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 411 - LA PROBABILITÁ DEI MONDI / 7: L’ATTACCO DI PIEVANI A MANCUSO

 

Evoluzione creativa, selezione cieca

 

Gli autori del n. 1 di Micromega 2014 [in particolare Telmo Pievani con l’articolo d’esordio Con buona pace dei teologi («eretici» e non), 3-29] attaccano in maniera acida la metafisica del finalismo (cosa già fatta esattamente due anni fa col n. 1 del 2012), con particolare riferimento al «ricamatore di ideologie» Vito Mancuso, coi suoi  «sfondoni» logici di stampo creazionista: da Pievani sono proprio definiti tali (cioè sfondoni), in particolare quelli contenuti in Il Principio Passione, Garzanti 2013, a p. 119s, 133-139, 147s, 150-159.

 

Ma quelli di Micromega non si accorgono di fare, a loro volta, la metafisica del caso: è un loro «sfondone» che l’evoluzione sia sempre cieca, e le mutazioni sempre casuali, senza aver approfondito la questione delle probabilità. Caso e probabilità sono concetti, se pur usatissimi dal senso comune, di difficilissima esplicazione (infatti sono stati rimossi da tutta la storia della scienza e della filosofia sino agli inizi del ‘900); per questo, nella scia di Domenico Costantini, abbiamo iniziato a prenderli seriamente in considerazione già nel n. 399 (febbraio 2013: Dio ha sperato e pregato), per rispondere alla sfida sarcastica di Pievani. Per contrastarli è tuttavia necessario scendere sul (loro) terreno sperimentale, per sfatare i due miti della casualità-cecità e quello della selezione naturale: caso, necessità e selezione ci sono, ma vanno rigorosamente «delimitati» con chiarezza scientifica e razionale. Cfr, del sottoscritto, L’alba dell’uomo in rapporto agli animali, nella rivista «Filosofia e Teologia» 1 (2011), pp. 62-69, La creazione come dono del Logos, sempre in «Filosofia e Teologia» 3 (2006), pp. 553-570, e la seconda parte di Dio e la Terra, pp. 31-40, solo on-line in www.ilfoglio.info.

 

Con buona pace dei biologi

1) È illuminante a questo proposito quanto scrive Michele Catanzaro, L’imprevista prevedibilità dell’evoluzione, in «Le scienze» Aprile 2013, box a p. 27: in un esperimento, a parità di condizioni ambientali, si è avuta la stessa storia evolutiva. I ricercatori della British Columbia hanno analizzato popolazioni di batteri di Escherichia coli [quelli che vivono nella parte inferiore del nostro intestino e sono necessari per la digestione corretta del cibo], coltivate in tre provette per sei mesi, ossia per 1000 generazioni; in tutti e tre i casi si partiva con popolazioni identiche, a cui venivano imposte le stesse condizioni ambientali, in particolare l’alimentazione con una soluzione zuccherata ed una acetosa. Alla fine si è sviluppata la medesima situazione, con geni simili che erano mutati allo stesso modo e circa allo stesso tempo: come è possibile se vale il dogma delle loro mutazioni casuali? Significa che esse non sono casuali! Almeno in questa situazione sperimentale, l’evoluzione ha dato la stessa soluzione allo stesso problema: essa non è per nulla cieca, anzi mirata con riconoscimenti-rappresentazioni, e soluzioni ad hoc.

2) Una conferma ulteriore è venuta anche dai vermi nematodi (cfr G. Sabato in «Le Scienze» dell’Ottobre 2011, p. 30); di fronte ad una stessa sfida ambientale, diversi ceppi del verme Caenorhabditis elegans in occasioni differenti hanno infatti reagito in modo concorde, con le medesime mutazioni riguardanti sempre gli stessi geni. In colture di laboratorio ricche di nutrienti, due ceppi, coltivati uno da 4 anni e l’altro addirittura da 50 (!!), hanno acquisito indipendentemente il nuovo fenotipo mediante lo stesso set di mutazioni.

