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 496 - UN DIBATTITO INTERRELIGIOSO

 

I giovani e la fede

 

Al Centro Culturale Protestante di Torino si è svolto il 7 dicembre un incontro interreligioso (cristiani, ebrei, musulmani) su I giovani e la fede. I giovani oggi sono alluvionati da parole e immagini, dice don Luca Peyron: hanno spazio per udire una Parola?

Amano stare con l'altro diverso, sono sensibili al rischio ambientale, ma fanno scelte fragili, non continuative. Hanno poche speranze, ma hanno molti bisogni. I giovani ebrei, dice il rabbino Ariel Finzi, al 90% vanno a vivere in Israele, come la metà di tutti gli ebrei. L'identità ebraica, laica, senza osservanza, è più forte della religione. Gli omosessuali sono il 5%, il 95% non li disapprova, ma la Legge ne condanna la pratica. L'Islam, dice Ibrahim Gabriel Lungo, significa «una via verso l'armonia». Ma siamo in un'epoca fortemente disarmonica, nell'antropocene minaccioso, e minacciato di strage nucleare.

Grandi ricchezze e grandi povertà spaccano la società. Le città sono come formazioni cancerogene nella natura. I giovani portano il peso maggiore di questa situazione. Le generazioni precedenti crescevano sui libri e sull'esperienza trasmessa, i giovani crescono sugli schermi, irreali. Il villaggio che è necessario per educare un bambino, è imbarbarito. I vicini (genitori, adulti) sono lontani, e tutto ciò che è lontano (social, immagini) è vicino, addosso, senza dimensione temporale. La sua reperibilità continua è irreale. Il compito delle religioni è indicare e ricondurre alle fonti della realtà, alla vita come tempo e cammino e orizzonte.

 

Museo e germogli

Nella chiesa cattolica torinese, il nuovo vescovo Repole chiede se si vedono germogli nuovi per la chiesa di domani. Su questo ci si interroga nelle realtà ecclesiali locali. Ascolto, da una riunione, una prima raccolta, del tutto interlocutoria: la chiesa è viva in comunità territoriali, nel contatto con altre realtà sociali; ma anche in associazioni e movimenti di scopo, trans-territoriali; la chiesa vive non solo ad opera del clero, ma grazie a sempre più importanti ministeri laicali, grazie alla presenza attiva delle donne, non riconosciute in piena parità, ed è grave inspiegabile danno alla credibilità della chiesa; è importante l'ecumenismo non diplomatico ma reale, come la più che decennale esperienza torinese della reciproca ospitalità eucaristica tra cattolici e protestanti; molto importante è rinnovare il linguaggio, le modalità di comunicazione, le immagini che la chiesa dà di sé.

La chiesa sa di vecchio, per i giovani, sa di museo. Però vedono che su pace e guerra essa parla, anzitutto con papa Francesco, in modo molto più vero e chiaro della politica, di tutta la politica. Così sui gravi problemi dell'ambiente, della giustizia sociale, della selezione mondiale tra ultra-garantiti e sradicati... Ma partecipare alla chiesa è un'altra cosa. A partire dagli edifici, per lo più monumenti del passato, agli abiti liturgici, strani e teatrali (la mitria vescovile di origine faraonica): sono scene estranianti. Dov'è davvero la chiesa, dove la si trova? Tertulliano (155-230), scrittore cristiano molto severo, ricordava lo stupore dei pagani quando incontravano una comunità cristiana: «Vedete come si vogliono bene?» (Apologetico, 39,7). Non è forse proprio questo il maggiore criterio evangelico per una pur piccola chiesa? Quanto spesso si verifica? Senza però farsi setta chiusa, ma sempre accogliente, non discriminante.

 

In che cosa abbiamo sbagliato?

