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bibbia
Sembra probabile che il problema sia costituito dai molti giudei che bazzicano per casa, venuti a Betania da Gerusalemme (distante circa 3 km) per consolare soprattutto Maria: stanno con lei in casa e quindi la seguono all'uscita per poi piangere con lei in un rapporto molto sentito, mentre paiono ignorare Marta; e pure Marta sembra evitarli. La casa in Samaria Può chiarire la situazione Luca 10,38-42 (che m'ha fatto sudare), in cui Gesù, che sta attraversando la Samaria, va a trovare le due sorelle nella loro abitazione: esse quindi di primo acchito sembrano samaritane. Si presume che esse siano le stesse di Betania, non solo per il nome ma perché si assomigliano molto per il carattere, le attività e gli atteggiamenti loro attribuiti: Marta è superattiva nelle faccende domestiche (Lc 10,40 e Gv 12,2) tanto da brontolare perché la sorella non l'aiuta. Ciarliera ed estroversa, solo Marta parla sia in Lc 10 che in Gv 11. Maria, meditativa, riservata e taciturna, non dice una parola (con l'unica eccezione di Gv 11,32 in cui peraltro ripete la medesima frase della sorella: «Se tu fossi stato qui...»). Più riflessiva nell'ascoltare Gesù, con un comportamento di maggior intimità, è «Maria, la quale kai (addirittura?) seduta ai suoi piedi..» [la congiunzione kai (e, et) posposta al nome e pronome: qui non ha senso tradurre con “anche”, omesso infatti dalla CEI e dal codice vercellese; cfr il «Timeo Danaos et dona ferentes, temo i Greci anche oppure e di più se/quando portan doni»]: per di più, persino avvinta a Gesù semisdraiato su un fianco-gomito come nell'ultima cena? Ma quelle di Betania non possono essere samaritane, altrimenti molti giudei non sarebbero venuti per il cordoglio. Allora come si spiega il passo di Luca? In realtà Gesù va a casa di Marta [«Marta l'accolse nella (sua) casa»]. È lei la matrona, padrona di casa, che sovrintende e dirige: sembra una sua proprietà più che della sorella. Il suo rapporto coi giudei pare deteriorato, probabilmente perché con la casa in Samaria frequenta i samaritani (ritenuti eretici, scismatici, stranieri, “bastardi” in senso tecnico, in quanto mescolatisi con altre popolazioni immigrate nel periodo dell'esilio), se non addirittura perché ha sposato un samaritano? E si reca da (re)zdora [reggitrice] nella casa del marito in Samaria? Le nozze fra giudei e samaritani erano vietate e considerate peccaminose. Il sospetto è che Lazzaro possa essere il figlio di Marta con mezzo sangue samaritano; Gesù quindi avrebbe voluto bene ad una presunta “peccatrice” e a suo figlio “bastardino”? Che la tradizione giovannea ha interamente giudaizzato camuffandolo da fratello? Lo scenario quadra, anche per la scelta di un Samaritano (non di un pubblicano o altri reietti) quale protagonista esemplare della famosa parabola. La saga dei nomi multipli A maggior ragione se forse Lazzaro è pure il discepolo che Gesù amava; ma non abbiamo scritto (foglio 489-90) che si chiamava Giovanni, e che c'era pure la discepola che Gesù amava, Maria di Cleofa? La cosa si può spiegare coi doppi nomi, come Tommaso detto Didimo (soprannome decisamente greco per “gemello”), Taddeo soprannominato Lebbeo (oppure l'inverso in parecchi manoscritti di Mt 10,3) ecc. Nel mondo greco-romano le famiglie nobili erano solite dare ai propri rampolli maschi un nome grecizzante, ed alle femmine uno latineggiante, come in Romani 16,7 per l'insigne coppia apostolica, che non sono romani poiché parenti o connazionali di Paolo: orbene l'uno porta il soprannome greco Andronico, e la donna quello latino Giunia. Lazzaro non sembra la grecizzazione del nome