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recensioni
490 - A trent’anni dalla morte |
Il Tutto e il Nulla di Turoldo
Sempre sul ciglio di due abissi / tu devi camminare e non sapere / quale seduzione, / se del Nulla o del Tutto, / ci abbatterà... |
Questo componimento, sotto il titolo Ultima lapide, apriva nel 1987 il volume Il grande male di David Maria Turoldo e confluiva l'anno successivo nella più vasta antologia del poeta (O sensi miei... Poesie 1948-1988), cui contribuivano con due note introduttive e una postfazione Andrea Zanzotto, Luciano Erba e Giorgio Luzzi. Era proprio Luciano Erba a segnalare nell’autore friulano – frate dei Servi di Maria ‒ «una disincantata e diretta percezione del Tutto e del suo contrario» e un'incessante «lotta con l'angelo del Nulla», che richiama l'episodio biblico della scala di Giacobbe e le pagine più inquietanti dell'Apocalisse, evocata dal titolo di un'altra raccolta turoldiana, Il sesto angelo.
«Viandante metafisico» lo definiva l'amico scrittore Luigi Santucci, mentre per Ungaretti i suoi versi scaturivano «da macerazione per l'assenza-presenza dell'Eterno»; e in effetti l'ermetismo di Ungaretti ‒ non meno dell'espressionismo di Rebora ‒ risuona in molti testi di Turoldo, sospesi tra smarrimenti e domande:
Mai di te sapremo: / o Suono / o Silenzio / o Parola / che tu sia (Mai di te).
Forse questa è l'ora / in cui non esistiamo / emigrati dal tempo (Sera di Ferragosto).
È rotta per sempre / la comunione / con la natura profonda? (Era quella).
Ma c'è anche altro, nelle pagine come nella vita di padre Turoldo: dapprima militante nella Resistenza (quando fondò a Milano il giornale clandestino L'uomo) e impegnato nel progetto utopico di Nomadelfia, poi "coscienza inquieta" della Chiesa conciliare e voce profetica, pronta a gridare la propria denuncia contro ogni sopruso. È evidente la consonanza con la grande poesia civile del Novecento, di matrice specialmente latinoamericana: dal Canto generale di Neruda al Canto cosmico del nicaraguense Ernesto Cardenal, esponente della teologia della liberazione (cui Turoldo affiancava una teologia della speranza: Se la disperazione è totale, totale dev'essere la speranza, perché soltanto dal contatto tra estremi può scoccare la scintilla): dove la poesia sale sulle barricate a rompere le nuove catene / in questo infinito Egitto del mondo: / oceano di gemiti e pianto di schiavi / sotto imperiosi terrori (Vogliamo ancora profeti).
Finché i toni si smorzano e la meditazione esistenziale torna a prevalere ‒ ma ancora più strettamente associata a un sentimento di universale fratellanza ‒ nel testamento spirituale dei Canti ultimi, scritti durante la malattia, di cui restano emblematici questi versi: Fratello ateo, / nobilmente pensoso, / alla ricerca di un Dio / che io non so darti, / attraversiamo insieme il deserto. / Di deserto in deserto andiamo oltre / la foresta delle fedi, liberi e nudi / verso il nudo Essere e là, / dove la parola muore, / abbia fine il nostro cammino.
Giovanni Pagliero
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