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 496 - La critica di Lula all’Onu durante la Cop27

 

Riformare o rifondare?

 

«Non è possibile che siano ancora i vincitori della Seconda Guerra Mondiale quelli che dirigono la sicurezza del pianeta. Il mondo è cambiato da allora».

Così si è espresso Luiz Inacio Lula da Silva, Presidente del Brasile, in margine al suo intervento alla Cop27 (la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici). Non è il solo e non è il primo, il Presidente Lula, ad esprimere una critica severa sul funzionamento dell’Onu, ma è significativo che provenga da un paese così importante, e in quel contesto.

 

Il diritto di veto e il principio di unanimità

La gerarchia delle Nazioni Unite, e in particolare il vertice dei membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, è ormai obsoleta. Lo è rispetto alla missione originaria dell’Onu: «Mantenere la pace e la sicurezza internazionale». Non solo perché, fin dall’indomani della sua creazione (guerra d’Indocina, 1946), i conflitti armati hanno continuato a prodursi in ogni angolo del globo, o perché raramente una pace è stata negoziata sotto l’egida delle Nazioni Unite e quasi sempre dopo l’esito della guerra (guerra Iran-Irak, 1980/1988). Ma soprattutto perché nessuno dei membri del Consiglio di Sicurezza si è mai privato del privilegio di farla, la guerra! Ultima la guerra di aggressione della Russia all’Ucraina. Mantenere la pace è, di per sé, un’utopia sufficientemente impegnativa; mettere nelle mani di cinque potenze nucleari l’incarico di «prendere efficaci misure collettive per prevenire e rimuovere le minacce alla pace e per reprimere gli atti di aggressione», risulta, col senno di poi, una pia illusione più che una pia intenzione.

Non ci sarebbero più guerre se si sostituisse la Cina con l’India, la Francia con l’Algeria, l’Inghilterra con il Giappone, la Russia con la Siria e gli USA con il Brasile? Dubito fortemente. Il diritto di veto dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza è il principale accusato dell’inefficacia dell’Onu. Tanto che, recentemente, il 26 aprile 2022, l’Assemblea Generale dell’Onu si è attribuita un «Mandato permanente per indire un dibattito dell'Assemblea Generale nei dieci giorni successivi ad un veto nel Consiglio di Sicurezza, dibattito in cui il Paese che ha posto il veto avrà la parola per primo». Un modo per dire che chi dei cinque oppone un veto deve andare a spiegarne le ragioni a tutti gli altri Paesi. O meglio “dovrebbe” andare a spiegarne le ragioni, dal momento che nessuno è riuscito finora ad immaginare cosa fare per obbligarlo, come ha ben capito la Russia che il 30 settembre 2022 ha opposto per la 119° volta il suo veto in Consiglio di Sicurezza. La questione del veto ha un valore simbolico, poiché rappresenta uno dei cardini di funzionamento dell’Onu: il principio di unanimità, fondato sul principio della sovrana eguaglianza di tutti i suoi Membri (cfr. Più democrazia all’Onu. Se fosse un rischio, invece di un’opportunità? in il foglio 492). Detto in sintesi: se non c’è il consenso di ogni singola Nazione le risoluzioni non verranno messe in pratica e l’Onu non ha mezzi coercitivi per farle applicare da uno Stato recalcitrante.

Se fosse solo per l’incapacità a frenare le guerre (questione che suppongo abbia accompagnato l’umanità negli ultimi 7 milioni di anni) la contestazione della gerarchia delle nazioni non avrebbe avuto più eco di quella ricevuta da 77 anni a questa parte. La rilevanza delle parole di Lula risiede nel contesto in cui sono state pronunciate: la Cop27.

 

I due maggiori inquinatori del mondo

È nel contesto della crisi climatica globale, minaccia per l’intera umanità, che la gerarchia dell’Onu mostra tutta la sua obsolescenza. È perché miliardi di esseri umani si sentono più minacciati di morte per la certezza del surriscaldamento del pianeta, che da una probabile testata nucleare lanciata da uno dei nove paesi detentori, che l’urgenza di una azione globale efficace appare incompatibile con il funzionamento del vertice dell’Onu. È la presenza tra i membri del massimo organo dell’Onu dei due (Cina e USA) più grandi inquinatori del pianeta a privare di autorevolezza le raccomandazioni e gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra.

Basterebbe abolire il diritto di veto? Il diritto di veto ha fatto il suo tempo ed è ormai un relitto del passato (si può fermare il surriscaldamento del pianeta con un veto all’Onu?). Abbandonarlo è ormai un’ovvietà. Ma attenzione a sopprimere il principio di unanimità e sostituirlo tout-court con quello di maggioranza. Maggioranza come? Ogni Paese un solo voto? Pesi diversi in funzione della popolazione? Riflettiamo sulla storia recente di un grande paese democratico come il Brasile. Durante i quattro anni della presidenza Bolsonaro (democraticamente eletto) la deforestazione dell’Amazzonia ha progredito al ritmo di circa 10.000 km2/anno. Cosa succederebbe il giorno in cui il Brasile, il Congo, la Cina, la Nuova Guinea, la Russia e il Borneo votassero, a maggioranza, in favore dello sfruttamento massiccio delle loro immense foreste, a vantaggio dei propri concittadini e ignorando il ruolo che esse hanno sull’equilibrio climatico del pianeta?

