Guelfi e ghibellini forever? Il nostro bel paese sembra condannato ad assistere (con opposte tifoserie) alle infinite repliche di questo derby. O, per dirla più seriamente, a una perpetua lacerazione – culturale e politica – tra il cosiddetto mondo laico e il cosiddetto mondo cattolico, irrigiditi dai reciproci pregiudizi in stereotipi quasi caricaturali.
Il logoro copione rischia di riproporsi un’ennesima volta sul tema del “fine vita” (ma qualcuno preannuncia che persino sulla cannabis alzerà i propri vessilli un redivivo “partito/partitino dei cattolici”, come già accaduto sul ddl Zan). Tema delicato e complesso – il fine vita – che interpella la coscienza di ognuno e la cui regolamentazione per legge pone difficili interrogativi. La logica vorrebbe che si partisse dall’attuazione di alcuni impegni (oggi largamente disattesi) su cui c’è largo consenso: il no all’accanimento terapeutico, l’applicazione sistematica della terapia del dolore e l’offerta di cure palliative ovunque sia opportuno. Realizzate queste premesse, le restanti richieste di eutanasia o suicidio assistito andrebbero valutate con la sensibilità umana e la carità cristiana che ogni grande sofferenza esige, al tempo stesso sbarrando la strada a ogni possibile deriva eugenetica.
Compito non facile, per il legislatore. Peccato che a complicarlo intervengano, anche stavolta, i toni da crociata e anticrociata, come se fossimo in presenza di due antropologie inconciliabili, anziché della comune e laboriosa ricerca di un umanesimo (il più possibile) integrale. Da una parte ritornano i “valori non negoziabili”, che guarda caso non riguardano mai il disarmo o le scelte inerenti all’economia o all’ecologia. Ma su entrambi i fronti sono poche le voci fuori dal coro, capaci di porsi le domande scomode. E l’informazione-spettacolo non aiuta, perché fa audience il diverbio schematico e semplificatorio, il manicheismo del pro e contro.
E così, anche sulla pelle dei malati più gravi potrebbe rinnovarsi la tenzone (e il teatro) dei guelfi e ghibellini. Ci auguriamo ancora, vivamente, che così non sia. Già il poeta fiorentino – della cui morte abbiamo celebrato il settimo centenario ‒ spiegava a chiare lettere che quella spaccatura era nociva sia alla Chiesa che alla società.E nel secolo scorso i padri costituenti della repubblica esortavano spesso al superamento di quello “steccato storico”, che anche dopo l’Unità d’Italia aveva rallentato e ostacolato non poco la trasformazione sociale del paese.
D’altronde, basti l’esempio – eclatante - delle politiche familiari. Da decenni i paladini nostrani della famiglia tradizionale si azzuffano nei talkshow e in parlamento con i fautori delle famiglie-arcobaleno. Nel frattempo – almeno sino alla recente legge Delrio sull’assegno unico – né gli uni né gli altri hanno mosso un dito per impedire che il nostro welfare familiare restasse di gran lunga al di sotto della media europea, e il sostegno alla maternità pressoché inesistente.
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