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bibbia
464 - Sul Calvario la madre di Gesù non c'era |
Sette parole in croce
Emanuele Borsotti (monaco di Bose), Gianfranco Ravasi e pure Enzo Bianchi (in tuttolibri sulla «Stampa» del 30 marzo 2019 che recensisce il libro di Ravasi Le sette parole di Gesù in croce, Queriniana) stanno cavalcando un po' troppo la narratologia oggi di moda, ad es. sulle cosiddette sette parole (frasi) che Gesù avrebbe pronunciato sulla croce. |
Oltre alle due lucane rivolte al Padre [(1) «Padre perdonali perché non sanno quello che fanno» e (2) «Padre nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,34.46)], abbiamo (3) il «Dio mio perché mi hai abbandonato?» in Mc 15,34 e Mt 27,46. Quest'ultimo grido fungerebbe da chiave di volta per introdurre le altre quattro espressioni [così Giovanni Santambrogio sul domenicale del Sole 24 ore del 24 marzo a p. 28, che recensisce il libro di Borsotti Nudità della parola, Ediz. Qiqajon]: (4) la promessa del paradiso al buon ladrone (Lc 23,43), e le scene seguenti tutte nel quarto vangelo [19,25-30], ossia (5) l'affidamento biunivoco fra la madre e il discepolo che Gesù amava (che non è l'apostolo Giovanni), (6) l'arsura della sete e (7) il compimento. Si dà per scontato che siano parole del Gesù storico sulla croce [il titolo della recensione di Enzo Bianchi suona: «E anche fra i tormenti Gesù ci ha parlato»], quasi un reportage pescando dai quattro evangelisti, mentre una sola frase è sicura, due incerte e quattro da escludere.
Per quanto concerne la prima («Padre, perdonali...»), basta prendere in mano l'edizione critica del Nestle-Aland per rendersi conto che non appartiene sicuramente al testo originario, essendo un'aggiunta tardiva della terza o quarta generazione cristiana (poiché manca nei manoscritti più autorevoli e antichi, oltre a quelli a noi più vicini: il Vercellese e il Veronese del IV secolo). È certamente gesuana, per il criterio d'imbarazzo, la terza:...Gridò a gran voce: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?»; non si sarebbero mai sognati di immaginarsi in bocca a Gesù un tale urlo disperato: lo strazio non è solo fisico ma spirituale-morale. Infatti Luca introduce allo stesso modo con Gridò a gran voce, ma sostituisce l'inquietante abbandono col più rasserenante «Padre nelle tue mani consegno [o consegnerò] il mio spirito» (2), in palese contraddizione col grido costernato di Mc e Mt. Non potendo lenire l'atrocità fisica, hanno cercato di ridurre l'angoscia psichico-mentale, ad es. attraverso il compassionevole conforto dell'angelo nel Getsemani (Lc 22,43s), che non appartiene certamente al testo originale come la tremenda scena seguente del sudar sangue (Nestle-Aland: è la stessa situazione del «Padre, perdonali...», e per di più in quattro manoscritti i due versetti sono inseriti dopo Mt 26,39; i copisti non sapevano bene dove piazzarli!).
Una bellissima sceneggiatura
Per quanto riguarda il buon ladrone (4), tale scenografia è una creazione letteraria lucana con la sua tipica escatologia diretta, sùbito dopo la morte, o in Paradiso (buon ladrone, ma anche il povero Lazzaro nel seno di Abramo) oppure nell'Ade (ricco Epulone in Lc 16,22-26). Abbiamo qui, in Luca e non in Gesù, l'origine dell'immaginario collettivo del Paradiso e dell'Inferno.
Anche quella della madre sotto la croce (5) è una creazione scenografica del quarto vangelo, perché le donne non potevano stare vicino ai condannati ma solo osservare da lontano, come riferisce correttamente Marco 15,40s citando la Maddalena, l'altra Maria e Salome. Se fra le varie Marie ci fosse stata anche sua madre, non si sarebbe mai sognato di ometterla; essa è vissuta avulsa dal ministero pubblico e dalla passione del figlio, e non compare neppure nella deposizione e nei racconti pasquali [sono le suddette donne che osservano la deposizione e poi vanno per imbalsamare Gesù (Mc 15,47-16,1)]. Lo so che è inaccettabile per la pietà popolare [Stabat Mater dolorosa..., le varie Pietà degli artisti], ma Gesù ha avuto rapporti difficili con la sua famiglia: in Mc 3,21 i suoi (congiunti) cercano di andarlo a prendere perché «uscito fuori di sé», e in Gv 7,2-5 i suoi fratelli quasi gli impongono di togliersi dai piedi recandosi a Gerusalemme, ove Gesù ha trovato una famiglia adottiva (quella aristocratica del discepolo che Gesù amava).
