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 488 - LA LETTERA DI RATZINGER E L'INTERVENTO DI FRANCESCO DA FAZIO

 

Due papi a confronto

 

Benedetto XVI inizialmente ha negato la sua presenza all'assemblea bavarese durante la riunione dell'Ordinariato del 15 gennaio 1980; Ratzinger è stato arcivescovo di Monaco dal  1977 al 1982: in quel periodo per noi era ancora il giovane teologo “progressista” autore di Introduzione al Cristianesimo, un testo conosciuto e apprezzato (poi la porpora, con poche eccezioni come Bergoglio e Martini, ha giocato...brutti scherzi).

Dopo aver successivamente ritrattato la sua assenza definendola una svista, ha reso pubblica in data 6 febbraio 2022 la lettera (una paginetta) che cerca di salvare il pasticcio combinato.

 

Grandissima colpa

Così scrive Domenico Agasso sulla «Stampa» del 9 febbraio (p. 2): «Durante quell'assemblea a Monaco si parlò di un sacerdote, padre P. H., che aveva abusato di alcuni ragazzi [nella diocesi di Essen] ed era giunto nel capoluogo della Baviera  per una terapia: si diede il via libera al suo trasferimento nell'arcidiocesi di Monaco e Frisinga. Ma i periti garantiscono “che Ratzinger non era a conoscenza né del fatto che il sacerdote fosse un abusatore, né che dovesse essere inserito nell'attività pastorale”». Si fa leva sulla prassi che il cardinale, oltre a non poter ricordare le centinaia di riunioni di quel periodo, non si occupasse normalmente dei trasferimenti che erano gestiti dai suoi (vescovi) ausiliari: giusto. Ma, trattandosi del trasferimento di un pedofilo, Ratzinger non poteva non sapere sia della terapia che del trasferimento nella sua diocesi: e questo a prescindere totalmente dalla sua partecipazione o meno alla suddetta riunione, diventata un depistante giallo-thrilling nella ricerca affannosa, soprattutto da parte del quotidiano della Santa Sede, di un presunto errore di trascrizione del report-memorandum. «Benedetto XVI mai ha cercato di nascondere…», suona il Leit-motiv dell’Osservatore Romano con la coda di paglia.

Gli ha gettato una scialuppa di salvataggio il cardinal Ruini che, intervistato sul quotidiano «Il Foglio» del 27 gennaio 2022, sostiene: «In Germania è prassi comune, assai più che in Italia, che sia il vicario generale e non il vescovo a farsi carico di molte decisioni di governo»; caro don Camillo, questo è vero in generale nelle situazioni normali. Ma il vicario, dando sèguito alla decisione dell'Ordinariato, affidò un incarico pastorale ad un (ex)pedofilo-abusatore, e ci si vuol far credere che il suo arcivescovo non ne sapesse nulla? È un insulto alla nostra intelligenza: è difficile non dedurre che Ratzinger o sia uno smemorato (prima, non l'attuale quasi 95enne) oppure un bugiardo (prima e dopo).

Infatti nella prima metà della paginetta si difende dall'accusa di aver mentito (per questo è stata scritta la lettera), e poi scrive: «Posso solo esprimere nei confronti di tutte le vittime di abusi sessuali la mia profonda vergogna, il mio grande dolore e la mia sincera domanda di perdono. Ho avuto grandi responsabilità nella Chiesa cattolica. Tanto più grande è il mio dolore per gli abusi e gli errori che si sono verificati durante il tempo del mio mandato nei rispettivi luoghi... Ogni giorno mi domando se anch'io non debba parlare di grandissima colpa, come tutti all'inizio della Santa Messa... e ho imparato a capire che noi stessi veniamo trascinati in questa grandissima colpa quando trascuriamo gli abusi o quando non li affrontiamo con la necessaria decisione e responsabilità, come troppo spesso è accaduto e accade».

