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 484 - SCIENZA E FEDE

 

Il miracolo di Papa Luciani e il Nobel della fisica

Tutti i quotidiani di giovedì 14 ottobre 2021 hanno dato notevole risalto al primo miracolo di Papa Luciani, e quindi alla sua prossima beatificazione.

Ad es. Domenico Agasso sulla «Stampa» di Torino a p. 12, ‒ dopo aver riassunto la storia della bimba argentina affetta da grave encefalopatia infiammatoria acuta, stato di male epilettico refrattario maligno, shock settico..., che nel mese di maggio del 2011 è improvvisamente guarita per intercessione di Albino Luciani ‒ così spiega l'intercedere citando il postulatore della causa: «ci si aggrappò spiritualmente alla veste bianca del Papa veneto morto 33 anni prima, per domandargli di “convincere” Dio a compiere il prodigio». Ossia il grande Vecchio è un po' burbero e smemorato, il cui amore deve essere sollecitato e risvegliato dai membri del Paradiso in qualche occasione eccezionale.

 

Gioia e sconforto di «Avvenire»

Ma la parte del leone l'ha fatta il quotidiano «Avvenire», osannante con le intere pagine 4 e 5 (sempre del 14 ottobre) entrambe dedicate al miracolo e più in generale alla figura lodatissima di Papa Luciani, la cui beatificazione era attesa con gioia e... impazienza. Stefania Falasca a p. 4 spiega con logica ferrea: «Nel proclamare un santo (che non è come assegnare un titolo onorifico) ci si può sbagliare e ingannare sulla sua santità in vita; per questo l'accertamento di miracoli è centrale in una canonizzazione». Segue un perfetto sillogismo (in barbara): «i miracoli li può fare solo Dio; Dio non può ingannare; quindi il miracolo è una conferma sicura della santità della persona invocata»! Abbiamo perciò un «segno “certissimo” della rivelazione e una sanzione divina a un giudizio umano». Infatti è fondamentale il legame causale fra la richiesta al beato e la guarigione «rapida, completa, duratura e inspiegabile sulla base delle attuali cognizioni medico-scientifiche».

Si sorvola tuttavia sul fatto increscioso della rarità ingiusta, una vera contro-testimonianza (scandalo, nel senso evangelico di inciampo alla fede): cosa dovrebbero pensare i familiari di tutti quei bambini malati (della stessa patologia della bimba argentina, o simili, oppure diverse ma gravi) per il fatto che ad libitum ne abbia guarita una sola, ma non i loro piccoli (molti genitori avranno sicuramente pregato)? Oppure il sottoscritto: perché non ha “risolto” l'emorragia cerebrale di mia moglie Daniela? Ma forse... ho sbagliato io, poiché nelle mie preghiere mi sono rivolto direttamente a Dio [come nella liturgia, rivolta sempre e solo al Padre] e non a qualche beato canonizzabile che «solleciti il Vecchio distratto». O forse perché non ho pregato per una notte intera, come nel fatto avvenuto in Argentina e narrato con dovizia di particolari dal Papa durante l'Angelus di domenica 24 ottobre, commentando l'episodio evangelico dell'insistente cieco Bartimeo poi guarito [oltre alla beatificazione di Rimini: vedi più avanti], in cui con un'intensa orazione protrattasi per tutta la notte è stata ottenuta una guarigione insperata (...un affettuoso cartellino giallo di ammonizione per Francesco).

Perché non proporre al prossimo Sinodo universale dei vescovi (che si chiuderà nel 2023; sperando, come si augurava Dario Oitana, che si tratti di fatto di un Vaticano III sotto mentite spoglie) di chiudere la “fabbrica” dei santi, invitando la gente a pregare Dio e non i Papi (e men che meno il “purtroppo” già beato Pio IX)?

 

Le esternazioni del premio Nobel

Il nostro paese cattolico ha trangugiato amaro che il Nobel per la fisica Parisi abbia proclamato pubblicamente (alla domanda «se crede in Dio») il proprio ateismo «Per me Dio non è neppure un'ipotesi», attribuita a Laplace. Una frase che ha generato sconforto per Marco Tarquinio nella rubrica “Il direttore risponde” a p. 2 di «Avvenire» del 10 ottobre: Dio neanche un'ipotesi? Che sconforto! Grazie a Dio si sono risollevati dallo sconforto un paio di giorni dopo con la notizia del miracolo di Giovanni Paolo I. È stata data infatti a Parisi una tiratina d'orecchi: «Come può infatti una persona colta, inserita profondamente nella cultura occidentale, pensare così bruscamente di eludere la questione di Dio?» (a p. 3 del 13 ottobre nell'articolo di Giuseppe Lorizio Ma Dio non è un'ipotesi; è amore nella storia).