Per quanto concerne le ultime due frasette, può invece aver detto «Ho sete», data la consuetudine dei soldati di anestetizzare prima con del vino-mirra (Mc 15,23) e poi di alleviare l'arsura e la febbre con un'altra bevanda (a base di aceto-fiele o vino aspro e acidulo). Può anche aver detto «È compiuto», ma senza il “tutto” (premesso). Su circa un migliaio di manoscritti il “tutto” è presente solo in quattro di essi, tutte traduzioni: Taziano, la vetus latina di San Gallo, la siropalestinese e l'armena. Il che potrebbe semplicemente significare: «È finita», cioè la tortura del supplizio. Quindi al massimo Gesù ha detto... «tre parole in croce».
Il tutto è comunque funzionale a presentare un Gesù che non sia succube disperato in balia degli eventi [sarebbe devastante per la fede tradizionale], bensì in modo più rassicurante come colui che domina gli eventi della Passione in completa sintonia col Padre, in un adempimento mitico e forzato delle Scritture oggi improponibile. Lenisce l'angoscia anche il sapere di risorgere sùbito (annunci della passione-resurrezione, Vaticinia ex eventu, cioè elaborati alla luce della Pasqua e retrodatati), mitigando al minimo il trapasso quasi come se non fosse un vero morire. Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni prende spunto da una brevissima novella del Verga ed è ambientata in Sicilia il giorno di Pasqua. Prima il coro interno (alla chiesa) esegue il Regina coeli pasquale che, col suo Resurrexit sicut dixit, testimonia la concezione tradizionale della consapevolezza gesuana circa la sua rapida resurrezione. Subito dopo il coro esterno della gente canta un inno indubbiamente desunto dalla cultura popolare canora del meridione (l'opera è stata composta a Cerignola in Puglia): «Inneggiamo, il Signor non è morto, Ei fulgente ha dischiuso l'avel [tomba]». Appunto: come se non fosse mai veramente morto.
Conosciamo la Bibbia meglio dei Padri della chiesa
Ciò non significa rifiutare l'esegesi mistica e le riletture spirituali, bensì contenerle e controllarle all'interno dei paletti del metodo storico-critico, il quale fissa i due argini che permettono al fiume di avanzare. Rileggere l'arsura come «Ho sete di redimere gli uomini» (così sembra in Ravasi) è quasi... da ammonizione.
Se l'hanno fatto le prime generazioni cristiane prendendosi tante libertà nella memoria Passionis (e non solo), possiamo “rileggere” pure noi dell'ultima generazione col nostro sapere ermeneutico-scientifico aumentato a dismisura; quindi in forma più accurata e sobria, anche perché conosciamo l'AT meglio degli evangelisti (e pure di Gesù stesso, come dice l'amico e redattore Dario Oitana). Inoltre, aggiungo io, conosciamo il NT in modo ineguagliabile rispetto ad Agostino e agli altri Padri della chiesa, e nella fattispecie le parole che Gesù (non) avrebbe detto sulla croce meglio di Bonaventura da Bagnoregio e Bernardino da Siena (citati da G. Santambrogio). È analogo alla differenza tra la nostra conoscenza del moto (orbitale e interplanetario) rispetto ad Aristotele e alla spiegazione affannosa che Tommaso dà del movimento ascendente di Gesù (nell'Ascensione).
Ciò significa (qui è la gravità, non nella cinematica obsoleta) che l'Aquinate l'ha inteso in senso reale e non scenografico-filmico, alla guisa delle nostre sonde con cui abbiamo completato l'esplorazione del sistema solare raggiungendo una conoscenza neppur comparabile con quella dello Stagirita e di Tolomeo. Certo già gli astronomi di allora sapevano che non ci può essere l'eclisse di Sole per Pasqua (primo plenilunio di primavera; semmai solo di Luna), ma non… gli evangelisti che «s'immaginano» il buio su tutta la terra a causa del Sole eclissato.
Nel 2019 è giunta l'ora di spiegare gradualmente al popolo di Dio la storia della redazione dei vangeli, che i ministri ordinati conoscono [ma l'hanno dimenticata o forse non ci credono (più)] perché da seminaristi è stato loro ben spiegato per più semestri dai professori che nella fattispecie non si tratta di una realtà ri-costruita sulla base delle testimonianze dei presenti-astanti, bensì di una realtà costruita dai vangeli medesimi alla luce dell'esperienza post-pasquale, che si prolungò dalle originarie comunità cristiane per almeno tre generazioni di credenti.
Mauro Pedrazzoli
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