Il mese di ottobre ha visto la partecipazione di milioni di cittadini a consultazioni e manifestazioni, dimostrando che molti italiani non hanno ancora perso il gusto e la voglia di far sentire la propria voce, impegnarsi, discutere e partecipare alle decisioni collettive.
A questo dato positivo, se ne affianca un altro molto preoccupante: la crisi sempre più grave delle tre istituzioni fondamentali della nostra Costituzione: il parlamento, il governo e la magistratura. Le prime due non riescono più a svolgere il loro compito istituzionale: dibattere con chiarezza e trasparenza le diverse scelte politiche che vengono presentate sui problemi della nostra società, decidere a maggioranza, eseguire con rapidità ed efficienza le decisioni prese.
Nel Parlamento sono presenti una quarantina di partiti, molti rappresentati da un solo parlamentare! Per avere visibilità, ciascun partito deve diversificarsi in qualche modo dagli altri, amplificando le differenze e moltiplicando gli scontri in aula, generando l’impressione di inefficienza, confusione, inconcludenza del parlamento stesso, che ne fa apparire il costo ingiustificato ed eccessivo.
I governi sono formati da coalizioni eterogenee con programmi opposti, pensiamo alla distanza di posizioni nell’attuale maggioranza tra Udeur e Rifondazione Comunista, o nel centrodestra tra la Lega secessionista e An nazionalista. Così, basta un piccolo gruppo di dissenzienti, oggi addirittura un solo senatore, per ricattare tutta la maggioranza, paralizzarne l’attività, addirittura minacciarne la caduta. Da qui mediazioni infinite e paralisi.
La magistratura è sempre più incapace di fare giustizia, stretta tra divisioni interne, contrapposizioni con gli altri due poteri, regole che sembrano fatte apposta per vanificarne il lavoro. Mentre qualche anno fa il problema era l’eccessiva durata dei processi (giustizia ritardata), oggi siamo oltre, sempre più processi si concludono con una prescrizione, in particolare quelli a persone in grado di pagarsi per tutto il tempo necessario buoni avvocati (nessuna giustizia).
Tutti i tentativi di riforma della seconda parte della Costituzione, parziali e spesso estemporanei, o sono abortiti o non hanno fatto che peggiorare la situazione.
Questo miscuglio di voglia di partecipare e di mancanza di sbocchi istituzionali è molto pericoloso per la democrazia e in particolare per la sinistra. La formazione di un grande partito di centrosinistra con la partecipazione e l’impegno di così tante persone è forse l’ultima possibilità per la classe dirigente democratica del nostro paese. Può innescare una ricomposizione salutare di partiti e partitini partendo dai programmi e non dalle ideologie o dai personalismi e fa cessare l’anomalia italiana per cui il capo del governo non appartiene al partito più grande della coalizione. Devono realizzarsi però due condizioni essenziali: in primo luogo, il Partito Democratico deve restare generosamente aperto ad altri apporti e confluenze, in particolare verso la sua sinistra; in secondo luogo, le due anime della sinistra, quella socialdemocratica e quella comunista, dopo 90 anni di scontri e divisioni che hanno causato disastri e sconfitte a loro e gravi danni all’Italia, devono riuscire a collaborare lealmente senza tentare di prevaricarsi e conquistare l’egemonia a danno dell’altra, cercando punti di mediazione, senza dover per questo essere costrette ad abbandonare le proprie convinzioni profonde. Ciò oggi non dovrebbe essere impossibile dopo la fine del comunismo sovietico e sarebbe tragico perdere anche questa ultima occasione.
La prima cosa che l’alleanza di centrosinistra deve assolutamente e urgentemente fare è riformare a fondo la seconda parte della Costituzione. Senza istituzioni rinnovate, più rispondenti alla realtà e alle necessità dell’Italia di oggi, temiamo che ogni altro sforzo sarà vanificato. Il compito richiede uno sforzo particolare di apertura, lungimiranza e coraggio perché una riforma profonda e seria non si può fare contro il centrodestra, che però recalcitra perché teme con un accordo di rafforzare il governo Prodi.
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