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chiesa
In quei giorni, infatti, è stato presentato il rapporto della Commissione indipendente sugli abusi sessuali nella Chiesa francese (noto come Rapport Sauvé dal nome del Presidente della citata Commissione). La stima delle vittime – tra 216.000 e 330.000 in un arco di tempo di 70 anni dal 1950 al 2020 – ha fatto scandalo ovunque. In Italia l’eco si è spenta rapidamente, un fuoco di paglia, come in Spagna e in Polonia. Sarà un caso che i tre cattolicesimi più oscurantisti del vecchio continente siano proprio quelli le cui Conferenze Episcopali non hanno promosso indagini sul fenomeno? Possibile che in Italia nessun boy-scout, nessun seminarista, nessuna allieva di pensionato cattolico, siano mai stati molestati? Qualcuno può davvero credere che gli abusi sessuali siano una specialità delle chiese cristiane solo in Francia, Irlanda, Olanda, Germania, Belgio e Inghilterra, guarda caso i Paesi in cui apposite commissioni sono state incaricate di svolgere le opportune indagini? Ovviamente l’attenzione dei media si è concentrata sui numeri scandalosamente alti degli abusi sessuali, e, in Francia, sulle schermaglie tra autorità ecclesiali e pubbliche. Spiace, perché il rapporto Sauvé, per almeno due terzi, si preoccupa di analizzare le origini del fenomeno e di formulare raccomandazioni di riforma dell’organizzazione ecclesiastica per metterla al riparo da questa e altre forme di abuso di potere. Proprio perché solo due cifre sono state estratte dalle 2.000 pagine del Rapporto finale e dalle 50 della sua Sintesi, mi sembra opportuno che questo nostro foglio dia conto di un lavoro ben più stimolante, al quale non esiterei di attribuire – sul versante laico – analoga importanza del rosminiano Delle cinque piaghe della Santa Chiesa. La Commissione Nel febbraio 2018 la Conferenza Episcopale Francese (Cef) decise di incaricare una Commissione indipendente per fare luce sul fenomeno degli abusi sessuali nella Chiesa cattolica. Pochi mesi dopo la Conferenza degli ordini religiosi di Francia (Corref) aderiva all’iniziativa. L’incarico conferito alla Commission indépendante sur les abus sexuels dans l’Église catholique (Ciase), come risulta dalla lettera di investitura del novembre 2018, si articolava in quattro obbiettivi: 1) fare luce sulle violenze sessuali all’interno della Chiesa cattolica a partire dal 1950; 2) esaminare se e come questi casi siano stati o non siano stati gestiti; 3) valutare l’efficacia delle misure adottate dalla Chiesa per affrontare questo flagello; 4) formulare qualsiasi raccomandazione ritenuta utile sulla base delle conoscenze acquisite nel corso dello studio. Di tutti i membri della Commissione, solo il Presidente – Jean Marc Sauvé, Vice-Presidente del Consiglio di Stato ed ex-Presidente dell’Académie de France (Villa Medici) a Roma – è stato nominato dalla Cef. Gli altri (dieci donne e undici uomini, tutti laici) sono stati scelti dal solo Presidente in funzione delle diverse competenze richieste: giuristi (avvocati, magistrati, civilisti), universitari (storici, teologi, sociologi, antropologi), medici (psicoanalisti, psichiatri, pediatri), funzionari pubblici (istituzioni di protezione dell’infanzia e delle famiglie). La loro opera è stata prestata a titolo gratuito; solo l’équipe di segreteria (due persone) ha ricevuto uno stipendio per la durata dello studio (30 mesi). Per la fase diagnostica la Ciase ha organizzato quasi 300 audizioni (ca. 170 vittime, 30 aggressori, 100 testimoni ed esperti); sottoposto tre questionari negli ambienti del clero, dei centri di ascolto, delle vittime di abusi sessuali; commissionato due grandi indagini sociodemografiche su scala nazionale ad altrettanti prestigiosi Istituti (l’Istituto nazionale per la sanità e la ricerca medica – Inserm ‒ e l’Ifop ‒ equivalente francese dell’Istat); fatto effettuare da un centro studi universitario (l’École pratique des hautes études, Ephe) una ricerca archivistica negli archivi diocesani di 31 vescovadi (chi scrive sa per esperienza quanto eccezionale sia questa autorizzazione) e di 15 Ordini religiosi, così come presso gli archivi del Ministero degli Interni e della Giustizia. Per la fase di orientamento terapeutico la Ciase ha strutturato la formulazione degli orientamenti e raccomandazioni attraverso quattro gruppi di lavoro: «dalla parte delle vittime», giustizia ristorativa, responsabilità, riparazione; «valutazione» delle misure prese finora dalla Chiesa; «governo della Chiesa», teologia, ecclesiologia e società civile; «conflitto e riforma», diritto canonico e diritto penale. Il costo (2,6 milioni di euro) di tale enorme attività, è stato interamente finanziato dalla Cef e dal Corref (che non nuotano nell’oro, contrariamente a quanto vuol far credere il populismo, e che hanno quindi dovuto fare delle economie su altri capitoli di spesa o donazioni – ne sa qualcosa la Caritas francese). I dati È bene precisare che l’obiettivo affidato alla Ciase non era di condurre un’indagine di tipo poliziesco volta a identificare eventuali vittime e colpevoli per portarli in tribunale, bensì di “fare luce” sul fenomeno, in termini quantitativi e qualitativi, lungo un arco di tempo di settanta anni dal 1950 ai giorni nostri. Il primo atto è stato un appello a testimoniare lanciato sui media tradizionali e social, attraverso il quale sono stati raccolti quasi 6.500 contatti, approfonditi poi con questionari, scambi epistolari, colloqui telefonici e 170 vere e proprie audizioni della