|
Mappa | 33 utenti on line |
![]()
|
storia
Saranno esaminate alcune testimonianze tratte da: 1) Quando la Cina si sveglierà, Guida 1974, di Alain Peyrefitte, per 6 anni ministro di De Gaulle. 2) Una serie di articoli di Michele Tito, usciti su «La Stampa» nell’estate del 1971, sotto il titolo Breve incontro con la Cina maoista. Si tratta perciò di fonti non filocinesi. L’Impero del Bene La Cina, una volta, sperava di diventare ricca. La Cina di Mao, invece, proclama la sua fierezza di essere sottosviluppata. Si valorizza nello spirito dei cinesi ciò che potrebbe attenuare questa fierezza: devono forgiarsi un animo di poveri, di poveri che si augurano di rimanere tali. «Tu sarai contadino e operaio»: questo è l’ideale, questa è la “carriera” proposta a ogni cinese. Fare la rivoluzione significa abolire ciò che tiene uniti al modo di pensare e di vivere ereditati dal passato. In tal modo l’individuo sarà rigenerato, intellettualmente e moralmente; si sottometterà alla collettività, cancellerà il suo interesse personale davanti all’esclusivo interesse della rivoluzione. A ogni cittadino viene inculcato un mistico disinteresse. Il denaro non viene ricercato; sembra che i cinesi ne abbiano paura, che non vogliano bruciarsi le mani intascando una moneta in più. In una società così egualitaria e trasparente, ogni fortuna è sospetta e individuabile. Persino il ladruncolo correrebbe rischi. Il cinese deve essere simile alle onde del mare, in ogni momento uno deve poter prendere il posto dell’altro, non deve essere possibile alcuna distinzione. Al principio Io insegno, tu coltivi i campi, ognuno si occupa delle sue cose, si sostituisce il principio inverso: Il contadino insegna, l’insegnante coltiva i campi, ciascuno si prepara a prendere il posto dell’altro. Ogni distinzione va superata: soldati-operai, dirigenti-masse rivoluzionarie, giovani-vecchi. Non si tratta semplicemente di “avvicinare” le varie categorie: occorre fare in modo che esista solo una razza umana, che sia allo stesso tempo manovale e intellettuale. Il miscuglio dei ruoli rinnova le strutture e immette sangue fresco. Nessuna coercizione. Chi non si adegua viene svergognato dalle masse. La pressione sociale sostituisce l’obbligo. Un miliardo di santi? In ogni comune agricola cittadina si tengono quotidianamente assemblee in cui ogni famiglia e ogni individuo discute delle cose altrui e accetta che si discuta delle cose proprie: si è lavorato poco, è stata superata una difficoltà, i figli sono indisciplinati, la maestra ha avuto poca pazienza, un anziano non viene assistito dal figlio, una ragazza esce di notte, un bambino preferisce il gioco allo studio, un ragazzo ama una ragazza e fa la corte a un’altra. Si denuncia la mancanza di coscienza di classe, la scarsa solidarietà, l’indifferenza di fronte alla necessità di essere fortemente uniti nel lavoro e negli affetti per resistere alle tentazioni borghesi. In ogni caso la comunità si sente responsabile di tutto. Non esistono colpe individuali. Ad esempio, un uomo aveva ucciso la moglie per gelosia, caso rarissimo nella Cina maoista. La Comune fece l’autocritica: come mai non si era accorta del delitto che stava maturando? Nel quartiere dove l’assassino abitava furono issate bandiere nere, in segno di lutto umiliante. Tutti fecero autocritica. L’assassino fu giudicato colpevole soprattutto di avere nascosto se stesso alla classe lavoratrice. In un granaio, i membri di una comune stavano pulendo delle noccioline. Ebbero l’idea di dividersi in piccoli gruppi, ciascuno dei quali avrebbe formato un mucchio con le nocciole già sbucciate, pensando così di creare tra loro l’emulazione. Poi furono assaliti dal dubbio e corsero a studiare la dottrina del presidente Mao. Tornarono nel granaio, videro i mucchietti: «Sono mucchi di egoismo!». Dopo avere fatto un solo grande mucchio, confezionarono una bandiera rossa sulla quale spiccavano le seguenti parole: «lotta contro te stesso, schernisci il revisionismo!». Viva Marx, viva Lenin, viva Maotsetung! Con questo grido di battaglia si concludeva in varie