Naturalmente non sono mancanti gli “Osanna”, in particolare dell'arcivescovo di Bologna Matteo Zuppi che definisce la lettera «bella e intensa ... nella sua altezza e universalità ... un testo nobile, spirituale e umano... dando una lezione di umiltà, responsabilità e prova di coraggio» (sulla «Stampa» del 10 febbraio 2022, p. 19), nella tipica retorica clerical-adulatoria. Ma la pedofilia ci sembra un cancro endemico della Chiesa.

 

Il mito della creazione

Di tutt'altra natura è stato l'intervento di Papa Francesco a «Che tempo che fa», accattivante e desacralizzato: ha definito il clericalismo una putredine. Fra i temi toccati (già analizzati dai mass-media) commentiamo qui solo le questioni cruciali del male e dell'onnipotenza divina.

Francesco è un buon “miscelatore”: da una parte usa espressioni di stampo creazionistico come «Dio ci ha fatti buoni, ma liberi», «Dio crea l'uomo e la donna»: cosa significano nelle infinite vicissitudini (seppur con vincoli) di 5 milioni (!) di anni da quando la nostra linea evolutiva si è separata dallo scimpanzé? Era già buona Lucy (3,3 milioni di anni fa), o il nostro bisnonno Homo ergaster, o il nostro padre Homo heidelbergensis? Non bastano le considerazioni astratte su scienza&fede: occorre sorvolare e atterrare nella savana del pleistocene. Dall'altra però il Papa non ritiene più i racconti iniziali della Genesi come eventi primordiali anteriori alla storia, ma neppure fuori dalla storia nel senso che ne costituiscono il paradigma: «la storia-mito della creazione è un po' curiosa: lavorate, fate figli, ma subito arriva la guerra tra fratelli» e la violenza su tutta la terra. Caino che uccide Abele, come forse abbiamo fatto anche noi nel determinare con prepotenza l'estinzione del nostro fratello Neandertal.

Parlare di “mito”, non usuale per un Papa, significa aver superato (forse non del tutto) il creazionismo; significa presupporre, in modo più o meno consapevole, la direzionalità creativa con le sue proprietà transitive, indubbiamente valide nella logica della nostra vita concreta: ad es. se (A) la tettonica a zolle produce terremoti (B) che distruggono interi paesi (C), e se tali crolli (C) determinano delle vittime (D), se ne deduce una correlazione causale fra A e D. Ma è transitiva anche la direzionalità evolutiva di creazione? I passaggi sarebbero una decina in miliardi di anni, ma li riduciamo drasticamente: se Dio (A) con un disegno-piano dà origine all'universo (B) a partire dal big-bang, e se B [senza essere tele-guidato dall'alto] dà origine alla materia molecolare abiotica e poi a quella biotica (C), e se C produce la multicellularità degli organismi pervenendo agli uomini (D), quale tipo e grado di correlazione si instaura fra A (Dio) e D (l'origine delle varie specie umane)? Non è facile rispondere: tale correlazione evolutiva è abbastanza forte se nei vari passaggi la dipendenza, detto nel linguaggio della filosofia, è ontologica, essenziale, necessaria (secondo le leggi della natura); molto più debole se essa è accidentale, contingente, fortuita. Nel linguaggio della fisica tale correlazione decresce nei vari sistemi, tutti presenti nel divenire cosmico, passando da quelli lineari più forti (stessa causa = stesso effetto, a parità di condizioni) a quelli non-lineari più deboli (stessa causa = effetti simili), sino a quelli indeterministici più aleatori (stessa causa = effetti diversi).

 

Il male e l'onnipotenza divina

Papa Francesco ha pure “miscelato” le possibili vie di fronte al problema del male. Fazio con una sua domanda l'ha trascinato sul terreno scivoloso dell'onnipotenza divina. Francesco l'ha comunque attutita riducendola a potenza, forza amorosa, dicendo due volte: «Forte sì-onnipotente (solo) nell'amore». In “teodicea” (cioè nello sforzo di giustificare Dio di fronte ai guai e guasti del mondo) non è problematico il male morale (seppur malvagio) poiché dipende dalla libertà umana. Risulta invece ostico il male naturale (terremoti, malattie, epidemie, malformazioni genetiche...), perché sembrano incrinare il disegno di Dio che, in quanto somma intelligenza, doveva essere il massimo dell'armonia costruttiva (ad es. senza batteri patogeni e virus).

