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chiesa
497 - Vangelo e storia secondo Ratzinger |
Nostalgia della cristianità
Dopo la sua morte, si è aperta una interessante discussione nell’interpretazione di papa Benedetto XVI, la sua azione, ma soprattutto la sua concezione del rapporto fede e storia, Cristo e umanità, chiesa e società laica (cfr. per es. gli articoli di Menozzi, Melloni, Grillo e Saccenti). Sembra che Ratzinger non abbia visto i "segni dei tempi" valorizzati da Giovanni XXIII e dal Concilio, cioè le luci, insieme ai problemi, che il cammino umano offre e chiede alla fede. |
Gesù stesso appartiene alla storia, è un "segno dei tempi". La chiesa impara dalla storia e non solo insegna e trasmette. I "segni" indicano significati nuovi e ulteriori.
Tra fede e ragione
Per noi (gli ambienti e relazioni di amicizia e di pensiero che conosciamo, che frequentiamo, che ci istruiscono continuamente) questa discussione è non solo interessante, ma coinvolgente vitalmente, perché noi siamo sia cristiani sia laici. Siamo figli (con tutti i limiti e le ramificazioni) della rivoluzione illuminista, e siamo figli (con altrettanti limiti) di Dio-padre-madre: non il Theos del mito e della metafisica, ma Dio mostrato e "spiegato" (exegesato), rappresentato, da Gesù di Nazareth (Vangelo di Giovanni 1,18), in continuità e rottura con la tradizione ebraica in cui è nato; in qualche relazione con le altre intuizioni umane del Bene, del Vero, della Vita. E non sentiamo contraddizione tra illuminismo e fede (fiducia, relazione amorosa). Possiamo sentire problemi e fatiche (e dove non ci sono?), autonomia, ma non contraddizione, non alternativa.
Vorremmo saper dire meglio e più correttamente quello che azzardiamo, e che crediamo sia il pensiero che ci ha educato e nutrito: l'umanità non è tarlata da un peccato originale, non è massa damnata, e la chiesa (fede, teologia, istituzione, fraternità, preghiera) non le "porta" la salvezza, ma gliela annuncia. Possibilmente gliela dimostra nell'amore fraterno, e nell'amore costruttivo, fino ai nemici. L'umanità ha dentro e davanti sia il bene sia il male, e Dio la accompagna, anche sconosciuto, nella luce della coscienza e della ragione, a poter scegliere il bene, la vita. Abbiamo bisogno di salvezza, non da un "male radicale", ma dal disorientamento e dal vivere senza un orizzonte di coscienza e di bene; salvezza dal non-senso, che finisce per renderci abbandonati, rivali tra noi, avidi, e nemici. Non così per papa Benedetto: «Quella di Ratzinger è una visione della storia della salvezza che certamente pone una seria ipoteca sulla impostazione metafisica di matrice neoscolastica. Se il Cristianesimo è rivelazione di un Dio che diviene punto terminale nel quale è chiamata a ricomprendersi l’interezza dell’umano, la struttura ontologica della realtà assume una valenza secondaria rispetto alle tappe temporali di un processo di cristianizzazione che è inteso come sinonimo di umanizzazione» (R. Saccenti).
L'uomo, come il mondo, è già valore in sé («Vide che tutto era molto buono», Genesi 1,31): anche prima di riconoscersi immagine di Dio, lo è. Saperlo è una gioia e pienezza di coscienza. Già la coscienza di sé, di vivente che pensa e aspira a più vita, che cammina evolve e cresce, è umanità in autentica via di realizzazione. La ragione laica, umana, è questa dignità. L'uomo la trova in sé. Trova in sé anche, ma non solo, miseria: "grandezza e miseria" (Pascal). Se l'uomo non conosce Dio, non è meno uomo. Una fedeltà alla dignità umana è realizzazione e salvezza dell'umano. Noi siamo stati educati e condotti (anche attraversando difficoltà, aiutati a superare schemi rigidi) a questo umanesimo, insieme alla gratitudine per aver conosciuto e sentito in cuore il vangelo di Cristo, la sua verità, non come un privilegio e superiorità rispetto ai nostri amici laici (umani), ma come un dono possibilmente da proporre, offrire, condividere non come necessità ma come aggiunta di gioia, di speranza attiva, e impegno a comunicarla, nella libertà. C'è differenza, tensione, relazione tra religione e fede, tra istituzione e spirito. C'è una laicità-laicismo anti-religioso per ragioni storiche e spirituali che possiamo riconoscere. Ma c'è una laicità ben consapevole del mistero che ci circonda, come quella di Bobbio, che abbiamo ammirato (cfr. su Bobbio il libro di C. Pianciola, La persona laica, ed. Biblion 2022 e E. Peyretti, Dialoghi con Norberto Bobbio su politica, fede, nonviolenza, Claudiana 2011).
