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 487 - Pedofilia, cancro della Chiesa / 3

 

Sinodalità al posto di clericalismo

La Commissione indipendente sugli abusi sessuali nella Chiesa francese (Ciase), incaricata, nel febbraio 2018, dalla Conferenza Episcopale Francese (Cef) e dalla Conferenza degli ordini religiosi di Francia (Corref), di fare luce sul fenomeno degli abusi sessuali nella Chiesa cattolica, nel suo Rapporto finale (noto come Rapporto Sauvé, dal nome del Presidente della Ciase, e reso pubblico nell’ottobre 2021) esprime un’abbondante serie di raccomandazioni volte a ridurre quanto più possibile il rischio di persistenza dello scandalo.

 

Per guarire il cancro

Senza sorpresa, il primo lotto di raccomandazioni attacca frontalmente il clericalismo: «Individuare, attraverso un lavoro di tipo “mappatura del rischio”, tutte le forme di abuso di potere,di innalzamento o di sopravvalutazione del sacerdote in relazione agli altri battezzati», recita testualmente la Raccomandazione n.3. Nella sequenza reclutamento – formazione – selezione dei futuri preti il Rapporto richiama la necessità di chiarire il rapporto tra spirito critico, autorità ed obbedienza; la distinzione tra carisma e seduzione; l’indulgenza sui profili dei candidati in periodo di carenza vocazionale. E poiché il miglior modo per lottare contro il clericalismo è introdurre più diversità nella Chiesa, la Ciase raccomanda senza esitazione di «rafforzare notevolmente la presenza dei laici in generale e delle donne in particolare nelle sfere decisionali della Chiesa cattolica» e chiede alla Cef di valutare le prospettive aperte dal Sinodo dell'Amazzonia, in particolare la proposta che «l’autorità competente, nel quadro di Lumen Gentium 26, stabilisca criteri e disposizioni per ordinare sacerdoti uomini idonei e riconosciuti dalla comunità, i quali, pur avendo una famiglia legittimamente costituita e stabile, abbiano un diaconato permanente fecondo e ricevano una formazione adeguata per il presbiterato al fine di sostenere la vita della comunità cristiana attraverso la predicazione della Parola e la celebrazione dei Sacramenti»

Molto critico con l’esercizio del «potere sacramentale come semplice potere», il Rapporto ritorna varie volte sulla necessità di declinare la sinodalità ad ogni livello della Chiesa. A cominciare dalla articolazione interdiocesana dei centri di ascolto delle vittime di abusi sessuali, affinché sia assicurata una maggiore trasparenza nel loro funzionamento e si eviti di lavare i panni sporchi in famiglia. Passando poi per la costituzione di un tribunale canonico interdiocesano aperto a laici competenti. Per finire con l’applicazione di procedure di controllo incrociato e di mappatura dei rischi da parte dei vescovi sui loro colleghi di altra diocesi. Qualcuno potrebbe essere tentato di obiettare che queste raccomandazioni, ricalcate sulle metodiche della moderna società civile, mal si coniugano con una istituzione antica di duemila anni, ma esse nascono sotto la pressione democratica, e il popolo, si sa, è meno indulgente di Dio.

 

Non commettere atti impuri, ma soprattutto non uccidere

Il Rapporto attacca poi frontalmente «la scelta [della Chiesa] di ridurre tutta la sessualità umana al solo sesto comandamento del Decalogo». Una “fissazione” della morale cattolica, che, secondo la Ciase, ha avuto paradossalmente un effetto controproducente nella lotta contro gli abusi sessuali: occultando la violenza fatta alla dignità della persona; concentrando l’attenzione sul peccato morale e non sull’integrità della vittima; dimenticando la profanazione dell’essere umano per concentrarsi su quella del sacramento. Da qui l’esigenza di riscrivere tutta la dottrina sul sesto comandamento, rimettendo al centro l’integrità inalienabile della persona, e di riqualificare, nel diritto penale canonico (canone 1395 § 1 e 2), la violenza sessuale commessa contro minori e persone vulnerabili, sostituendo il riferimento al sesto comandamento («Non commettere adulterio / Non commettere atti impuri») con un riferimento al quinto comandamento («Non uccidere»).