Ciò ha “costretto” il fisico a una parziale ritrattazione [patetica perché la domanda verteva personalmente sulla sua fede o meno («Lei crede in Dio?») e non sull'epistemologia scientifica]. In una lettera al direttore Tarquinio (di «Avvenire») egli si è corretto: «Volevo dire che l'elusione del ricorso a Dio concerne l'ambito della fisica e delle scienze empiriche in generale, che se adottassero tale ricorso dovrebbero coerentemente bloccarsi nella loro ricerca» (riportata sempre a p. 3 del 13 ottobre). Una marcia indietro (quella del Nobel italiano) con un'argomentazione scontata e banale: si dà però il caso che questa ovvietà non valga per le canonizzazioni dei Santi, poiché proprio in ambito medico-scientifico la causa principale (scatenante) della guarigione straordinaria viene assegnata a Dio o al beato di turno. Pure Dio “sorriderebbe” (cfr. in questo numero l'articolo di Maria Nisii sulle storie mancine di A. Bodrato) se in futuro qualche “prodigio” fosse invece spiegato proprio sulla base dei lavori di Giorgio Parisi sui sistemi complessi e “caotici” [la motivazione del Nobel, su cui i giornalisti disquisiscono pensando che si tratti solo della meteorologia o del clima]: non sarebbero più miracoli?

Sempre nella suddetta rubrica «Il direttore risponde» (del 10 ottobre), Tarquinio suggerisce addirittura che sarebbe meglio vivere anche pubblicamente (!?) etsi Deus daretur (come se Dio ci fosse, o si desse), capovolgendo così completamente l'adagio di Bonhöffer di vivere etsi Deus non daretur («come se Dio non ci fosse»). Lo si potrebbe tuttavia rendere in maniera più secca e pignola perché etsi in latino significa «anche se, quand'anche» [«come se» si dice velut(i) si]: «Dobbiamo agire responsabilmente e secondo giustizia..., anche se Dio non esistesse»; come nella formulazione originaria nel XVII secolo di Ugo Grozio, secondo cui il diritto si regge anche se Dio non ci fosse. In ogni caso le questioni socio-politiche, scientifiche e soprattutto giuridiche (vedi le possibili leggi sull'eutanasia e sui legami-matrimoni omosessuali ecc.), comunque nello spazio e nella sfera pubblica, vanno affrontate e gestite a prescindere dall'esistenza o meno di Dio, e soprattutto a prescindere dalla Rivelazione (biblica; come quella di condanna dell'omosessualità). Per dirla sempre col teologo tedesco che, se fosse sopravvissuto al lager di Flossenbürg, ci sarebbe stato di grande aiuto anche nei decenni seguenti: «Vor und mit Gott leben wir ohne Gott» («Con e al cospetto di Dio viviamo senza Dio»).

 

Il Dio tappabuchi

Purtroppo non solo la Rivelazione ma anche la santità (quale conferma celeste) è stata in questi giorni utilizzata in funzione anti-eutanasia, come scrive sempre su «Avvenire» di domenica 24 ottobre Luca Russo a p. 3: egli contrappone la raccolta delle 900mila firme a favore della proposta di legge sull'eutanasia [che sarebbe approdata in Parlamento il giorno seguente, lunedì 25: un altro grande sconforto], attaccata con parole di fuoco quale “individualismo sregolato e necrofilo”, alla beatificazione a Rimini (lo stesso giorno 24 ottobre, una domenica infelice!) di una giovane di 22 anni morta in un incidente stradale. Qual è il legame logico? Nel diario della ragazza “beata” ci sono parecchie espressioni contro l'eutanasia, del tipo: «Questa vita non è mia, un regolare respiro che non è mio..., non c'è nulla a questo mondo che sia mio», perché «il suo corpo aveva destinazione universale e la sua vita era bene personale di pubblico consumo» (sic).

Si sfruttano le malattie e le debolezze in funzione religiosa [ricorrendo al Dio “tappabuchi”; sempre Bonhöffer al contrario aveva detto di rapportarsi a Dio nella forza e vigore (quando si sta bene), non nella debolezza e nella malattia], anche i “buchi” della scienza (ad es. l'inspiegabilità medica della guarigione) ma non la si segue nella sua Weltbild (immagine del mondo), che esclude di ricorrere a ipotesi divine per spiegare fenomeni fisico-chimico-biologici; due universi incompatibili: il miracolo e la scienza moderna, che viene al contrario sfruttata da Roma solo per suffragare il miracolo, o per suggestioni cosmologiche e quantistiche.

Infatti la si elogia quando serve [come il fisico Paolo Beltrame SJ a pagina 3 sempre del 14 ottobre, preparatoria ai due paginoni 4 e 5 sul miracolo; hanno chiesto un articolo a uno scienziato gesuita per controbilanciare il peso scettico-ateo di Parisi] rilevando, in riferimento all'ultimo numero della Civiltà Cattolica, «l'estetica naturale del linguaggio matematico» (sic; nell'occhiello). Il titolo a sua volta suona «La scienza come la poesia», su cui però Paul Dirac, uno dei più grandi fisici del '900, non sarebbe d'accordo stando alla sua caustica battuta: «In fisica si suole dire qualcosa che nessuno sapeva prima in termini il più possibile comprensibili; in poesia invece si è costretti a dire cose che tutti già sanno in termini spesso (e volentieri) incomprensibili». Ed ancora: «Agli occhi del fisico, la natura si esprime attraverso un silenzio che, paradossalmente, è forte e chiaro» (sottotitolo); il tutto per fini apologetici, nel senso che la meraviglia e la bellezza del creato rinviano al creatore. Ma i cieli non narrano e non cantano più la gloria di Dio.

Mauro Pedrazzoli

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