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«Una causa civile giunge in Germania alla sentenza di primo grado in 200 giorni, in Italia in 500»: così ha detto Mario Draghi il 26 aprile alla Camera illustrando il piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) necessario per impiegare i 191 miliardi di euro contrattati dal governo Conte e dal ministro Gualtieri con l’Unione europea. Questa discrepanza evidenzia non solo la violazione dei diritti dei cittadini, ma anche l'enorme danno che una tale “giustizia” reca al sistema economico e al benessere generale. Sarà la giustizia (civile, ma anche penale) una delle quattro riforme base del governo nell'attuazione del piano, insieme a pubblica amministrazione, fisco e concorrenza.

Di riforma dell'apparato dello Stato si parla in realtà dall'entrata in vigore della Costituzione, nel 1948, quindi qualche perplessità è lecita. Il governo indica tre campi di azione prioritari: la stratificazione normativa, ormai babelica, il miglioramento delle competenze individuali, in un quadro di digitalizzazione crescente, evidentemente ancora assai arretrata. La burocrazia sarà rinforzata e digitalizzata, ma è ancora quella di sempre: sarà capace di reggere l’impatto del piano? Perché non è indifferente come, in che percentuale e soprattutto in che tempi sarà realizzato. L’Unione vigila e in caso di gravi ritardi potrebbe decidere di riassegnare i fondi a noi destinati ad altri paesi più efficienti. Fondamentale sarà anche la produttività degli investimenti che faremo, perché i fondi che riceveremo dall’Ue sono in maggioranza un prestito e se gli impieghi non genereranno un aumento adeguato del reddito tale da ripagarlo avremo solo rimandato il tracollo.

Sul fisco viene ribadito il rigoroso principio costituzionale (art. 53) della progressività delle imposte, contro ogni ipotesi di flat tax. Con qualche criticità. È noto infatti che nella situazione della pandemia chi ha avuto maggiori danni sono stati i lavoratori autonomi. Questi spesso lamentano l'esiguità dei ristori e dei risarcimenti statali per i mancati guadagni (le elemosine, abilmente cavalcate dalla destra non governativa, ma anche da quella che al governo c'è). Ci si dimentica peraltro che molti, non tutti, i titolari di queste attività, al momento di adempiere i loro doveri fiscali spesso erogavano pochi spiccioli (diciamo un'elemosina). Ci troviamo quindi di fronte a un'urticante nemesi storica, di cui nessuno parla, in nome di una equivoca «pace sociale». Questa situazione renderà assai difficile ogni riforma e Draghi infatti è stato assai generico in tema di lotta all'evasione fiscale.

Sulla concorrenza infine il presidente del Consiglio ha rilevato una nostra inadempienza nei confronti dell'Ue, le cui norme richiederebbero ogni anno dal 2009 normative in ogni stato che facessero il punto della situazione. In Italia ciò è avvenuto, e parzialmente, solo una volta nel 2017. Chi ritenesse questo tema di scarsa importanza sbaglia di grosso. La tutela della concorrenza nelle attività economiche, infatti, significa lotta alle posizioni di monopolio, agli egoismi corporativi e alle rendite di posizione, che, oltre a frenare un ordinato sviluppo, creano disuguaglianze e disparità tra i cittadini. Un esempio per tutti: le concessioni demaniali sulle spiagge, che l'Ue ci chiede giustamente di mettere a concorso, mentre da decenni sono appannaggio degli stessi gruppi ristretti e corporativi, che pagano, tra l'altro, ridicoli canoni di concessione.

Il documento presentato da Draghi prosegue con un lungo elenco di investimenti diretti a perseguire obiettivi molto apprezzabili: da uno sviluppo più accelerato del Sud al miglioramento della sanità, puntando sull’assistenza domiciliare, diffusa sul territorio, a un vasto impegno su scuola e ricerca, a partire dagli asili nido, perché è da questo livello di scolarità che inizia la lotta al disagio e alle disuguaglianze. Non mancano spunti assai interessanti sulla riqualificazione professionale dei lavoratori di comparti produttivi in declino e forti investimenti nei trasporti cosiddetti sostenibili.

Alcuni di questi temi potranno essere ripresi in altra sede. Soffermiamoci solo sullo sviluppo del Sud. Il piano prevede a questo fine l’impiego del 40% delle risorse. Anche ammessa la piena realizzazione del Pnrr, resta un grande punto interrogativo: riusciremo a raggiungere l’obiettivo di recuperare il ritardo italiano rispetto agli altri grandi paesi dell’Unione? È uno sforzo notevole, ma in che misura questa massa di investimenti riuscirà a far uscire il Sud dall’arretratezza in cui si trova dall’unità d’Italia? Perché ormai abbiamo capito che lo sviluppo del sud Europa è legato a quello del nord Africa, se non a quello dell’intera Africa. Qui possiamo misurare la debolezza della politica africana dell’Unione e della nostra, insieme a quella degli altri paesi del sud Europa, per l’incapacità a imporla. Questa mancanza ci danneggia fortemente, mette a rischio l’efficacia del piano e si rivela tragicamente nei molti migranti annegati nelle acque del Mediterraneo.

Sia chiaro fin d’ora che senza le riforme citate in premessa e senza un sistema di controlli efficaci (nonché il rigoroso rispetto dei tempi) sarà ben difficile non diciamo concludere, ma neppure avviare un piano così impegnativo. Esso, nonostante tutte le riserve e le difficoltà messe in rilievo, è comunque una grande opportunità per l’Italia e occorre sperare fortemente, per il nostro bene e per quello dell’Unione, che riesca a darci la spinta necessaria per rialzarci.


 
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