La migrazione di popoli, che sempre più ci riguarda come paese di arrivo, pone problemi a cui non siamo preparati. Crescendo le dimensioni e complicandosi gli aspetti del fenomeno, risalta la nostra impreparazione di fondo. Nella ricerca di una politica e di una legislazione meno inadeguate, siamo consapevoli che chiunque (destra o sinistra) ne abbia la responsabilità si trova davanti a grandi inedite difficoltà, e tuttavia pensiamo che l'impostazione fondamentale debba essere di carattere morale, umano, universalistico, sebbene confrontato con i limiti realistici.
Nessuna politica, nessuna economia, né alcun altro nostro interesse o problema è importante e decisivo come riconoscere l’umanità in ogni essere umano. Il diverso, l'incomunicante, anche il colpevole, sono tutti esseri umani. Senza di ciò la nostra umanità sarebbe sconfitta, quale che possa essere la soluzione data al problema. Nulla di nuovo in questo, ovviamente. Nuovi sono i termini concreti delle improvvisate convivenze sullo stesso spazio, tra identità differenti e naturali tensioni.
Tutti coloro che vengono in Italia, vengono per vivere meglio, come vogliamo noi. Ma come? Qui è il problema. Ci sono tre possibilità. Quelli che vengono per lavorare (facendo spesso lavori che gli italiani rifiutano): bisogna accoglierli con decoro e inserirli nel mondo del lavoro degnamente senza lo sfruttamento per anni a cui molti sono costretti. Quelli che vengono per delinquere: bisogna contrastarli decisamente ed efficacemente senza indulgenze o scusanti controproducenti. E infine il caso più difficile: quelli che vengono clandestinamente per lavorare ma non riescono ad inserirsi e scivolano lentamente nel degrado cadendo preda della delinquenza organizzata o commettendo reati per disperazione: bisogna ridurre al minimo la clandestinità e approntare politiche efficaci contro il degrado. I due obiettivi, però, sono in parte contraddittori perchè un impegno serio e cospicui fondi per l'integrazione dei clandestini non fanno che attirare sempre più clandestini.
Il nostro popolo non è incapace di accoglienza umana, anzitutto, e poi anche di trovare un po' alla volta soluzioni pratiche. Lo ha dimostrato abbastanza di fronte alle precedenti minori ondate migratorie. Questo ci sembra vero, anche se il primo impatto è sempre stato di chiusura e diffidenza, se non di ostilità (lo sa chi ricorda l'arrivo dei meridionali a Torino, ma anche la successiva integrazione). Però oggi rozze ideologie localistiche come il padanismo, ma anche il diffuso asocialismo, aggravano le difficoltà di soluzione.
Quando poi un singolo o pochi atti delinquenziali compiuti da immigrati colpiscono l'emozione pubblica, e compaiono gravi segni di risposta razzistica come quelli che abbiamo visto, la preoccupazione per il futuro aumenta. L'informazione drogata dalla ossessione di vendere alza la febbre delle emozioni irrazionali. L'opinione eccitata esige provvedimenti rapidi, come se potessero essere risolutori. Il governo si precipita a offrire illusioni di immediate soluzioni, rischiando che i provvedimenti precipitosi siano incostituzionali, perciò non validi, ma produttori di danno civile profondo. L'opposizione sfrutta al massimo la difficoltà alzando il prezzo per collaborare, e si presta a tutelare le pretese più sommarie.
La responsabilità penale, tutta e soltanto personale, è quel principio giuridico universale (nella nostra Costituzione enunciato nel chiarissimo art. 27) che in simili situazioni rischia di essere perso di vista, con un danno profondo, incalcolabile, che minaccia tutti noi, gli indigeni come gli immigrati. Si sente parlare di espulsioni o «accompagnamenti coatti» alla frontiera (ma cosa sono ancora le frontiere?) calcolati a migliaia, invece che caso per caso sulla base di responsabilità personali, e sempre con diritto di ricorso, come esige lo stato di diritto e l’Unione Europea ci ha dovuto ricordare.
Eppure, gestire il fenomeno nuovo per dimensioni e pervasività richiede di saper immaginare soluzioni adeguate. Si parla giustamente di collaborazione internazionale (le immigrazioni problema europeo), di cooperazione con i paesi di origine dei movimenti migratori. Ci pare che questa sia la direzione più sensata per cercare soluzioni sul piano politico, legislativo, penale, e soprattutto di dialogo tra i popoli. Anche sul piano della spesa pubblica: le «grandi opere» del momento sono le case e le strutture d'incontro sociale. Senza la piazza dell'incontro, non c'è città, non c'è società umana, né tradizionale né nuova, né omogenea né composita. Periferie come Scampia a Napoli, con vari supermercati e nessun altro luogo di incontro se non opera di eroici volontari, strangolano la vita sociale, producono asocialità aggressiva. È fuori discussione che le situazioni di disagio, emarginazione, necessità, non giustificano alcun delitto, da chiunque commesso, ma impegnano la società a fare il massimo per liberare chiunque da quelle situazioni. Chi offende la vita e la dignità di altri ne deve rispondere alla legge, come tutti noi, non di meno, non di più, senza alcuna sottintesa attenuante né aggravante etnica. Il paese non deve scivolare nel lassismo demagogico, che non evita il razzismo: il rigore democratico dei diritti e dei doveri umani è la via corretta che tutela al meglio i vecchi come i nuovi italiani.
Ma sottostante alle decisioni, come dicevamo, è la qualità morale, civile, dell'animo pubblico davanti a questi fatti. Qui è decisiva la capacità delle "agenzie morali", ma altrettanto dei formatori di opinione pubblica, nel temperare i contraccolpi nella psicologia di massa, aprendo il senso identitario più serrato su di sé alla pluralità umana, che è in ciascuno, come ricchezza da scoprire, pur con impegno e fatica. Le chiese, la scuola, le religioni insieme, il discorso e le immagini pubbliche nei media sono messi alla prova storica: nonostante tutte le difficoltà, bisogna superare l'attuale strozzatura razzistica, alto rischio di infarto civile e umano.
I fascismi del XXI secolo sono annidati nel tumore dello scontro di civiltà, subito come destino mortale nella capitale dell'impero come nelle periferie e baraccopoli più disgraziate. L’accusa collettiva e la violenza razzista sono barbarie intollerabile. Quando la politica le utilizza, è barbarie. Ogni violenza suscita violenza e odio nelle persone di scarsa e debole umanità, ma impegna lo stato democratico e i cittadini più civili a provvedimenti e comportamenti legali, civili, umanitari. Di fronte ai germi di razzismo, l'emergenza ancor più che politica, è umanitaria, proprio come quando una popolazione muore di fame, di carestia, di terremoto. Il soccorso, l'unico che può trovare soluzioni reali, è il riconoscimento umano universale.
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