3) Alcuni moscerini (le eterne drosofile che da più di un secolo sono le più usate per gli esperimenti) hanno sviluppato in laboratorio zampe fuori dalle regole, complicate colorazioni delle ali e forme diverse di antenne; hanno potuto godere di questa maggiore complessità poiché nei laboratori vivono una vita da «viziati» e sono nutriti con regolarità in un clima temperato e stabile (con una selezione naturale quindi debolissima), mentre i loro parenti in natura devono confrontarsi con fame, predatori, freddo e caldo. In natura non si possono permettere le suddette complessità neutrali, appunto perché non portano per il momento nessun vantaggio, anzi hanno un costo energetico e metabolico di cui nella pressione selettiva non possono concedersi il lusso (sono di fatto svantaggiose nel breve-medio termine). Ciò significa che in questi casi la selezione naturale lavora contro la complessità (e così abbiamo inferto un brutto colpo al mito della selezione naturale). L'hanno battezzata «legge evolutiva in assenza di forze» (zero-force evolutionary law; così Carl Zimmer, Le sorprendenti origini della complessità della vita, in “Le Scienze” Ottobre 2013, 50-55, p. 53).

Un processo analogo (cioè il fatto di godere di maggiore complessità con o senza la selezione naturale) è stato chiamato «evoluzione neutrale costruttiva»: già negli anni novanta alcuni biologi avevano ipotizzato che le mutazioni neutrali potrebbero generare strutture complesse senza passare dalle fasi intermedie in cui sono selezionate per i vantaggi adattivi forniti all'organismo (ivi, p. 54). Viene sfidata l’idea-mito che tutta la complessità debba essere sempre adattiva. Abbiamo avuto strati aggiuntivi di complessità che si sono evoluti per conto loro, neutralmente, né nocivi né vantaggiosi almeno nei primi tempi, che poi sono risultati sorprendentemente utili.

 

Vita come incessante esplorazione

Le macromutazioni verso la complessità sono quindi da ritenersi indirizzate, correlate e guidate da un riconoscimento che presuppone già un minimo di «rappresentazione». Abbiamo così una natura con una sua «intelligenza» creativa che non è per nulla una roccia, bensì partecipa della res cogitans, dell’io. Il che è contro Cartesio ed il senso comune [che pervade purtroppo la stragrande maggioranza dei bio-chimici e dei biologi come Pievani e Boncinelli], ma nella scia dell'idealismo tedesco e della teoria della mente allargata (TMA) di Manzotti-Tagliasco (Coscienza e realtà, Il Mulino 2001). Si è aperta così la strada ad una natura egoica, «intelligente», mirata, in grado di riconoscere, capace di risolvere problemi come nell'exaptation, in cui un apparato, originatosi per una funzione, viene in seguito cooptato, «usurpato» e colonizzato per un’altra: ad es. le penne e piume (semi-ali) non sono nate all’inizio per volare, ma avevano una funzione termoregolatrice e forse anche di attrazione sessuale.  

Sulla base degli esperimenti presentati sopra, si può quasi dire che tutta l’evoluzione è in fondo una continua exaptation, poiché è strutturale la capacità della natura di esplorare «tutto» il presente possibile, il possibile adiacente, il possibile a portata di mano con un grado consistente di probabilità. Era nel «possibile adiacente» (concetto chiave del grande biologo Stuart Kauffman) di allora, era a portata di mano di quelle piume-penne trovare una configurazione alare, dopodiché rientrava in quel presente possibile l’inizio «acrobatico» del volo. La natura, appena si apre una strada, una via, ci prova ad esplorarla in toto…; così si spiega anche quel che appare quasi uno spreco, come ad es. i milioni di specie di insetti, artropodi, vermi, ecc.