manifestazioni il canto di Bandiera rossa e dell’Internazionale. Anche chi scrive si era talvolta unito ai manifestanti. In quegli anni (soprattutto dal 1968 al 1971) il messaggio che veniva in Occidente dalla Cina di Mao era quanto mai suggestivo, consolante, esaltante: «L’umanità è buona, è generosa, è santa, basta che cambi la società, un altro uomo è possibile, un altro mondo è possibile!». Gli aderenti a gruppi “extraparlamentari” (Manifesto, Lotta Continua, Avanguardia Operaia) erano, solo a Torino, parecchie decine di migliaia e tra i “sacri testi” spiccava il maotsetungpensiero. I più convinti seguaci di Mao (tra cui parecchi intellettuali) avevano aderito all’Unione dei marxisti leninisti, anche se pare non avessero l’avallo della Cina. La lettura del programma di tale movimento ora ci può muovere ad un riso un po’ amaro: «Un grande cambiamento è avvenuto nel nostro paese: il giusto è ritornato a vincere sull’ingiusto, la verità ha ripreso a smascherare ciò che è falso. Uniamo il popolo sotto la giusta direzione, marciamo per piantare le bandiere rosse, simbolo della società in cui il popolo vive felice. Chi ha preso in mano i fazzoletti rossi e il libretto rosso del presidente Mao comincia a sottrarsi al dominio oppressivo del modo di vivere proposto dalla società borghese, contro la società dei venditori degli oggetti inutili. Le bandiere rosse sono prima di tutto le porte di casa aperte continuamente, per tutta la giornata, in uno spirito nuovo di incontro dei vicini di casa: incontro politico, che riflette sui problemi di lotta. Nel caseggiato dove splende la bandiera rossa basteranno una sola lavatrice e altri mezzi per le faccende domestiche, messi a disposizione di tutti in un locale comune. In famiglia si ricrea un ambiente di unità di classe. La moglie esce dal chiuso della casa per unirsi alle altre compagne e organizzare la sua rabbia. I figli si riuniscono in scuole fatte da loro, imparano a conoscere il mondo da loro. Il popolo si batte così, si batte per modificare il rapporto tra gli uomini, si batte per creare quell’amore che è la carica fondamentale che crea l’odio di classe». Il Bene imposto diventa Male Tutto è crollato come un castello di carte poco dopo la morte di Mao. Dopo l’arresto della Banda dei quattro (tra cui la moglie di Mao) non risulta ci siano state resistenze al nuovo corso. Invece, negli anni della Rivoluzione Culturale, la furia delle guardie rosse ha lasciato dietro di sé una scia di sangue, di miseria, di vuoto culturale. Milioni di morti, nessuno sa dire quanti. L’economia cinese bloccata per anni. Fabbriche ferme, scuole e università chiuse. Opere d’arte distrutte, milioni di mobili pregiati frantumati, persino gli scacchi erano gettati nei rifiuti. Persone, strutture, beni culturali: tutto ciò che poteva essere visto come simbolo del capitalismo o del feudalesimo veniva messo all’Indice. Ora la Cina è il baluardo del capitalismo più disumano. Ha preso il peggio del capitalismo e della tradizione, mantenendo del comunismo solo l’apparato dittatoriale. In Europa l’unico satellite della Cina era l’Albania. Non risulta che gli albanesi, educati dal pensiero di Mao, siano ora solerti disprezzatori del denaro. In Italia si ha paura di ricordare e tutti fanno buoni affari con la Cina. Alcuni dei maoisti di una volta militano nella Destra. Eppure, se in Italia c’era entusiasmo per il messaggio non solo politico ma anche etico che veniva dalla Cina, anche in Cina la Rivoluzione maoista doveva essere stata portata avanti da un notevole consenso. Non dobbiamo credere a tutte le testimonianze, ma neppure respingerle. È stato un gigantesco tentativo di imporre la realizzazione dell’Utopia. Il tutto si è concluso con un clamoroso fallimento, con un risultato opposto a quello indicato dalle profezie dei seguaci di Mao, in una sorta di tragica nemesi. Ma non si studia la Storia dimenticandola. La dura lezione dei fatti ci è ancora indispensabile. Dario Oitana
|
![]()
|
copyright © 2005 il foglio - ideazione e realizzazione delfino maria rosso - powered by fullxml |