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 495 - IL SANGUE CHE NON C’ERA

 

Il “miracolo” di Bolsena

 

Su «Avvenire» del 5 giugno 2022 compariva l'articolo I miracoli eucaristici, segni celesti d'amore, relativo al convegno di due giorni a Bolsena, aperto dall'arcivescovo Rino Fisichella e dedicato al celebre “prodigio” del 1263 in cui del sangue sarebbe sgorgato dall'ostia sollevata dal sacerdote; più in generale sui miracoli affini di altre località in Italia (Lanciano, Alatri, Dronero, Torino, Trani) e in Europa (Avignone, Lugano, Segovia...), i cui rappresentanti erano presenti al congresso, connotato dall'ideologia del Santissimo Sacramento quale massima espressione della fede e del culto cattolico.

Ora il sangue è assente nell'ultima cena in tutti e quattro i vangeli originari! Cominciamo dal IV vangelo che, pur mancando del cosiddetto racconto dell'istituzione, sviluppa il discorso “eucaristico” nel c. 6 sul pane di vita (solo sul pane). L'espressione «chi mangia la mia carne e beve il mio sangue...» (Gv 6,52-57) è un'inserzione posteriore del redattore ecclesiale (nella 2ª edizione del vangelo, circa un secolo dopo la passione; agli uditori di Gesù nella sinagoga di Cafarnao sarebbe apparsa come antropofagia cannibalistica).

Per farla breve, privilegiamo il testo corto di Luca testimoniato da alcuni manoscritti, che originariamente saltava dall'attuale 22,19a («Questo è il mio corpo», stop) al v. 21 sul traditore. In esso non c'erano le parole sul calice-sangue del v. 20 «Questo calice (è) la nuova alleanza nel mio sangue», che sono invece un “copia-incolla” posteriore dalla Prima Corinti 11,25, il cosiddetto testo lungo di Luca, fra l'altro sbrigativo poiché manca il verbo “essere” presente invece in Paolo.

Anche Marco 14,24 («Questo è il mio sangue..») è un'aggiunta posteriore: dopo che tutti ne hanno bevuto (14,23), seguiva logicamente il detto escatologico «Non berrò più del frutto della vite...» (v. 25). Col vino già tracannato dai discepoli, non ha senso dire «questo è il mio sangue». Avrebbe avuto senso prima di berlo; così infatti, con più logica, Matteo 26,27s corregge nel copiare il nostro testo attuale di Marco.

Perciò nei vangeli originari c'è solo lo spezzare il pane, rielaborato simbolicamente in «questo è il corpo di me»; fra l'altro «questo è il mio corpo» è una meccanica e barbara traduzione dall'aramaico, il cui senso è «Qui (ci) sono io», ossia nel pane spezzato significante il dono-amore che va al di là della morte... Come non ricordare la passione delle decine di cristiani massacrati a Messa in Nigeria la domenica di Pentecoste 2022?

Ciò nei vangeli è ovviamente accompagnato dal giro (o più giri) di calice, ossia dal puro e semplice vino condiviso nella commensalità. Non si beve del sangue umano, si beve vino nei calici in attesa di berlo nuovo nel Regno [il vino è escatologico, non sacramentale; non si berrà il “sangue nuovo” di Cristo]. Non si mangia della carne umana bensì si (con)divide il pane facendo memoria (memoriale) della cena del Signore: ossia la «valenza teologica e sociale del pane spezzato», come ben detto sia nel testo che nel sottotitolo di «Avvenire» dall'arcivescovo Michele Pennisi, assistente ecclesiastico della Confederazione delle Confraternite d'Italia (Compagnie del Santissimo Sacramento).

Quindi se a Bolsena è veramente sgorgato dall'ostia elevata del sangue (e non altri liquidi sospetti di frode), ciò significa che il celebrante Pietro (da Praga) aveva... ferite nelle dita o nelle mani.

m. p.

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