Non c’è quindi stato alcun finalismo di tipo classico: le miriadi delle specie (sia viventi che estinte) non sono il frutto di uno stampo divino pre-ordinato e imposto; potevamo provenire dagli scoiattoli, o, che ne so, dagli insetti sociali. In quest’ultimo caso ci sarebbe stato presumibilmente minor male morale, ma anche minore libertà. O l’uomo poteva pure non fare la sua comparsa, almeno qui sulla Terra; ma la probabilità che la vita intelligente (non su migliaia di pianeti, ma, diciamo, su almeno un paio, non importa dove) facesse la sua comparsa non era inferiore, facendo una stima molto prudente, all’80%.

 

Un Dio fotografo?

Sotto questo profilo la contingenza riguarderebbe solo le modalità concrete nelle sue possibili varianti (in un tempo piuttosto che in un altro, in un posto piuttosto che in un altro, in un modo piuttosto che in un altro: potevamo provenire ad es. dai delfini o dai pinguini…), ma non la sostanza di una progressiva (anche se a latere) cerebralizzazione, che è stata massimamente raggiunta nella nostra specie con tutte le sue meravigliose opportunità.

Ciò che non è frutto del caso [nell’accezione comune di un lancio di dadi], è appunto la tendenza alla complessità in generale (non necessariamente sempre verso l’umanità, anzi la stragrande maggioranza delle esplorazioni ha percorso altre strade), ed in particolare quella verso la cerebralizzazione, almeno della parte animale del mondo, la quale però ha una necessità vitale dell’altra parte del mondo (vegetale) che ha compiuto una scelta diversa. Sì, sono vie scelte dalla natura: una cosa che Pievani, Boncinelli e soci, inchiodati al loro pregiudizio cartesiano che la natura sia solo res extensa, non vedono. Certo sono state solo poche quelle vie che andavano verso un cervello ultra complesso di tipo umano, in pratica solo la linea dei mammiferi (compresi quelli con le pinne come balene e delfini, e quelli con ali come i pipistrelli).

Avremmo così una direzionalità in senso lato, in cui tutto si risolve qui; la chiamiamo ipotesi A: in essa Dio si sarebbe affidato interamente alle probabilità dipendenti, comunque una cosa molto seria ben diversa dalle probabilità indipendenti del lotto, dei dadi e della roulette, che sono caratteristiche delle macchine costruite dall’uomo ma rarissime in natura. Non è quindi pertinente l’obiezione, attribuita ad Einstein, che «Dio non gioca a dadi», anche perché abbiamo una direzionalità «intelligente» (logos) e innovativa nella e da parte della natura: in prospettiva credente interpretabile come dono da parte del Logos di una creatività dinamica. L’evoluzione non è per niente cieca. La vita è creativa, mentre la selezione naturale è adattiva: quest'ultima fa sopravvivere cioè il più adatto ma non introduce di per sé alcuna novità, anzi a volte la selezione naturale, come già detto sopra, lavora contro la complessità. È semmai la selezione che è cieca; chi vede solo selezione, vede solo cecità e necessità agghiacciante, confondendola con l’evoluzione esploratrice: è la selezione che è aleatoria, non l’evoluzione creativa e «intelligente» che fa praticamente il massimo di quello che può in quel frangente…

Nei prossimi articoli valuteremo anche l’ipotesi B, ossia se ci sia stata un’incidenza di Dio, diciamo in 2/3 momenti cruciali dell’evoluzione: nei primi 300.000 anni dell’universo, all’origine del codice genetico, e nella formazione del cervello dei mammiferi; sempre di tipo fondamentalmente spirituale. Secondo l’interpretazione di Copenaghen della meccanica dei quanti (del tutto contro-intuitiva), riveste infatti grande importanza l’osservazione-misurazione per far acquisire al sistema proprietà definite. Sarebbe quindi tecnicamente bastato, quale operatore auto-aggiunto, un Dio osservatore, “fotografo”…; anche se le cose si sono evolute in miliardi di anni, teologicamente è lo sguardo benedicente di Dio che porta ad un'esistenza autentica le cose da Lui riconosciute e amate.   

Mauro Pedrazzoli

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