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 487 - LE SUE PAROLE, A 30 ANNI DALLA MORTE

 

ERNESTO BALDUCCI

Ernesto Balducci (1922-1992) è l’uomo e il cristiano che diede un contributo di massimo valore alla nuova cultura cristiana e umanistica e planetaria nel secondo Novecento, cultura alla quale abbiamo cercato di nutrirci anche noi. Per ricordarlo, con profonda gratitudine anche per l’amicizia con cui ci trasmise coraggio e sostegno, ascoltiamo di nuovo, in questa piccola antologia, alcune delle sue parole (tra le tante che potremmo riproporre), che allora abbiamo raccolto e conservate come indicazioni lucide e preziose, e così sono anche oggi. (a cura di e. p.)

 

Futuro. «Quello che dà qualità alla nostra coscienza attuale è un auspicio di questo tempo futuro, una specie di affidamento delle nostre speranze a coloro che verranno. Questo futuro dell'uomo rappresenta un punto di riferimento con cui mi trovo pienamente concorde con tanti che non hanno la mia fede e che non sanno rivolgersi a un futuro assoluto di Dio, che è quello che oltrepassa la frontiera della morte. Ma il futuro dell'uomo è già un punto di riferimento di valore sacro, dinanzi al quale è possibile a me inchinarmi in preghiera accanto al fratello non credente che, anche lui, senza volerlo, preparando il futuro di pace, prega e vive la mia stessa speranza».

(da Pensieri di pace, Cittadella, Assisi 1985). 

Dio crocifisso. «Mentre il Dio crocifisso destabilizzò il mondo (la terra tremò, ma con la terra tremarono tutte le gerarchie terrene ed infernali), il dio metafisico lo stabilizzò, rendendo intangibili le trame di dominio di cui è fatta la stoffa della storia».

(L'uomo planetario, Camunia 1985, p. 31). 

Uomo. «Chi ancora si professa ateo, o marxista, o laico e ha bisogno di un cristiano per completare la serie delle rappresentanze sul proscenio della cultura, non mi cerchi. Io non sono che un uomo».

(L'uomo planetario, Camunia 1985, p. 203). 

Ragione. «Oggi la coscienza comune, ma anche quella addestrata alle analisi, sa che la ragione come facoltà specifica dell'uomo non è quella istituzionalizzata nella tradizione occidentale al servizio di un progetto di dominio, è la ragione ancora disseminata nelle molte sapienze del genere umano, anche in quelle che non sono in nessun libro».

(Francesco d’Assisi, ECP, Fiesole 1989, p. 176).

Come un oggetto. «Chi cerca Dio come se fosse un oggetto possibile della mente, non lo trova, perché già si pone in un atteggiamento di dominio (l'uomo soggetto dinanzi a Dio suo oggetto) e, se lo trova, non si tratta di Dio, ma di una finzione della mente che ha lo scopo di legittimare tutte le pretese di domino dell'uomo».

(Francesco d’Assisi, ECP, Fiesole 1989, p. 155).

Fallimento. «Il modo di essere della profezia nella storia è il fallimento, la cui cifra per eccellenza è la croce di Gesù Cristo. Mentre nel codice razionale della storia il fallimento è una sconfitta, nel codice della profezia è una vittoria: la croce è Pasqua».

(Francesco d’Assisi, ECP, Fiesole 1989, p. 169).

Profeti. «La storia dà torto ai profeti e, quando sono morti, tenta di reintegrarli in sé, canonizzandoli. Ma i profeti continuano a dar torto alla storia e hanno le prove: solo che quelle prove sono riposte nello scrigno del futuro».

(Francesco d'Assisi, ECP, Fiesole 19B9, p. 175)

Coscienza / 1. «È in questo tessuto indivisibile che ha preso forma, senza lacerazioni, il fenomeno umano: l'onda psichica emersa dalle profondità della materia si è ripiegata su di sé e ha brillato la coscienza, punto di interruzione dei processi deterministici, causa non causata, specchio infinitesimo in cui si riflette l’infinito fisico e vi cerca il senso di sé».

(La terra del tramonto, ECP, Fiesole 1992, p. 159).

Interdipendenza. «L'accettazione della propria morte come misura congenita della vita ha per effetto il dissolversi del diaframma di separazione tra l'io individuale e il concerto delle creature e di conseguenza rende possibile l'afflusso nel vuoto interiore del ritmo universale della vita. È la “perfetta letizia” che dischiude il segreto delle cose e intreccia al nostro linguaggio razionale il linguaggio che lega cosa a cosa in una specie di “grammatica universale”. Il “cantico delle creature” (…) è un’esperienza possibile anche alla coscienza etica come tale, purché del tutto liberata dal contagio dell’individualismo. L’imperativo di questa etica potrebbe essere questo: «Ama la tua specie come te stesso». (…) La nuova etica è appunto l’etica che prende a suo fondamento l’interdipendenza tra le cose».

