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 494 - UN'INTERPRETAZIONE ALTERNATIVA DI LUCA 7,36-50

 

La peccatrice non è una prostituta

 

Nell'Antico e nell'Intertestamento la prostituzione ordinaria non era considerata un'immoralità peccaminosa; altra cosa è invece quella sacra, condannata per l'idolatria e non per il commercio sessuale, o quella intesa in senso traslato, sempre a motivo degli idoli, relativa al rapporto infranto tra Jahve e il suo popolo prostituitosi agli dei stranieri.

 

La vicenda di Giuda e Tamar

La storia di Giuda e Tamar (Genesi 38,1-30) dimostra in maniera inequivocabile che nell'AT per l'uomo aver rapporti con prostitute era una cosa consentita, non peccaminosa. La “colpa” di Giuda non è l'essere andato a...“puttane”, bensì l'incesto con la nuora (più quello già combinatole prima), e non solo quell'unica volta in modo inconsapevole ed estemporaneo con Tamar travestita: «E non ebbe più rapporti (carnali) con lei» (sic, 38,26); excusatio non petita poiché non sembra scontato che l'incesto sia avvenuto solamente lungo la strada, bensì sia stato reiterato in condizioni domestiche.

Ma qui ci interessa la valutazione della prostitute, se il loro mestiere era considerato peccaminoso o no; propendiamo per il “no”, anche se nel giudaismo dell'epoca di Gesù le correnti più intransigenti disprezzavano una tale professione. Nell'AT in genere si parla di esse in maniera neutrale, distaccata, senza giudizi negativi: Sansone in Giudici 16,1 va da una prostituta a...pernottare tranquillamente [solo dopo in piena notte deve fuggire perché inseguito dai Filistei], senza espressioni di biasimo per entrambi.

Basta vedere la figura e l'azione di Raab la prostituta nel facilitare l'esplorazione delle spie israelite del territorio di Gerico (Giosuè 2,1-21 e 6,17-25); per il suo aiuto dato a Israele e per la sua “professione di fede” nel Dio dell'Esodo (Giosuè 2,10s; elogiata in Ebrei 11,31 e Giacomo 2,25) è stata considerata dai Padri addirittura un'immagine della Chiesa! Anche Dante la pone in Paradiso IX, 115-126. Che Raab fosse una prostituta è irrilevante nel racconto, senza disprezzo; e non si dice che abbia smesso il suo mestiere: neppure nell'intervallo tra l'esplorazione delle avanguardie di Giosuè (cap. 2) e la presa di Gerico con la preservazione della casa e della vita di Raab (cap. 6).

 

Prima il perdono, poi l'amore

Nella redazione finale e conclusiva del passo di Luca 7,36-50 [coi molti peccati] è inevitabile pensare ad una prostituta, con le sue innumerevoli colpe secondo la visione tradizionale ecclesiastica in cui la prostituzione era moralmente vietata. Ma nel brano di Luca la donna non è definita pornê (prostituta) bensì amartôlos (peccatore,  grammaticalmente solo maschile come il nostro “medico”). È pensata come peccatrice pubblica nella città (v. 37), quindi in forma notoria, non privata: ma non è detto che lo sia per Gesù, bensì solo nei pregiudizi farisaici (siamo in casa di Simone il fariseo!).

Il testo ha subito vari assemblaggi, per cui contiene parecchie contraddizioni e incongruenze che segnalano in modo evidente le successive inserzioni e rielaborazioni. La discrepanza più rilevante è massimamente evidente nel v. 47 in cui stridono a stretto contatto (47a e 47b): «Le sono perdonati i suoi peccati, i molti [pollai posposto], perché [oti, causale, nelle versioni latine quoniam] ha molto amato», innescando la successione “amore (anteriore) come causa del perdono” (47a). Ma il 47b all'inverso prosegue: «Invece quello a cui si perdona poco, ama poco»; qui prima il perdono come veicolo dell'amore successivo. Stride il contrasto fra la parabola dei due debitori (vv. 41-43) e il 47a, mentre il 47b ritorna perfettamente in linea con tutta la storia.

