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 491 - BETANIA/1: LAZZARO NON ERA IL FRATELLO DI MARTA E MARIA

 

Risveglio o resurrezione?

Secondo alcuni esegeti sarebbe Lazzaro il discepolo che Gesù amava: «colui che tu ami è  malato» (Gv 11,3).

Prima però esaminiamo nella sua globalità l'intero racconto (Gv 11,1-44; 12,1-11), sulla base delle nostre ricerche a partire da «Lazzaro: miracolo o parabola?» sul foglio 292 di 20 anni fa. Teniamo sempre presenti le due edizioni del vangelo, quella del primo evangelista (d'ora in poi siglato con E1) e la revisione ecclesiale (posteriore di 30-40 anni; d'ora in poi siglata con R2). Qui abbiamo inoltre a monte una fonte originaria utilizzata da E1 e poi rivisitata da R2: per questo la narrazione è piena di stranezze e anomalie che testimoniano la redazione travagliata del testo, a più livelli e stadi, a più riprese e sovrapposizioni, con cuciture e rammendi.

 

Da compaesano a fratello

 

Già Wellhausen aveva osservato che in Gv 11,1.5 Lazzaro non è il fratello di Maria e Marta, ma (solo) un concittadino delle due sorelle. «Era malato un certo Lazzaro di Betania, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella» (v. 1). Premesso che io mi chiamo Mauro ed ho una sorella di nome Simonetta, entrambi nati nella bassa reggiana, sarebbe come dire quando 40 anni fa fui operato all'intestino: «È malato un certo Mauro di Campagnola Emilia (RE), il paese di Simonetta», senza dire che è mia sorella!! Sarebbe stato logico invece dire: «...lo stesso paese di Luciano Manicardi» (Bose). Anche in 12,2  non è per niente chiaro che sia il fratello; anzi in quanto fratello sarebbe il padrone di casa, e non un semplice commensale.

Prescindendo dalla glossa posteriore di 11,39 [«Marta la sorella del morto», che manca in 4 manoscritti; una precisazione quasi alla fine del tutto superflua, ma che riecheggia il passaggio da Lazzaro compaesano a fratello; perché?], si saltava dall'attuale v. 17 «Venne Gesù e lo trovò che era già da 4 giorni nel sepolcro» [Gesù è già arrivato alla tomba] al 38b: «il sepolcro era una grotta con una pietra...» ecc.

11,18-38a è chiaramente un'aggiunta di E1 [che la chiude da grande scrittore incrementando la commozione di Gesù (11,38a: «Di nuovo fremendo in se stesso»), riagganciandosi così al brano precedente (38b: «va al sepolcro»)], non solo per l'alto livello teologico del dialogo tra Marta e Gesù, ma perché come in una specie di flashback si torna indietro a quando Gesù è ancora all'ingresso del paese, raggiunto prima da Marta e poi da Maria, chiamata di nascosto (perché??) dalla sorella [nel prossimo articolo (Betania/2), rispondendo ai vari “perché”, cercheremo di sondare il vero rapporto, occultato dalla fratellanza, di Lazzaro con le due sorelle].

Con l'aggiunta però del 18-38a il lettore apprende che Lazzaro è il fratello solo dopo ben 19 versetti ed en passant [molti giudei venuti da Gerusalemme per consolarle per il loro fratello], non prima. R2 si è reso conto del vuoto, ed ha perciò subito inserito la glossa di 11,2: «Maria era colei che aveva cosparso di olio il Signore..., il cui [ês, cuius, della quale (Maria)] fratello Lazzaro era malato», una rara frase relativa obliqua in genitivo secco (senza preposizione). Nel contesto saggia è l'anticipazione della fratellanza, ma quanto precede è urtante poiché l'unzione, non ancora avvenuta, sarà narrata solo nel cap. 12 (mah!).

Si evidenzia comunque il profondo rapporto fra i tre e Gesù in 11,5: «Gesù amava Marta, sua sorella e Lazzaro», anche qui senza dire che Lazzaro è il fratello; solo un manoscritto parla chiaro: «Gesù amava questi tre fratelli: Maria, Marta, Lazzaro».

 

In coma da 4 giorni?