Commissione. La lunga fase di ascolto ha profondamente segnato il lavoro della Commissione, come testimonia il suo presidente Sauvé nella presentazione del Rapporto finale: «Il rapporto della Commissione è quindi intriso della singolare, spesso sconvolgente, esperienza di incontrare e riconoscere persone che hanno subito violenze sessuali. La Commissione è intensamente consapevole che questo lungo viaggio, per molte vittime, ha ravvivato dolori profondi. Né ha lasciato indenni i suoi membri e, più in generale, tutti coloro che hanno lavorato con la commissione: a confronto con una dolorosa carica emotiva, sono usciti da questa traversata sconvolti, spesso feriti o rivoltati, sempre profondamente cambiati e ancor più preoccupati di essere all'altezza della fiducia ricevuta». Meno numerosi, ma non meno significativi sono stati i contatti pervenuti da parte degli aggressori, che hanno condotto a una decina di audizioni di membri del clero secolare e religiosi. Le ricerche archivistiche, dal 1950 in avanti, hanno esplorato tre diverse tipologie di fonti documentarie: gli archivi diocesani, gli archivi degli organi del Ministero degli Interni e della Giustizia, le fonti giornalistiche radiotelevisive e di quattro testate nazionali. Il lavoro archivistico ha permesso di formulare dei parametri di correlazione tra casi portati davanti alla giustizia, casi noti ma senza seguito giudiziario e infine casi occultati. Attraverso le indagini socio-demografiche si è poi proceduto a elaborare altri parametri in grado di confrontare l’ampiezza del fenomeno degli abusi sessuali nell’intera società con l’ambito più ristretto della Chiesa cattolica. I dati quantitativi presentati nel Rapporto Sauvé, su cui si sono quasi esclusivamente concentrate le attenzioni dei media, sono dunque il risultato di estrapolazioni condotte con il doveroso rigore scientifico socio-antropologico, e sotto il controllo di prestigiose università. Le fasi differenziate Tre periodi caratterizzano schematicamente l'evoluzione del fenomeno della violenza sessuale nella Chiesa cattolica: una fase 1950/1970 descritta come culminante, una fase 1970/1990 segnata da un reflusso del fenomeno, e dal 1990 un'apparente recrudescenza del fenomeno, che forse consiste essenzialmente in una maggiore pubblicità dei casi, senza che si possa affermarne con certezza un aumento. Negli anni ’50 i seminari erano ancora pieni di giovani che non avrebbero potuto pagarsi altrimenti gli studi; idem per i monasteri femminili. L’oratorio era uno dei rari svaghi disponibili dopo la scuola, e i convitti tenuti da ordini religiosi quasi l’unica offerta educativa. La situazione è poi rapidamente cambiata e la popolazione minorile raccolta dalle varie opere della Chiesa si è sensibilmente contratta. Se, a prima vista, gli attacchi commessi sono stati più numerosi in aree di pratica religiosa più diffusa, in realtà in termini relativi, vale a dire mettendo in relazione il numero di attacchi con il numero di membri del clero, è nelle aree di pratica più bassa che la concentrazione di casi di violenza è stata più alta, probabilmente a causa di una minore guida e accompagnamento dei sacerdoti e anche di una maggiore tolleranza nei confronti della loro cattiva condotta. È questa una preziosa indicazione che emerge dallo studio, in quanto rivela una risorgente tentazione a “chiudere un occhio” dal momento che di preti ce ne sono già così pochi... L'indagine della Ciase porta a una stima del numero di minori vittime di violenza sessuale commesse da sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose, che si attesta sulle 216.000 persone nel periodo dal 1950 al 2020. Estendendo l'analisi a tutte le persone legate alla Chiesa (personale di istituzioni educative cattoliche o collegi, laici che forniscono servizi di catechismo o di diaconato, animatori di movimenti scout o altri movimenti giovanili), il numero stimato di vittime minori è di 330.000 nell'intero periodo. Le cifre presentate sono enormi, ma devono essere contestualizzate con quello che avveniva nell’insieme della società nello stesso periodo, dove la violenza sessuale è purtroppo un fenomeno di massa: il 14,5% delle donne e il 6,4% degli uomini, circa 5.500.000 persone, hanno subito tale violenza durante la loro minore età. La violenza da parte di chierici e religiosi e religiose rappresenta poco meno del 4% del totale, che sale al 6% includendo i laici. Questi dati, invece di fare inorridire il portaparola della Cef, lo hanno condotto a rispondere seccamente a un giornalista che gli chiedeva se il celibato dei preti non avesse qualche ruolo nell’affare: «Ci sono più abusi sessuali all’interno delle famiglie che nei seminari, quindi il celibato non c’entra per niente». Più delicata è la stima del numero di chierici e aggressori religiosi nell'intero periodo in esame. La ricerca archivistica ha consentito di stimare tra 2.900 e 3.200 il numero degli aggressori. La forchetta si giustifica con il fatto che non tutti gli abusi sono noti alla Chiesa o hanno dato luogo all'apertura di un fascicolo. Su una popolazione di circa 115.000 tra chierici e religiosi, saremmo di fronte a un rapporto tra il 2,5% e il 2,8% del numero di preti e religiosi/e pedofili dal 1950 ai giorni nostri. Questi dati sono sostanzialmente in linea con le stime del fenomeno realizzate in altre nazioni europee, sia all’interno della chiesa cattolica sia della protestante (come in Germania e Olanda). Stefano Casadio (continua)
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