Il dato più rilevante delle ultime elezioni amministrative è stato sicuramente quello dell’astensione: quasi il 60% degli aventi diritto non è andato a votare. A Torino per esempio Lo Russo, il nuovo sindaco Pd, ha vinto con gli stessi voti con cui cinque anni fa Fassino ha perso, cioè lo ha votato solo il 25% dei torinesi. Alla periferia nord, che aveva decretato la vittoria della 5Stelle Appendino, solo poco più di un terzo del corpo elettorale si è recato alle urne. Sono dati impressionanti. Molte sono le cause di questa estesa astensione. Il disprezzo per i politici, considerati generalmente incapaci e tesi solo ad arricchire la propria cordata a spese della collettività, i programmi sempre più vaghi e inconsistenti, le troppe delusioni per le tante promesse disattese, la fine delle ideologie e dello scontro tra modi diversi di intendere l’uomo e la società.
Riflettendo, però, ci si accorge che c’è qualcosa di più profondo e generale: l’affluenza al voto infatti, salvo casi particolari, tende a calare in tutte le democrazie, anche in quelle più consolidate come l’inglese, la francese o l’americana. Questo disinteresse, questo crollo della partecipazione politica, anima della democrazia, fa pensare ad alcuni che sia in una crisi irreversibile. Ma ci sono altri segni preoccupanti. La facilità con cui movimenti e partiti improvvisati sorgono, raccolgono molti voti per essere poi subito ridimensionati o sparire completamente. Stanno inoltre crescendo in tutto l’Occidente movimenti che fanno della dietrologia il loro credo: pensano che il mondo sia governato da forze potenti e oscure, manipolatrici e ingorde. La pandemia ha dato loro una bella spinta rendendoli più aggressivi. Questi movimenti estremisti e spesso folcloristici per ora non hanno un peso determinante, sono però il sintomo di un malessere più generale, esprimendo in maniera distorta ciò che il popolo percepisce a pelle senza dargli un nome preciso, ciascuno si sente isolato, piccolo, impotente di fronte a una realtà molto più grande e complicata, troppo difficile da decifrare e da controllare.
Il fatto è che nel mondo stanno cambiando velocemente e profondamente gli assetti politici, economici, sociali e culturali consolidati negli ultimi 200 anni. L’Occidente che si pensava il faro della civiltà è in crisi, il suo dominio e la sua egemonia sono in declino. Popoli già sottomessi rialzano la testa e pretendono il loro posto nella storia, nuove potenze stanno sorgendo, il mondo si unifica. Per questo la vecchia cultura e le attuali istituzioni mondiali non sono più in grado di svolgere le loro funzioni adeguatamente. Il compito che attende l’umanità è quindi immane perché occorre ripensare il significato del nostro stare al mondo per adattarlo alla mutata realtà e per cercare di costituire istituzioni e una organizzazione sociale in grado di far convivere i futuri dieci o dodici miliardi di abitanti del nostro pianeta, evitando l’ecatombe nucleare e quella ecologica.
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