 

Ma veniamo alla sostanza dell'azione di Gesù, che in 11,11 afferma: «Il nostro amico si è addormentato, ma io vado a svegliarlo». Nel greco secolare non è usato per «ridestare dai morti»; anche il «guarirà» [nel più antico papiro «si alzerà» (!), detto dai discepoli nel v. 12] indica il ristabilirsi da una malattia. Nei primi 6 versetti si sottolinea ben 5 volte la malattia (non la morte) di Lazzaro.

Anche per la figlia di Giairo (Mc 5,21-43 e par.) Gesù dice: «La fanciulla non è morta ma dorme» (5,39); perché non prendere queste espressioni alla lettera e non come battute? Chi ritiene che la ragazza di Giairo fosse veramente morta, e le parole di Gesù un errore o una metafora, non coglie il significato originario del primo narratore (anche il vangelo di Marco ha avuto più edizioni), scambiando per morte vera una sorta di coma sia per la bambina che per Lazzaro (da 4 giorni).

Non bisogna lasciarsi fuorviare dall'infelice aggiunta di R2 in Gv 11,13-15a: «Gesù parlava della morte di lui, essi invece pensarono che si riferisse al sonno». Invece i “condiscepoli” (l'apax summathêtai, solo qui in 11,16 nel NT) hanno capito bene che Lazzaro stava soltanto dormendo. Pure in Gv 11,4 Gesù afferma: «Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio», che andrebbe intesa come una malattia non mortale; anche per Schnackenburg il primo significato immediato e palese è che tale malattia non conduca alla morte fisica.

Spesso si trattava di rianimazioni di persone non-coscienti che avevano sfiorato la morte,  o che soffrivano di malattie mortali come la lebbra, la cui guarigione è equiparata a una resurrezione in 2 Re 5,7. Per gli antichi il confine tra morte e vita era diverso dal nostro, nel quale la morte vera è quella cerebrale, per cui una persona in coma (a patto che non sia dépassé) è ancora viva. Invece per le concezioni dell'epoca una persona immobile, insensibile e incosciente poteva già essere considerata morta.

Ricordiamo che senza idratarsi la sopravvivenza diventa critica dopo circa 5 giorni: se ci si trova in una zona isolata e arida, dato che si può stare anche un mese senza mangiare (certo malconci però vivi) ma al massimo una settimana senza bere, occorre cercare subito l'acqua, e qualche frutto-ortaggio per i sali minerali. Diversamente da oggi in cui una persona in coma viene reidratata e curata, allora se non si fosse svegliata nel giro di 4-5 giorni sarebbe morta. Non è un caso che Gesù inviti subito ad alimentare la bambina dodicenne (Mc 5,43).

Sono parecchi gli indizi per considerare la malattia di Lazzaro come uno stato di côma (in greco “sonno profondo”) mal interpretato come già morto. Di conseguenza la sua rianimazione è diventata una resurrezione. Deve essere successo comunque qualcosa di eccezionale, poiché tutto è raccontato in maniera circostanziata con nomi propri di persona; l’intera storia non può quindi essere un'invenzione dell’evangelista o della comunità, poiché in tal caso un ipotetico abitante di Betania (o suo discendente) potrebbe contestare che nulla di quanto narrato è mai successo nel suo paese. Il caso opposto è invece la resurrezione del giovane di Nain (o Naim; Lc 7,11-17) in una località sconosciuta, senza nomi di persone, raccontata come proveniente da lontano, da un luogo remoto, quindi quasi sicuramente leggendaria, da cogliere simbolicamente: il transito della vita [Gesù, discepoli, molta (polus, v. 11) gente] e il passaggio della morte [salma, madre, abbastanza (ikanos, v. 12) gente] si incontrano sulla strada. La vita fa prima fermare la morte e poi la scioglie tramite il grande profeta.

In Gv 11,43 Gesù dice seccamente «Su, fuori!» [deuro exo; senza il “Vieni” presente unicamente in due manoscritti; solo più tardi si è imposto nell'immaginario collettivo il “Vieni fuori” urlato, a cascata dalle versioni latine a quelle moderne]. L'assenza del verbo “venire” mi desta il sospetto che Gesù si sia espresso come nel Talità kum alla fanciulla presa per la mano (e come a Naim): ossia «Ragazzo, su, alzati» (dal letto), e che il “fuori” sia un posteriore adeguamento alla leggendaria uscita dalla tomba. 