ebraico Eleazar, poiché in 2° Maccabei 6,18.24 (libro composto in greco) leggiamo Eleazaro; nel nostro caso è chiaramente un soprannome, che in greco significa appunto “il morto”: ossia colui che era morto ma è stato risuscitato, poi pure retrodatato a prima della sua “rianimazione”. Nessun genitore chiamerebbe il proprio figlio neonato “il morto”; e pure in Lc 16,19-31, l'unica parabola in assoluto con nomi propri di persona, Lazzaro è un appellativo (omen-nomen) per evidenziare, appunto “da morto”, il passaggio dalla sua misera vita a quella beatifica nel seno di Abramo. Anche Andrea e Filippo sono nomi greci, del tutto a-giudaici; qual era il loro equivalente ebraico-aramaico? Addirittura forse biascicavano qualcosa della lingua greca, poiché in Gv 12,20-22 alcuni greci, che volevano vedere Gesù, si rivolgono prima a Filippo che poi coinvolge Andrea per portarli da Gesù. Nulla vieta che il vero nome di colui che era soprannominato Lazzaro fosse Giovanni, cioè Giovanni-Lazzaro, all'italiana Gian-Lazzaro come gli odierni Gian-Franco o Pier-Luigi. Quindi le due ipotesi: (1) Giovanni con la zia materna Maria di Cleofa, e (2) Lazzaro con la zia materna Maria di Betania non sono necessariamente alternative; siamo noi che chiamiamo Maria e Marta di Betania in assenza del patronimico o altre denominazioni: per cui Maria di Cleofa e Maria di Betania possono essere la stessa persona. Un possibile anello di congiunzione può essere la cena-unzione di Betania, operata da Maria in Gv 12,1ss, ma da una donna anonima in Mc 14 e Mt 26 in casa di Simone il lebbroso [altamente improbabile un tale assembramento col rischio di contagio anche dopo la guarigione]. Poiché in aramaico il termine “il lebbroso” [hatzaru'a] differisce da “il pio” [hatzanu'a] solo per una consonante, è presumibile un errore nella trasmissione o nella traduzione. Quindi il padrone di casa di quella cena poteva essere Simone il pio (o il fariseo), alias Simone di Cleofa, altro membro della suddetta famiglia (che per alcuni padri della chiesa sarebbe uno dei due di Emmaus), colui che alla guida della comunità cristiana palestinese succedette a Giacomo, il fratello del Signore, dopo la sua morte nel 62 d. C. [un capo cristiano ex-fariseo come Paolo; presto scriverò sul (medesimo?) Simone il fariseo di Lc 7,36ss]. La cronaca di Girolamo (il chronicon del IV secolo), nell'ambito della CCXXI olimpiade, nell'anno X del regno di Traiano (107 d. C), riporta: «Trajano adversus Christianos persecutionem movente, Simon filius Cleophae, qui Jerosolymis episcopatum tenebat, crucifigitur». Un altro uomo centenario? Ma il suo martirio non è avvenuto nella città santa (pur avendone diretto la comunità cristiana 40 anni prima), poiché nel II secolo la Gerusalemme che noi conosciamo non esisteva più, essendo diventata, in seguito alla guerra e diaspora giudaica, prima un deserto e poi una ricostruita città romanizzata col nome di Aelia Capitolina. Se la notizia di Girolamo è attendibile, è quasi nulla la probabilità che un altro leader della chiesa, proveniente dal ristretto gruppo dei discepoli di Gerusalemme, abbia avuto le stesse vicissitudini e soprattutto sia anch'egli morto nonagenario intorno al 107: Giovanni e Simone sono la stessa persona. Nell'imbarazzante sorteggio pilotato dal Signore (Atti 1,23ss) per sostituire Giuda [una sceneggiata clericale su cui scriverò], l'escluso ha ben tre nomi: Giuseppe, detto Barsabba, soprannominato Giusto [Ioustos, un nome (latino?) proprio come il patrono di Trieste, non l'apposizione “il giusto” (che in greco sarebbe dikaios) per la sua integrità morale, peraltro indubbia]. Allo stesso modo presumo un Simone