Il sottinteso classicamente suona: a) Dio è (onni)potente e, entro certi limiti, comprensibile. b) Dio è perfettamente buono. c) Si dà un'enorme quantità di male gratuito-naturale nel mondo. Visto che (c) è difficilmente negabile, i sostenitori dell'argomento del male attaccano il teismo minando almeno uno dei due attributi divini (a o b): se Dio è (onni)potente allora non è buono, perché pur potendo eliminare il male non lo fa; e se Dio è buono allora non è (onni)potente, perché pur volendo eliminare il male non riesce a farlo. Naturalmente non si chiede (banalmente) che Dio intervenga ad ogni piè sospinto nel decorso storico-umano per rimediare ai mali; si auspicherebbe invece a monte un disegno divino più armonico in grado di portare allo scenario migliore possibile, comunque senza il male naturale. Se lo chiese lo stesso Einstein: Dio aveva alternative nel creare il mondo? Si presume che tali alternative più armoniche ci potessero (forse) anche essere, ma probabilmente avrebbero limitato drasticamente la libertà del divenire nelle biosfere. Ad es. per eliminare le malattie genetiche (e le pandemie) occorreva un Dna “murato” senza possibilità di errori ma neppure di variazioni significative; in tal caso però saremmo rimasti... per sempre degli scimpanzé, o la terra sarebbe stata popolata solo dagli insetti. Senza la tettonica a placche erranti non ci sarebbero stati probabilmente i terremoti, ma nemmeno le separazioni geografiche atte a generare nuove specie in ambienti diversi.

Se cristianamente non si può rinunciare all'amore-bontà (b) di Dio, allora si aprono due vie (non necessariamente alternative): bisogna sacrificare in (a) la potenza e/o la comprensibilità divina rifugiandosi nel “mistero”. Francesco le ha cavalcate entrambe: ha ridotto la prima alla (sola) potenza-forza dell'amore, e per la seconda ha affermato che trova inspiegabile il dolore innocente dei bambini, anche se questa incapacità a rispondere lo scandalizza un po'; sintomatico che abbia proseguito affermando: «io credo in Dio..» (sic per un Papa), proprio perché la fede sembra vacillare. La tradizione ha sì parlato spesso di “mistero”, ad es. a proposito della Trinità (si tratta tuttavia di un surplus innocuo, forse addirittura di un rafforzativo della “gloria” divina). Ma parlare di “mistero” a proposito della sofferenza innocente introducendo una grave mancanza e difetto nel disegno divino, è potenzialmente corrosivo per la fede perché tale disarmonia sembra contrastare con la sua capacità, forza, intelligenza e sapienza amorosa.

In questo contesto si situa il riferimento del Papa al «grande maestro Dostoevskij», con allusione (implicita) ai Fratelli Karamazov: cioè all'attacco micidiale di Ivan Karamazov (immediatamente prima della leggenda del grande Inquisitore, sempre di Ivan) al fratello monaco Aljosa sulla sofferenza dei bambini: «Immagina di essere tu a costruire questo edificio dei destini umani con lo scopo di rendere felici gli uomini..., ma che per questo siano necessari e inevitabili i tormenti non solo delle creaturine (ho preso come esempio i soli bambini perché la cosa riuscisse più evidente)... bensì di tutte le altre lacrime di cui è imbevuta la terra... Accetteresti tu, a queste condizioni, di esserne l'architetto?» ‒ No, non accetterei – proferì piano Aljosa. Ivan contesta tale disarmonia, e quindi pure Dio con la famosa restituzione “rispettosa” del biglietto d'ingresso (nel mondo), perché troppo caro per le nostre tasche.

Mauro Pedrazzoli

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