 

Perché piange se lo risuscita?

 

La vicenda storica può essere andata così: Gesù arriva trovando Lazzaro in coma a casa:  non è strano che le due sorelle vadano separatamene, una dopo l'altra, incontro a Gesù, se fatto per non lasciare Lazzaro da solo in casa. E dato che la situazione tragica appare irreversibile, scoppia in pianto. Se egli fin dall'inizio fosse stato decisamente orientato a farlo rinvenire, il suo pianto turbato (11,33.35) sarebbe privo di senso, ancor di più nella sua (presunta) prescienza dell'imminente salvataggio. Ma accentuare la prescienza del futuro è una peculiarità di R2, come in 2,24-25 sulla preconoscenza del cuore e della mente umana di tutti; e pure in 6,64 a proposito del sapere fin da principio chi non avrebbe creduto e chi sarebbe stato il traditore. Invece E1, pur riconoscendo in Gesù una luce divina penetrante, non manifesta la tendenza ad esprimerne l'onniscienza in forma riflessa. Ed anche quando in genere si cita la Scrittura, per affermarne il compimento quasi che la storia fosse un libro già scritto, è un'inserzione di R2 come ad es. in 2,22 e 19,24.28.36s. Invece le rarissime citazioni di E1 (che, al contrario di R2, non scrive mai: «La Scrittura dice») sono in genere di tipo sapienziale, come quella di Isaia in 1,23 e 12,38-40; ma l'ecclesiastico R2, alla prescienza di Gesù a costo di farlo apparire cinico («Lazzaro è morto e mi rallegro di non esserci stato», 11,14s), aggiunge da esaltato pure quella di Isaia che «vide la sua gloria e parlò di lui» (Gv 12,41).

Poi però Gesù è sollecitato da Marta: «tutto quello che chiederai a Dio...» (11,22); secondo Marta che crede solo nella resurrezione dell'ultimo giorno (11,24), e non in quella immediata di Lazzaro, cosa mai Dio dovrebbe concedere a Gesù? Appunto il risveglio dell'amico ancora vivo. Grazie anche a tale sollecito, Gesù ritiene in un secondo tempo di poter fare qualcosa (senza garanzie di successo) per la reversibilità del coma, e chiede il coinvolgimento del Padre che ringrazia di cuore. Ma R2 non può tollerare la mera possibilità che il Padre possa non ascoltarlo, per cui inserisce la patetica glossa (42): «...sempre mi dai ascolto, ma l'ho detto per la gente…». Ossia per R2 Gesù è dotato di un autonomo potere che non fallisce, senza bisogno del “nulla osta” del Padre, distruggendo così coi suoi presupposti dogmatici la bella preghiera di ringraziamento.

Prescindendo dall'aspetto “miticamente istantaneo” delle guarigioni (nei vangeli non ci sono convalescenze), Gesù ha indubbiamente esercitato azioni di tipo esorcistico nei confronti degli “ossessi”. Per quanto concerne la guarigione dei paralitici, se il blocco era di tipo psico-somatico, può essere dovuta all'incontro “mirabile” con Gesù che ne sblocca la psiche. Più problematico sanare le lesioni di tipo organico, come la mano inaridita di Mc 3,1-6, o la cecità e sordità, a volte sputando negli occhi (Mc 8,23; 7,33; Gv 9,6): la versione CEI con la “saliva” edulcora gli sputi di Marco). L'incontro entusiasmante con Gesù può aver scatenato un'efficace risposta immunitaria contro i micro-organismi (batteri e virus) patogeni, come il bacillo di Hansen per la lebbra.

Riteniamo ontologicamente impossibile la resurrezione di una persona morta da 4 giorni,  ma il risveglio dal coma è possibile: infatti lo facciamo noi oggi col sapere medico-scientifico. Certo allora, in cui non esistevano le tecniche moderne di idratazione e rianimazione, è stato l'indubbio segno di una forza sovrumana.

Mauro Pedrazzoli

 

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