detto Giovanni, ossia Simon-Giovanni come Simon-Pietro, eventualmente soprannominato Lazzaro. Ma non insisto su Lazzaro quale discepolo prediletto, privilegiando la pista di casa Cleofa. Al di là dei nomi, Gesù amava quell'intera famiglia altolocata dell'establishment di Gerusalemme, che era diventata la sua adottiva dopo che era stato rifiutato da quella naturale (Mc 3,21; Gv 7,5: «neppure i suoi fratelli credevano in Lui»); un'ingombrante frequentazione di una pia famiglia israelitica di farisei o scribi, non di sacerdoti [i sette «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti» di Mt 23,13-29 non sono di Gesù]. Da qui il ferreo anonimato sul discepolo prediletto, l'Innominato per eccellenza nel vangelo. La deposizione pianificata Luca 24,18 scrive che uno dei due di Emmaus si chiamava Cleofa, ma è plausibile che anche l'altro fosse della medesima famiglia: ambedue si fermano a mio parere nella loro casa, anche se nella tradizione e nell'iconografia è stata ritenuta una locanda, senza alcuna base nel testo [si invita un ospite a fermarsi a casa propria, non tanto in un albergo qualsiasi]. È invece assai probabile che l'oligarchica famiglia Cleofa, oltre ad un'abitazione a Gerusalemme e probabilmente a Betania, possedesse anche una casa in campagna 7 miglia fuori città. In Gv 3,1ss le abitazioni possono essere state invertite: non è Nicodemo (fariseo e capo dei giudei) che è andato da Gesù di notte, ma Gesù e i suoi discepoli che pernottavano a casa Cleofa [non poteva sempre dormire nell'orto degli Ulivi (Lc 21,37); e preferibilmente fuori mano nella meno compromettente Betania]. Di ritorno dall'ascensione a Gerusalemme (Atti 1,13s), i numerosi discepoli/e (con le famiglie!) «salirono al piano superiore dove abitavano»: un'annotazione superflua nell'economia del racconto, ma proprio per questo quasi sicuramente storica: i discepoli risiedevano (ormai apertamente) in un...attico della spaziosa e signorile villa Cleofa. Lo stesso Schnackenburg si meraviglia che il discepolo prediletto non sia presente alla deposizione: ma, se non lui allora poco più di un ragazzo (nato intorno al 15 d. C.), c'era almeno un membro della famiglia Cleofa (per non dire due con Giuseppe d'Arimatea, proveniente da fuori ma ben insediato a Gerusalemme). Il loro affiatamento organizzativo è notevole: Nicodemo arriva con 30 kili di roba costosa, e Giuseppe prima è andato a chiedere il corpo di Gesù a Pilato. Ora erano i familiari a chiedere la salma dei crocefissi, che non venivano consegnati ad estranei; ma talora non bastava poiché bisognava essere di famiglia nobile e facoltosa: Giuseppe d'Arimatea, in quanto ricco e personaggio autorevole del Sinedrio (Mc 15,43), è l'uomo giusto, a maggior ragione se pure membro (acquisito in quanto marito di una delle figlie) della famiglia gerosolimitana “adottiva” di Gesù. Mentre nei sinottici agisce solo Giuseppe d'Arimatea, in Gv (più preciso per la passione) è molto più attendibile la collaborazione di coppia, poiché per deporre un crocefisso bisogna essere almeno in due. E l'azione è risaputa poiché le donne li hanno seguiti (Lc 23,55), e forse pure partecipato all'unzione aromatica (atto tipicamente femminile), molto più logica prima dell'inumazione; è quasi assurda in Mc e Lc l'idea delle donne di andare a imbalsamare Gesù la domenica mattina, con una tomba chiusa, sigillata e sorvegliata (Mt 27,66). L'anonimato ha dunque coperto parecchi “altarini”, tra cui la possibile relazione amorosa di Gesù con Maria (di Cleofa e forse pure di Betania); cosa c'è di così scandaloso se Gesù ha amato una donna? Mauro Pedrazzoli
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