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 478 - Pandemia e cambiamento

 

Ricostruire l’Arca

«Quando perdi, non perdere la lezione»: le crisi, le sconfitte e gli insuccessi sono i migliori maestri. Questo insegnamento del Dalai Lama sembra attualissimo nei giorni della pandemia: anche se è difficile ragionarne, mentre si è nella burrasca.

Infatti la letteratura, per ora, balbetta. Aveva precorso i tempi il romanzo-saggio Spillover, che è anche un reportage dei viaggi a scopo scientifico compiuti da David Quammen dalle foreste congolesi alle fattorie australiane, sino agli affollati mercati delle megalopoli cinesi. Poi nel 2020 sono arrivate le cronache del lockdown. Ma particolarmente notevole pare la favola narrata da un misterioso Filelfo sotto il titolo L’assemblea degli animali e pubblicata lo scorso autunno da Einaudi dopo qualche anticipazione su Robinson.

 

Un apologo morale

Tutto ha inizio all’indomani degli incendi che nel 2019 distruggono in Australia l’habitat di milioni di animali in uno spaventoso ecocidio. Si convoca allora l’assemblea di tutte le specie animali per decidere come reagire ai «disastri causati alla Terra dal suo più giovane e intemperante colono», il cosiddetto Homo Sapiens. I pareri sono discordi. Alcuni riscontrano nell’uomo una somiglianza con i grandi predatori del passato, ma i più vi scorgono una minaccia assai peggiore per l’intero pianeta e intendono lanciargli un avvertimento ultimativo: una terribile epidemia, preludio di una possibile, futura estinzione.

Tuttavia, come scopriranno i lettori, non tutto è perduto. Ciò che merita di essere evidenziato è la qualità della scrittura di Filelfo, che intreccia al genere letterario della favola (e alla finzione degli “animali parlanti”) un vasto mosaico di citazioni, di cui svela le fonti nell’appendice bibliografica. Si spazia dai testi biblici – Qoélet, i Salmi, Isaia – ai filosofi greci, dai poeti latini ad Origene, da Hobbes sino a Kafka, Borges, Camus, per non dire di Freud e Jung, o delle incursioni nell’Oriente buddista.

Sincretismo gnostico? Chissà. Sta di fatto che l’inno alla natura si intride di molta e illustre cultura, ovvero di una tradizione sapienziale che risulta adattissima a riorientare l’umanità di fronte alla sfida straordinaria che la attende (d’altronde, nella seconda pagina di copertina l’anonimo narratore riconosce il proprio debito: «Non dico nulla di mio. Ripeto … parole altrui»). Sul banco degli imputati è la catastrofe ecologica foriera delle pandemie del XXI secolo: dopo l’Hiv, la mucca pazza, l’influenza aviaria e la peste suina, sperimentiamo il Covid 19 proveniente da pipistrelli e pangolini, cui ha già rischiato di aggiungersi la variante dei visoni danesi. Le zoonosi si moltiplicano, favorite dalla deforestazione e dalla perdita della biodiversità, mentre le infezioni dilagano grazie all’urbanizzazione, all’inquinamento e alla globalizzazione.

Sicché la morale della favola diviene trasparente: urge una ri-conversione ecologica che investa alla radice (e su larga scala) il nostro pensiero, gli stili di vita e l’economia. Un’impresa titanica, le cui scadenze sono dettate – come ci ricorda Luca Mercalli – dalle leggi implacabili della termodinamica e della biosfera.

 

Neoplatonici e animalisti

Il filone filosofico privilegiato da Filelfo è il neoplatonismo che attinge al Timeo («Questo mondo è nato come un unico essere vivente dotato di anima e intelligenza») e recupera le Enneadi di Plotino e la Tavola di Ermete Trismegisto («Ciò che sta in alto sta anche in basso e ciò che sta in basso è come ciò che sta in alto. E tutte le cose sono una cosa sola») per approdare alle riletture recenti dello psicanalista junghiano James Hillman, persuaso che «da tempo l’uomo percepiva l’estinguersi delle piante e degli animali […] e perciò era naturale che la sua anima provasse una sensazione di isolamento, di nostalgia e di lutto».

Ne consegue anche una reinterpretazione del Genesi: il peccato all’origine della “caduta” sarebbe la dimenticanza – da parte degli umani –di quell’unità/armonia primordiale, la loro presunta (e presuntuosa) separazione dalla “natura” di cui sono parte e che invece considerano sempre più esterna ed estranea.

A queste riflessioni si affianca poi, in specifico, la tematica animalista. Mai come in questi tempi, miliardi di animali sono stati ridotti a carne da macello, inghiottiti dalla gigantesca industria degli allevamenti intensivi, che nella sua catena di montaggio li produce, li rimpinza di cibo e di farmaci e li uccide, reificandoli in una condizione che non ha più nulla di “animale”. Qualcuno osserva anche – a ragione – che mai come oggi alcuni animali d’affezione sono stati vezzeggiati, antropomorfizzati o idolatrati: ma il crescente bisogno della loro vicinanza sembra derivare proprio dalla necessità di un residuo contatto con quel mondo naturale che stiamo cancellando: la “nostalgia” delle radici animali/vegetali/terrestri evocata da Hillman, tanto maggiore in un’epoca in cui certe derive del trans-umanesimo annunciano (o addirittura esaltano) le ineluttabili ibridazioni dell’uomo-macchina.