Sia nel v. 47 sia nel 48 abbiamo inoltre afeôntai, un perfetto anche se raro di afiemi: quindi «sono stati perdonati...» al passato [non al presente come nella tendenziosa versione CEI], un perdono che molto probabilmente è avvenuto prima dell'unzione, la quale risulta essere un gesto amoroso successivo di ringraziamento. Cioè Gesù e la donna presumibilmente si erano già incontrati e conosciuti prima, quando con grande sollievo è stata liberata da “parecchie cose” [le sue lacrime sembrano denotare più gioia che dolore e pentimento], come suona nel codice D (di Beza, seguìto dalla vetus latina del Corbeiense): «Le sono state perdonate-condonate molte cose (polla [stop: D e l'altra vetus latina del Palatino di Trento omettono il resto del 47]. In via cautelativa sarebbe più opportuno definire la donna una pseudo-peccatrice. L'amartôlos, stando alla (posteriore) tradizione rabbinica, potrebbe anche essere (solo) la donna di un “peccatore”, ad es. per aver sposato un samaritano, poiché era vietato il connubio fra giudei e samaritani, considerati peccatori scismatici; oppure una ripudiata, una condizione maledetta.

E qui ci sorregge la felice intuizione del domenicano francese P. Dulau [Remittuntur ei peccata multa..., Lc 7,47a, in «Divus Thomas» 43 (1940), 156-161]: tenendo presente che nei manoscritti abbiamo la cosiddetta scrittura continua in lettere greche tutte maiuscole, con una parola attaccata all'altra senza punteggiatura, egli suppone che originariamente nel v. 47 ci fosse dioti (e non oti), sùbito agganciato a polla: «...polladioti», ossia polla-dioti, «Le sono state perdonate-condonate molte cose (polla), (dioti) sicché, di conseguenza ha amato molto» [dioti è consecutivo: una crasi per dia-touto-oti, cosicché, perciò, (in latino propterea e non quoniam, come scrive Dulau nelle sue “deviazioni” dal francese), “è per questo che”, come in Atti 13,35 e 20,26 resi in italiano appunto con “per questo”]. «Invece quello a cui si perdona poco ama poco». Possiamo pure aggiungere con Ireneo e Cipriano che così lo citano leggendo: «infatti quello a cui più si condona (dimittitur), più ama». In questo modo entra sì l'amore ma, nella nostra congettura, come conseguenza libera del perdono in perfetta linea con la parabola senza incoerenze, senza scambi e senza meriti.

Dulau riconosce e non sottovaluta l'obiezione che dioti non si trovi in alcun manoscritto; tuttavia occorre tener presente che nel supposto poLLADioti ci sarebbero 4 lettere (maiuscole) quasi uguali, in cui sia la doppia L (Λ, lamda), sia la A e sia la D (Δ, delta) si distinguono solo per le stanghettine trasversali non sempre ben delineate. Un conto sono i nostri stampati, un conto un manoscritto sfumato-sfuocato in cui anche il trattino centrale della A è poco visibile. Quindi di quattro lettere consecutive confondibili, è plausibile che nella trasmissione la quarta (la delta) sia stata saltata da un copista per cui si lesse pollaioti, che può essere scomposto solo in pollai-oti, cadendo inevitabilmente nella frase causale (oti è causale, non consecutivo) e invertendo la sequenza in amore-perdono, l'inverso della parabola. Con l'inversione si smarrisce il perdono gratuito, senza do ut des, di Gesù [la Grazia incondizionata nei secoli...indigesta], che viene reso più digeribile condizionandolo ad uno scambio precedente seppur nobile come l'amore.

Inoltre il pollai non è più neutro plurale (polla) ma risulta un aggettivo plurale femminile (molte) che non si regge su alcun sostantivo, per cui è stato appunto anteposto [la stranezza dell'articolo raddoppiato che segnala il lavorio sul testo; la versione CEI l'ha eliminata col più lineare «i suoi molti peccati», e non «i suoi peccati i molti»] il sostantivo “peccati”: peccato, amartia, in greco è femminile. Abbiamo così il passaggio logico dalle generiche “molte cose” originarie alla dizione più precisa dei “molti peccati” (inverosimile sarebbe l'inverso): ma con l'accentuazione di un'immoralità che allude ai singoli incontri coi clienti (cento peccati al mese?). Assurdo per chi ha amato molto.