(La terra del tramonto, ECP, Fiesole 1992, p. 168 e 170).

Novità. «È un privilegio potersi aprire alla inquietante novità che viene, senza per questo togliere l'àncora dai valori perenni».

(La terra del tramonto, ECP, Fiesole 1992, p. 9).

Cambiamento. «Ma può l'uomo mutare? Diventare artefice della propria genesi? Lo può, perché se, liberandoci dal concetto di natura umana come di un modello statico, osserviamo la storia della specie sull'intero asse evolutivo, vediamo che il cambiamento è la sua vera legge naturale».

(La terra del tramonto, ECP, Fiesole 1992, p. 37).

Poesia. «La nostra si chiama civiltà della comunicazione ma in realtà è la civiltà della trasmissione. Solo la poesia, quando c'è, viene a interrompere le trame delle parole e delle immagini che chiedono da noi non l'interazione creativa ma il consumo passivo. Allora le parole immerse nella tensione dell'uomo inedito che aspira a un mondo misurato su di sé perdono la loro inerte disponibilità all'uso e si caricano di un senso segreto (di "indefinito", diceva Leopardi) che ci trascina, se abbiamo orecchie e abbiamo occhi, in quella patria dell'essere di cui l'uomo inedito conserva la nostalgia, o, per meglio dire, la speranza».

(La terra del tramonto, ECP, Fiesole 1992, p. 57).

Contro l’entropia. «La parabola entropica è la cornice inesorabile della nostra finitezza. E tuttavia l'amore agisce in senso antientropico in quanto si fa premura di integrarsi, senza violenza, nel ritmo universale della vita con la disposizione ad anteporlo a ogni vantaggio personale, in vigile solidarietà con tutti gli altri esseri viventi».

(La terra del tramonto, ECP, Fiesole 1992, p. 167).

Coscienza / 2. «L'organo della nuova religione naturale, destinata ad accomunare gli uomini di ogni credenza, è, per usare una bella espressione di Gandhi, la “piccola silenziosa voce della coscienza"».

(La terra del tramonto, ECP, Fiesole 1992, p. 175).

Religioni. «L'unica risposta all'altezza del tempo è, per le religioni, il recupero dell'intuizione originaria al di là dei simboli in cui ciascuna di esse si è espressa, al di là del linguaggio culturale in cui si è codificata. (...) Il senso delle religioni è il servizio all'uomo nella sua dimensione di trascendimento perenne fino al contatto con Dio, fino a quel disvelamento che aprirà definitivamente l'uomo a Dio e Dio all'uomo. Non ci sono, dunque, religioni false. Ognuna di esse attinge alle risorse dell'uomo nascosto assumendo come centrale una sua possibilità e rendendola praticabile pur dentro i sentieri provvisori di una cultura. Quando i sentieri restano interrotti perché la cultura entra in dissoluzione, il compito di una religione è di reimmergersi in quella intuizione che la fece nascere e riproporla al di fuori di ogni condizionamento, in vista della totalità umana. Liberandosi da una simbologia che appartiene a un'altra età evolutiva, essa dovrà crearsi un nuovo linguaggio simbolico che abbia l'età dell'uomo e sia in grado di additare lo stesso orizzonte di pienezza. Insomma, per vivere, le religioni devono morire».

(La terra del tramonto, ECP, Fiesole 1992, pp. 134-35).

Gandhi. «Due sono le ragioni che hanno provocato il martirio di Gandhi: il suo rifiuto dell'antagonismo tra le religioni e il suo rifiuto della violenza come strumento di giustizia».

(Gandhi, ECP, Fiesole 1988, p. 5) 

Farsi carico. «“Se tu fai questo io ti uccido”, ha proclamato da sempre la cultura di guerra che ha fatto la grandezza dell’Occidente. “Se fai questo sono io che muoio”, insegnarono gli antichi saggi dell’Oriente da cui Gandhi ha derivato la sua “verità”. Farsi carico della violenza del nemico soffrendone, se necessario, fino alla morte, non è più un principio riservato ai mistici, è il principio su cui costruire l'unica civiltà autenticamente umana: ecco la pretesa di Gandhi».

(Gandhi, ECP, Fiesole 1988, p. 157).

Postulati. «Per liberare la speranza dai dualismi che la isteriliscono (…) sono necessari tre “postulati”: il postulato della trascendenza: il possibile fa parte del reale; il postulato profetico: agire nel presente a partire dalla fine; il postulato escatologico, quello della resurrezione. È proprio questa la rivoluzione avvenuta oggi nella vita di fede».

(Rocca, 1 agosto 1991, p. 17).

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