapporto tra fede e libertà di espressione sia oggi assai problematico e questo al di là degli attentati che hanno insanguinato molte città. In diverse delle sue manifestazioni va oltre il legittimo diritto di critica e la questione non può essere chiusa con un appello al rispetto. Il senso di offesa della propria fede è un sentimento soggettivo variabile, che sarebbe improprio trasformare nell’ideale regolativo di una società.
Tuttavia c'è un altro aspetto, ovvero che la satira sia sempre legittima nella sua denuncia. La satira antisemita è stata uno dei volani per la diffusione dell'odio antiebraico. Anche dove non ha portato all'instaurazione di regimi persecutori e totalitari, ha comunque contribuito a diffondere una mortificante deformazione delle comunità ebree, anticamera di atteggiamenti violenti e discriminatori. La stessa Francia ne è stata un esempio. Non abbiamo ragione di dubitare che alcuni trovassero piacevoli anche allora le vignette che rappresentavano gli ebrei come mostri o insetti. E anche in quel caso si può dire che non si voleva offendere una religione, ma la presunta potenza dell'ebraismo mondiale. Certo, tra quella paccottiglia e «Charlie Hebdo» c’è uno scarto, che chiunque può misurare. Ma l’accostamento ci aiuta a dubitare che la libertà di irridere sia una facoltà assoluta. Una delle conquiste che viene dallo sviluppo del pensiero razionale, che ha nell’illuminismo uno dei suoi passaggi cardinali, è stata proprio quella di interrogarci rispetto alle situazioni che ci troviamo di fronte, senza poterle risolvere appellandoci a principi assoluti, ma attraverso la ricerca di una difficile medietà, poco rassicurante, che ci permette però di fare i conti con la complessità delle cose.
Marco Labbate |