 

Matrimonio illecito e/o ripudio

La donna di Luca 7 quindi a mio parere non era una prostituta, anche perché nel testo originario sta scritto «da quando (io) sono entrato [eisêlthon] non ha cessato di baciarmi...» (45), cioè la donna era già lì dall'inizio, una di casa, forse riprovevole ma non prostituta; mentre nei ritocchi successivi c'è l'entrata plateale a pasto iniziato (v. 37s), tanto che una quindicina di manoscritti (tra cui la vulgata), per ovviare alla contraddizione, hanno corretto «ella da quando è entrata...» [eisêlthen, cioè è arrivata dopo].

Allora qual è il peccato pubblico della donna, notorio e conosciuto da tutti i commensali? L'adulterio era in genere nascosto, o soggetto a lapidazione. Se non era la moglie di un samaritano, poteva essere peccatrice per essere stata l'imputata nel processo di divorzio. Purtroppo le cause della separazione rasentavano a volte il pretesto, poiché motivo sufficiente per essere ripudiata poteva essere anche solo sciogliersi i capelli in presenza di uomini estranei [come la 22enne Mahsa, l'iraniana picchiata a morte il 13 settembre dalla polizia “religiosa” (sic) per aver voluto «sentire il vento nei capelli»].

Ricordiamo che in ebraico “prostituta” si dice zānâ, e che “ripudiare” si dice zānah, nel senso lato di rigettare, che comprende però anche il divorzio unilaterale da parte del marito. Il rigetto-ripudio (zānah) di Dio, con adulterio-tradimento dell'alleanza, consiste proprio nel prostituirsi (zānâ) agli idoli o agli Dei stranieri. Questa tremenda assonanza (ripudiata-prostituta) ha favorito il passaggio [nel linguaggio da bar pure oggi una separata, che va in giro “vestita disinvoltamente”, è una p.].

Le “molte cose” originarie non sono necessariamente peccati in senso morale, ma errori, comportamenti trasandati, doveri trascurati, atteggiamenti equivoci, gesti di sconvenienza..., che hanno portato al ripudio per motivi futili. E comunque i motivi vergognosi (causa del divorzio-ripudio) la rendevano pur sempre e per sempre una svergognata, anche perché i farisei più rigidi disprezzavano comunque i peccatori anche se pentiti: si portavano addosso un marchio indelebile.

Affronteremo in futuro l'annosa questione di quale relazione ci possa essere tra questa unzione lucana e quella della donna anonima di Mc 14,3-9 e Mt 26,6-13: se la donna di Luca fosse una prostituta, ovviamente non ci sarebbe alcun rapporto; infatti quasi tutti gli esegeti lo escludono. E peggio ancora se la prostituta fosse assurdamente Maria di Betania, identificata dal quarto vangelo come quella dell'unzione prima della passione; ma il redattore giovanneo scrive un secolo dopo e per di più con un incredibile svarione in Gv 11,2: ricorda l'unzione situandola nel passato, mentre essa sarà narrata solo nel cap. 12!

Ma se è una peccatrice solo presunta e forse innocente, l'analogia (non l'identità dell'evento) è possibile, anche perché il padrone di casa, Simone il fariseo, è probabilmente lo stesso [Simone il lebbroso di Mc e Mt è un errore di derivazione dall'aramaico (foglio 492), ove invece stava scritto Simone il pio o il fariseo]; inoltre i commensali in Mc 14,4s «si sdegnarono», che poi viene pesantemente ribadito col «ed erano infuriati contro di lei»: solo per aver “sprecato” dell'olio prezioso anziché venderlo? Questa odiosità ha altre ragioni, coperte dall'anonimato; in Mc 14,9 si proclama che il suo gesto sarà ricordato nel mondo intero, e se ne tace il nome?

Mauro Pedrazzoli

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