A questo punto era inevitabile che la Ciase affrontasse la nebulosa questione del segreto della confessione. Il Rapporto esige, da parte delle autorità della Chiesa, «un messaggio chiaro che indichi ai confessori e ai fedeli che il segreto della confessione non può derogare all'obbligo, previsto dal Codice penale e conforme ‒ secondo la Commissione ‒ all'obbligo del diritto divino naturale di proteggere la vita e la dignità della persona, di segnalare all'autorità giudiziaria e amministrativa casi di violenza sessuale inflitta a un minore o a una persona vulnerabile». È evidente il riferimento all’articolo 434 comma 3 del Codice penale francese, il quale dispensa dall’obbligo di segnalazione i titolari di segreto professionale, come gli avvocati, i giornalisti e i preti. Tuttavia (art. 434 comma 1) l’obbligo di osservare il segreto professionale non si applica a una persona che è a conoscenza di un reato i cui effetti possono ancora essere prevenuti o limitati, o i cui autori sono suscettibili di commettere nuovi reati che potrebbero essere prevenuti. La questione ha prodotto un battibecco tra mons. Eric de Moulins-Beaufort, presidente della Cef, e Gérald Darmanin, Ministro degli Interni. Stuzzicato dai giornalisti, il presidente della Cef aveva qualificato il segreto della confessione come «superiore alle leggi della Repubblica». Darmanin lo ha immediatamente convocato al Ministero degli Interni, per ricordargli che, se il segreto della confessione è riconosciuto nel diritto francese da quasi due secoli, tuttavia il suo esercizio è limitato dal citato art. 434 comma 1, soprattutto nel caso di abusi contro minori di 15 anni, che potrebbero essere impediti se opportunamente segnalati all’autorità giudiziaria (secondo un senso di umanità che non ha bisogno della fede cristiana per essere esercitato). La Conferenza Episcopale ha successivamente corretto il tiro, indicando che «la dimensione del male rivelata dal rapporto della Ciase richiede alla Chiesa di rileggere le sue pratiche alla luce di questa realtà. Occorre quindi lavorare per conciliare la natura della confessione con la necessità di proteggere i minori dagli abusi sessuali».

Riprendendo il parallelo rosminiano, dobbiamo riconoscere che la Commissione, composta integralmente da laici, solo in minima parte cattolici, ha chiaramente messo il dito nelle due grandi piaghe della Chiesa: il potere e la paranoia sessuale. Potere sacramentale ridotto a potere tout court, carisma spirituale convertito in seduzione, obbedienza trasformata in sottomissione, concentrazione sul peccato in luogo di misericordia per la vittima, in altre parole clericalismo e sessuofobia hanno alimentato le torbide acque della palude in cui centinaia di migliaia di vittime sono state sommerse.

 

Mettere al centro le vittime, non il peccato

Ovviamente il più cospicuo gruppo di raccomandazioni (una quindicina) riguarda la ricerca della verità e l’ascolto della parola delle vittime. Dal funzionamento dei Centri di Ascolto, alle procedure di risalita dell’informazione, di controllo incrociato, di funzionamento dei dispositivi di indagine, all’integrazione di competenze esterne, ecc. una fitta lista di azioni concrete indicano come migliorare l’ascolto e captare i segnali deboli che possono ridurre il rischio di violenze sui minori o i più fragili. Tra questi un posto speciale meritano le vittime di fatti ormai caduti in prescrizione. Accogliendo una precisa richiesta della Ciase, la Conferenza Episcopale, al termine dei suoi lavori a Lourdes l’8 novembre 2021, ha annunciato la costituzione di un organismo nazionale indipendente, guidato dall'avvocatessa Marie Derain de Vaucresson (Segretario Generale del Consiglio Nazionale per la Protezione dell’Infanzia), con l’obiettivo di raccogliere i ricorsi di vittime che non possano rivolgersi alla giustizia, riconoscere la responsabilità della Chiesa nelle violenze subite ed eventualmente offrire un indennizzo. Allo scopo di finanziare il fondo di indennizzo individuale per le vittime di abusi sessuali, i vescovi hanno deciso di vendere beni immobili e beni mobili di proprietà delle singole diocesi e della conferenza episcopale.

Nella sala in cui erano riuniti i vescovi per confrontarsi sul Rapporto Sauvé, e per tutta la durata dei lavori, è stata esposta una enorme fotografia di un bambino in lacrime, scattata da una vittima di violenze sessuali in una chiesa francese. Un simbolo che ha obbligato i prelati a collocare al centro delle loro riflessioni il debole e non l’istituzione. Come aveva fatto la Ciase, che aveva posto le vittime al centro del suo lavoro.

«I suoi membri hanno ascoltato molte vittime di violenze, non in qualità di esperti, ma come esseri umani, disposti a esporsi, a confrontarsi personalmente, e con noi, su questa triste realtà. Solo attraverso tale immersione, avremmo potuto assumere la parte di umanità comune, qui ferita e dolorosa, che ci unisce a loro. Non possiamo conoscere e comprendere veramente la drammatica realtà della violenza, e trarne le conseguenze, se non siamo in grado di lasciarci toccare da ciò che le vittime hanno vissuto: sofferenza, isolamento e, spesso, vergogna e senso di colpa. Questo vissuto è stata l’anima del lavoro della commissione».

Stefano Casadio

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