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editoriali
Mikail Gorbaciov non era un sognatore né un profeta ma un politico realista, intelligente ed appassionato. Dal suo osservatorio privilegiato di Segretario generale del Partito Comunista e poi Presidente dell’Unione Sovietica, aveva capito il grave pericolo che l’umanità correva continuando con le vecchie politiche di confronto, contenimento, logoramento tra Stati ereditate da secoli passati in cui però non erano presenti armi di distruzioni di massa. Aveva anche ben presente la lezione degli ultimi disastrosi conflitti mondiali (in cui il suo paese aveva pagato un prezzo altissimo): lo scontro tra grandi potenze per l’egemonia era sfociato in un bagno di sangue e in distruzioni senza precedenti. Cosa sarebbe successo se si fosse combattuto con armi termonucleari? La guerra non era più uno strumento accettabile per risolvere i contenziosi tra Stati. Occorreva impostare una politica nuova basata su un accordo globale tra grandi potenze e sulla fiducia reciproca, per regolare in modo razionale e politico tutti i contenziosi presenti e ridurre in modo bilanciato gli armamenti, in particolare quelli nucleari. Da un discorso che Gorbaciov tenne nel 1986 al Parlamento indiano, in cui cita una massima di Buddha, traspare chiaramente lo spirito che lo animava: «Una vittoria può definirsi tale soltanto se tutti in egual misura sono vincitori e nessuno è vinto. Queste parole sono a voi note da più di due millenni e mezzo, ed oggi si rivelano di grande utilità. Nel secolo dell’arma nucleare l’unica vittoria possibile è la vittoria della ragione. Impariamo a lottare insieme per essa» (da «bozze 87»).
Conseguentemente a questa filosofia, Gorbaciov ha cercato di modificare radicalmente la politica dell’Urss e di impostare in modo diverso i rapporti con gli Usa. Ma era ormai troppo tardi. L’Urss era un paese sull’orlo della bancarotta, dove gli uomini al vertice del potere si accingevano a spartirsi le spoglie dello Stato. Il suo è stato recepito come un segno di debolezza (questo è quello che pensa immediatamente chi ragiona in termini di forza) e ci si è preparati ad approfittarne. Oggi possiamo vedere le nefande conseguenze di questo tragico fraintendimento.
Intanto un altro confronto sta crescendo: quello con la Repubblica Popolare Cinese. La Cina è un paese in rapida crescita, sempre più cosciente della sua forza e dei suoi interessi vitali. Non si accontenta più del ruolo che l’Occidente gli ha riservato. E la Cina non è come l’Urss di Gorbaciov una Stato in disfacimento. Ha tutte le caratteristiche della grande potenza in ascesa. È evidente che la politica di contenimento messa in pratica dall’Occidente nei suoi confronti alla lunga non può funzionare e porterà inevitabilmente a uno scontro diretto. Occorre dunque ritornare agli anni ’80 e alle sagge proposte di Gorbaciov ed evitare i tragici errori di allora, perché è adesso che si decide il futuro: da come oggi l’Occidente imposta i rapporti con la Cina dipenderà la pace o la guerra, la vita o la morte di domani.
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