Il caso della messa in latino
Se la posizione di Ratzinger è stata un anti-modernismo in nome di una forma tradizionalistica della fede, sarà usata da credenti integralisti, spaventati dalla storia, per archiviare il Concilio, fino a papa Francesco. Ratzinger ha concepito la chiesa come un castello fortificato contro gli errori della modernità, dal relativismo al marxismo sino alla perdita della memoria di Dio nella società, proponendo invece di vivere «come se Dio ci fosse». Ha posto al centro la Verità, intendendola soprattutto come la sana dottrina che va dal concilio di Trento al Vaticano I. Non è un caso la controversia sulla Messa in latino: il problema non è una celebrazione in tale lingua ma col nuovo Messale (di Paolo VI), cosa normale in incontri internazionali con fedeli di lingue diverse (come ai funerali di Benedetto XVI). Ma i reazionari vogliono la Messa in latino col messale di Pio V (1570, appunto poco dopo la chiusura del Tridentino), per aumentare le distanze, indurre le differenze e costruire contrapposizioni alle aperture di papa Francesco e dei cristiani più illuminati.
Un cardinale italiano, molto vicino a Ratzinger, disse: «Il Vaticano I non è un theologoumenon». Con questo termine si intende un'affermazione o concetto teologico che vale come ipotesi o supposizione, a volte originale, ma senza l'autorevolezza, perlomeno non esplicita, della rivelazione e tradizione, per cui può essere criticata e abbandonata. Quindi secondo il suddetto porporato il concilio Vaticano I è assoluto e vincolante, pena l'eresia o la scomunica; da qui si spiega la diffidenza, se non l'avversione di Benedetto XVI per il metodo storico-critico nell'esegesi biblica, soprattutto quando esso sembra trarre delle deduzioni che vanno contro il deposito dogmatico della fede. Ad es. che il «Tu es Petrus..., col potere delle chiavi, contro cui le infernali porte o vectes (picconi) non praevalebunt» (sic), non è un detto del Gesù storico bensì la creazione-invenzione, in Asia minore dopo la morte di Simone, di una intransigente e integralista comunità nell'arcipelago di Matteo (16,18s; assente nel resto del NT), andando così in rotta di collisione col primato dei (presunti) successori di Pietro e con l'infallibilità pontificia proclamata dal suddetto Vaticano I (1870); o che i vangeli dell'infanzia sono in massima parte leggendari, ponendo seri dubbi sulla verginità di Maria (nel suo «Gesù di Nazareth» Ratzinger concede solo una quisquilia in Luca 2,13s: ossia le schiere angeliche hanno detto-proclamato, e non cantato, il «Gloria a Dio...»).
Il lungo inverno
Se la fede cristiana è legata alle formulazioni che ha ricevuto nel linguaggio della filosofia greca, dovrà essere superata per dire in modo nuovo la fede nell'esperienza e nel linguaggio dell'umanità di oggi, come aveva fatto il giovane teologo progressista Ratzinger quando insegnava in Germania. Ma poi si è lasciato contaminare dal virus fondamentalista della millenaria istituzione ecclesiastica chiudendo la porta alla modernità, nel lungo inverno ecclesiale di Giovanni Paolo II che chiamò Ratzinger, da arcivescovo di Monaco, a Roma per dirigere la congregazione per la dottrina della fede. Da prefetto di tale dicastero, con la dichiarazione Dominus Iesus del 2000 ha rispolverato l'adagio Extra ecclesiam nulla salus («fuori dalla chiesa non c'è salvezza»), intendendo la chiesa cattolica, e declassando le altre chiese cristiane a “comunità separate”: una pietra tombale sull'ecumenismo.
Il suo sogno era una Europa sotto la guida del cattolicesimo “pietroso” oltre che romano-petrino, ritenendo che, nell'incontro della fede con la ragione-logos greco, l'Europa occidentale sia la più alta inculturazione del cristianesimo; un'irrimediabile nostalgia di societas christiana, equivalente a quella humana tout court. Per questo ha snobbato, e addirittura combattuto le inculturazioni di altri continenti, in primis la teologia latino-americana della liberazione. Infatti ha censurato, perseguitato e processato (sempre da prefetto del Sant'Uffizio) parecchi teologi, da G. Guterriez a L. Boff e Jon Sobrino, imponendo loro il “silenzio ossequioso”: un eufemismo per indicare il divieto di parlare, insegnare e svolgere qualsiasi attività teologica; in particolare la proibizione di accompagnare pastoralmente nel loro cammino le “infide” comunità di base.
La fede nel Bene vivente si offre invece al cammino faticoso (e oggi gravemente rischioso) dell'umanità. Così pure l'umanità, a questo punto del cammino storico, interroga e stimola laicamente i credenti in Dio a dare contributi e risposte e servizi che finora la storia non ha chiesto ai credenti. Umanesimo laico e fede in Dio non si pongano come superiore-inferiore, ma come sinceri tentativi umani di vita degna e vera, e oggi urgentemente pacifica, nonviolenta: sopravvivere per poter vivere.
Enrico Peyretti e Mauro Pedrazzoli
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