Basterebbe abolire il privilegio dei Membri Permanenti? Il Consiglio di Sicurezza è costituito da 15 membri, di cui cinque permanenti (Cina, Francia, Inghilterra, Russia, Usa) e dieci che si alternano con un mandato biennale (per il 2022-23 sono: Albania, Brasile, Emirati Arabi, Gabon, Ghana, India, Irlanda, Kenya, Messico, Norvegia). Ha ragione Lula quando afferma che aver vinto la Seconda guerra mondiale non è più un criterio per attribuire un privilegio a questo o quello Stato. Lo statuto di membro permanente va semplicemente abolito. Ma attenzione a non trasformare il Consiglio di Sicurezza in un doppione dell’Assemblea Generale dell’ONU, moltiplicandone il numero di membri. Quale criterio adottare? Oggi è unicamente geografico (cinque stati africani e asiatici; uno est-europeo; due latino-americani; uno dall’Europa occidentale e uno dagli altri stati). Sarebbe rischioso affidare la scelta unicamente alla libera elezione da parte dell’Assemblea Generale. Come dimostra ampiamente la Fifa, il “libero voto” per la scelta del Paese organizzatore dei campionati mondiali di calcio si trasforma sistematicamente un sordido commercio di mazzette. Cosa potrebbe succedere il giorno in cui tutti e quindici i Paesi del Consiglio di Sicurezza fossero i primi quindici produttori di petrolio? Qualcuno si illude che proprio loro accelererebbero la transizione verso le energie rinnovabili? Meglio sforzarsi di immaginare criteri che ottengano di bilanciare Paesi per popolazione, reddito pro-capite, emissioni di CO2.

 

IL problema che non conosce frontiere

Una riflessione sulla riforma dell’ONU deve cominciare dalla principale minaccia che ormai tutti popoli della terra sentono pesare sulla sopravvivenza del genere umano: la catastrofe climatica. Allora sarebbe opportuno ripensare l’ordine dei fini indicati dalla Carta delle Nazioni Unite all’art. 1, e porre al primo posto l’attuale terzo: «Conseguire la cooperazione internazionale nella soluzione dei problemi internazionali». Qual è oggi il problema internazionale per eccellenza? Quello che nessuna nazione da sola, nessuna potenza ‒ per grande che sia ‒ può credere di risolvere unicamente per sé, senza la cooperazione di tutte le altre? Quello che non conosce frontiere, razze, religioni, culture? È il riscaldamento del pianeta, a causa dell’attività dell’uomo nel produrre gas a effetto serra! La missione di ridurre le emissioni di CO2 non serve interessi nazionali. Non ci sono Paesi vincitori o vinti in questo sforzo. O vinciamo tutti o saremo tutti vinti. Il pianeta sopravviverà anche a questa catastrofe ecologica – ne ha conosciute altre in milioni di anni. L’umanità no.

È una missione in cui non si tratta di impedire di fare a questo o a quello, ma al contrario si tratta di incoraggiare a fare. Dunque si può immaginare una composizione del Consiglio di Sicurezza ispirata al proverbio africano: «Se vuoi andare veloce vai solo, se vuoi andare lontano vai insieme». Cinque membri eletti nel gruppo dei buoni esempi: il Paese che emette meno CO2 pro-capite; quello che ha ottenuto la più rapida riduzione; quello che protegge meglio le foreste; ecc. Cinque membri tra i maggiori inquinatori: il Paese che immette più CO2 in valore assoluto; quello che utilizza più energia fossile per abitante; quello le cui acque sono più inquinate; ecc. Cinque membri tra gli altri Paesi. Le risoluzioni (obiettivi, scadenze, priorità, incentivi, ecc.) si adottano a maggioranza qualificata di dodici membri su quindici, senza diritto di veto. L’attività del Consiglio di Sicurezza deve accelerare la fertilizzazione incrociata delle buone pratiche tra gli stati membri e l’abbandono di quelle nocive all’ecosistema. Questo deve essere il senso delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza.

Quale che possa diventare la combinazione tra un «nuovo governo del mondo, con posti per nuovi paesi nel Consiglio di sicurezza dell’Onu» (come auspica Lula) e il risultato delle riforme in corso sul funzionamento interno dell’organizzazione (note come Agenda 2030), resta un problema soggiacente da affrontare: quali misure coercitive o incitative? Non nascondiamoci dietro a un dito: l’Onu non ha una polizia mondiale, e se anche l’avesse non sarebbero certo i caschi blu a far chiudere una centrale a carbone. Bisogna pensare ad altri strumenti. L’Unione Europea ne ha appena approvato uno che potrebbe fare scuola: il meccanismo di aggiustamento CO2 alle frontiere (detto Tassa CO2). Consiste nel far pagare una tassa sulle merci importate da Paesi con regole meno severe di quelle dell’Unione Europea in materia di inquinamento. Il ricavato di tali tasse viene utilizzato per finanziare investimenti per la riduzione di emissioni di gas a effetto serra. Attraverso l’Organizzazione per il Commercio e la Banca Mondiale, l’Onu potrebbe estendere questo meccanismo su scala mondiale, sotto il controllo del Consiglio di Sicurezza.

Finora il governo del mondo ha prevalentemente reagito alle crisi. Oggi i popoli della terra sentono l’urgenza di cambiarlo, con la stessa drammatica motivazione all’origine della Carta delle Nazioni Unite: «Noi, popoli delle Nazioni Unite, decisi a salvare le future generazioni». Non ci saranno infatti future generazioni senza un nuovo orientamento e una nuova formula di governo.

Stefano Casadio

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