 

Chiesa, scienza, fedi

Dell’Assemblea degli animali Silvia Ronchey ha ampiamente parlato nella trasmissione di Radiotre «Uomini e profeti» (riascoltabile in podcast) insistendo sulla convergenza tra il messaggio di Filelfo e gli appelli formulati da papa Francesco, che  hapiù volte esortato – a proposito del problema ambientale – a una conversione intesa come metanoia, ossia rovesciamento del paradigma culturale precedente. È interessante anche il riconoscimento da parte del papa (nei colloqui con Carlo Petrini: Terra futura. Dialoghi sull’ecologia integrale) del percorso di graduale presa di coscienza che egli stesso ha compiuto, dagli anni non lontani in cui ascoltava con perplessità o “fastidio” gli interventi dei vescovi brasiliani che denunciavano la devastazione della foresta. Ma soprattutto sorprende che a pochi anni dalla pandemia un pastore ottantenne promulgasse un’enciclica “verde” come la Laudato si’ e nel 2019 riunisse un Sinodo sull’Amazzonia, per poi accusare – sulla piazza deserta di San Pietro, la sera del 27 marzo 2020 – l’illusione di «rimanere sani in un mondo malato».

Azione dello Spirito o intuito politico? Comunque sia, si è in presenza di una situazione inedita. L’istituzione che ha impiegato quasi quattro secoli per riabilitare Galileo precede larga parte della politica internazionale nell’acquisizione di una coscienza ambientalista e si trova in piena consonanza con la comunità scientifica: ammette che «si è verificato un notevole eccesso antropocentrico» e sollecita i governi a «investire molto di più nella ricerca per comprendere il comportamento degli ecosistemi» (Laudato si’, 116 e 42).

È presto per dire se si sta riducendo il fossato che per secoli ha separato la chiesa cattolica – o le religioni tout court – dalla scienza (resa peraltro più cauta e dubitativa dagli interrogativi della fisica quantistica). Più accertata è la consonanza realizzatasi in materia di «salvaguardia del creato» tra le chiese cristiane – non a caso la Laudato si’ prende spunto da uno scritto del patriarca ortodosso Bartolomeo – e con le altre fedi.

 

Il domani dei giusti

Senza nulla anticipare della trama di Filelfo, va detto che tiene vivo il barlume della speranza. L’umanità può cambiare, osserva la gatta che con il cane Momo ne è la principale alleata. «L’uomo non si conosce, lo sappiamo bene, da quando il germe della dimenticanza lo ha esiliato dall’unica grande anima del mondo. Ma ora sta capendo, per effetto di un altro germe, qual è il suo vero nemico». E l’ultima pagina ripropone la leggenda ebraica dei “giusti” che salvano il mondo, o lo reggono in vita: «I nuovi giusti sono ovunque, confusi tra la gente comune, disseminati in tutto il mondo, persi in mille lavori e fatiche e problemi, a ricostruire umilmente una nuova arca. Forse qualcuno di loro proprio ora ha tra le mani questo libro e lo sta leggendo. Forse sei tu, lettore arrivato alle sue ultime parole. Che non possono che essere: de te fabula narratur. Perché da sempre la favola parla di te».

L’esito finale è lasciato alla responsabilità di ciascuno e alla coscienza che cresce nell’uomo come in tutti i viventi. Quanto ai giusti che additano la strada e la precorrono, vengono in mente due figure e due ricorrenze: Alex Langer, di cui si è da poco celebrato il venticinquesimo anniversario della morte, che rimane il miglior esponente dell’ecologismo politico in Italia e che ci ha invitati a vivere lentius, suavius, profundius (con più lentezza, dolcezza, profondità), rovesciando in una profetica metanoia il motto delle Olimpiadi; e lo scienziato torinese Aurelio Peccei, che con il Club di Roma pubblicò quasi cinquant’anni fa – nel ’72 – un testo basilare dal titolo emblematico (I limiti dello sviluppo).

Certo, se guardiamo al presente e alla realpolitik quello di Filelfo appare un sogno o un’utopia. Ci sono le scaramucce e il cicaleccio assordante della piccola politica; ci sono i problemi seri, come la grave crisi economica e sociale alle porte; e c’è il finanzcapitalismo imperante – quello descritto da Luciano Gallino – che prospera (sino a quando?) anche nella pandemia, con le Borse che salgono mentre calano o crollano la produzione e l’occupazione. Della questione ecologica si parlava nel primo lockdown, poi sempre meno. Nel nostro piccolo, nessuno domanda ai candidati sindaco di Torino come intendano contrastare l’emergenza smog in una delle città più inquinate d’Europa.

Eppure qualcosa si muove. In alto, l’Unione Europea pone la “transizione ecologica” al vertice dei propri obiettivi, mentre Biden torna agli accordi sul clima. In basso, le “buone pratiche” si moltiplicano e i giovani di Fridays for Future ne fanno giustamente una battaglia generazionale. E molti, moltissimi condividono (ciascuno a suo modo) le preoccupazioni e le intuizioni di Filelfo. Il cammino è lungo, il tempo è breve.

Giovanni Pagliero

 

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