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In principio si sono scelti obiettivi facili, come la repressione dei rave party e l’ergastolo ostativo. Poi è arrivata l’eliminazione del Reddito di Cittadinanza per il 40% dei beneficiari, favorita dal diffondersi della neolingua. I disoccupati sono diventati gli “occupabili”: e infatti non si parla più di disoccupazione. Quanto al condono – ovvero alla “rottamazione delle cartelle esattoriali” ‒ lo si è chiamato “tregua fiscale”. E nella riscrittura storica, archiviato l’antifascismo, si celebra la “pacificazione”.

D’altronde, il Ministero dell’Agricoltura è stato ribattezzato Ministero “della Sovranità Alimentare”, anche se non si spiega cosa ciò significhi in concreto. E quello dell’Istruzione assurge a Ministero “del Merito”, come se fino a ieri non si fosse promosso e bocciato. (Odora un po’ d’altri tempi, invece, il Ministero per la Natalità).

Intanto – mentre si avvia l’occupazione della Rai ‒ anziché il contrasto alla gigantesca evasione fiscale abbiamo l’innalzamento del tetto per l’uso del contante e il regalo ad autonomi e partite Iva, con tassazione piatta al 15% sino a 85mila euro. Il medico ‘gettonista’ (che costa all’azienda ospedaliera 1.200 euro al giorno) verrà tassato meno della metà del collega dipendente dall’ospedale.

L’orizzonte resta quello di una graduale fuoriuscita dal principio di progressività dell’imposizione fiscale: per non dire delle fosche nubi che si addensano sul futuro delle istituzioni repubblicane, che rischiano di essere stravolte dall’autonomia differenziata e dal presidenzialismo. Nel contempo, non solo si rifiuta l’introduzione del salario minimo, ma si provvede ad altre piccole economie, come la cancellazione del Fondo - che veniva assegnato ai Comuni - per la tutela delle morosità incolpevoli negli affitti delle abitazioni private e delle case popolari (nessuna economia, invece, sulle armi – sinora un miliardo di euro? – destinate all’Ucraina).

Riguardo al Pnrr la presidente del consiglio e i suoi ministri hanno detto e fatto assai poco nei primi sei mesi di governo: e ora ammettono che una quota consistente di quelle risorse resterà inutilizzata, sicché conviene metterci una pietra sopra. Non si sviluppa neanche un’analisi sulle ragioni del fallimento: altrimenti si dovrebbe riconoscere che la pubblica amministrazione è stata gradualmente depotenziata e occorrerebbe almeno fare qualcosa per rimediare.

Sull’altro grande tema – la questione ambientale e climatica, l’urgenza della transizione ecologica – viaggiamo col piede sul freno: si capisce che non è nelle corde di Meloni e Salvini occuparsi del domani e del dopodomani, o delle generazioni venture. Ad esempio, è ben difficile che nei loro programmi trovi spazio la proposta ‘zero consumo di suolo’, finalmente fatta propria dalla nuova segreteria del Pd.

A questo proposito: capita di incontrare ex parlamentari Pd che definiscono “un disastro” l’elezione di Schlein. Non c’è da stupirsi: che tra iscritti e dirigenti prevalesse Bonaccini lo dicono i numeri. Stupisce semmai che non ci si interroghi sulle ragioni dell’esito delle primarie: magari qualcuno si è accontentato di attribuirlo a un colpo di coda del ‘populismo’, categoria così generica – ormai - da inglobare tutto ciò che sfugge alla miopia della classe politica.

Comunque sia, è evidente che Schlein si trova di fronte a una partita difficile. E non tanto per le resistenze interne, o per l’impossibilità di invertire in tempi brevi la rotta su materie assai impegnative. La difficoltà principale – di cui si è detta consapevole – è quella di sottrarsi all’agenda politica della destra e imporne una radicalmente diversa.

In altri termini, se ci si limitasse a replicare all’iniziativa del governo e alle più o meno infelici dichiarazioni dei suoi esponenti (con doverosi e ostinati richiami ai valori dell’antifascismo e della Costituzione) si farebbe cosa buona e giusta ma – nell’Italia di oggi - non si guadagnerebbe un voto: si convincerebbero i già convinti.

La sinistra – qualsiasi sinistra – ha un futuro solo se riprende a parlare tutti i giorni di lavoro, di istruzione e di sanità: in modo serio, continuo, documentato e propositivo, ma in termini chiari e comprensibili, e senza demordere. Come dall’altra parte si è parlato in modo ossessivo (e purtroppo semplicistico) di immigrazione, sino a convincerci che essa – e non quegli altri problemi – costituisca il dramma numero uno del paese e la causa fondamentale della sua crisi.

Un discorso a parte meriterebbe poi, anche dentro il Pd, la necessità di un’ulteriore riflessione sulla guerra in Ucraina e di un lavoro concreto per riaprire prospettive di pace.


 
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