Se i giovani avvicinano la chiesa, oggi, è per qualche esperienza simile, non per trasmissione familiare, fra le generazioni, come avveniva ieri. Molti genitori e anziani si chiedono: in cosa ho sbagliato non riuscendo a trasmettere la mia fede ai ragazzi? Il fatto è che le vere scelte interiori avvengono per esperienza personale, non determinate dall'ambiente, sia pure affettivo. La comunione profonda con Cristo Gesù, come per ogni altra ispirazione religiosa, avviene per quell'evento intimo, per quell'incontro esistenziale che chiamiamo grazia, dono, appello, comunione, un fatto che può essere favorito dal clima ambientale, ma non è prodotto dall'esterno. È positivo che la fede non sia un'influenza sociologica, ma una vicenda personale autentica. Il fatto conta molto più dei numeri. La chiesa è minoranza sociale, anche piccola: non coincide più con la "società cristiana", come si illudeva ieri, a prezzo di conformismi insinceri, una chiesa numerosa, ma non tutta vera. I nuovi "segni dei tempi" spazzano via certe apparenze, e questo è bene, anche se fa soffrire chi si appoggia a forme tramontate, come le belle pietre del tempio, che Gesù vede già rotolate a terra. Il "segno dei tempi" è Cristo Gesù, sempre nuovo e veniente, con la sua parola, con l'offerta totale di sé per ispirare vita buona e vera, che non muore.

In questa situazione, la chiesa ‒ lo ricorda sempre papa Francesco ‒ non ha da fare "proselitismo", non ha da agitarsi per reclutare, non ha da temere la povertà di presenze. Ha solo da essere viva, da respirare vangelo, che potrà comunicarsi ad altri, per grazia, come la chiesa l'ha ricevuto.

Ho visto l'oratorio di una parrocchia: prima della partita il prete fa dire una decina del rosario, come un biglietto d'entrata, poi tutti di corsa a giocare: il vero scopo! Osservavo con imbarazzo.

 

La testimonianza dell’amore

Se un ragazzo mi dice: «Io non credo in Dio», posso chiedergli: quale dio? quello lontano, extraterrestre, sorvegliante, legislatore e giudice severo, amministrato da una potenza religiosa? Oppure puoi pensare che quel dio astratto sia un nome improprio ed equivoco del Bene vivente, dell'Amore, del Respiro di cui sentiamo il bisogno, della Bontà ispirata in noi che ci anima alla giustizia, alla dedizione? Puoi pensare che sia il nome popolare della Speranza portata da Cristo che la forza bruta e la morte non regnino sulla vita e sulla giustizia? Se possiamo dire questo a un ragazzo, in modo credibile, abbiamo fatto quanto dovevamo come chiesa, mi pare.

Non intendo affatto ignorare che Dio è persona, che ha relazione con noi persone umane, ed è egli stesso relazione vivente. Intendevo (nel limite in cui ho saputo esprimermi) che un giovane può capire che «Dio è Amore» (come è detto in 1 Gv 4,8), meglio del nome generico e abusato, “Dio”. Il Dio Padre di Gesù Cristo, oggi si osserva, è stato spesso confuso con un mitico Theòs. Per distinguerlo da una concezione mitica, oggi si riflette e si discute. C’è anche chi pensa Dio come pura energia creativa, ma non persona. Lo scorso 7 dicembre, il teologo Paolo Ricca ha presentato, nella Sala Valdese, il suo libro Dio. Apologia (Claudiana 2022), in cui critica le chiese perché parlano più della diaconia, delle opere (pur giuste e doverose) che di Dio, della fede ricevuta. Ricca ha affermato: «Dio non è il prossimo, non basta amare il prossimo per amare Dio. La chiesa deve saper dire che Dio è Dio». Credo che questo sia un rilievo importante, eppure è forse possibile parlare del Dio di Gesù senza la primaria testimonianza pratica dell’amore fraterno? Mi sembra che, per indurre a riflettere il giovane che non crede in Dio, dobbiamo testimoniargli non una ipotesi o dottrina del divino, ma l’amore, frutto della fede, che è fede non in un principio etico, ma nell’Amore vivente.

Enrico Peyretti

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