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mondo
Nessun europeo è nativo europeo. Oggi abbiamo ricominciato ad essere nomadi, in modo più veloce e comodo. La mobilità non è più soltanto per sopravvivere, è più frequente e reversibile. Le migrazioni sono diventate circolari: in Gran Bretagna ogni due persone che entrano ne esce una. In Francia emigranti e immigrati sono quasi pari. In Italia, nel 2017 sono emigrati 200.000, più dei 119.000 stranieri arrivati con gli sbarchi. Oltre l’emergenza Sono dati, come le successive considerazioni, che traggo dal nuovo, breve e chiaro libro di Stefano Allievi, sociologo delle migrazioni e del pluralismo culturale e religioso, studioso dell'islam italiano. Il quale ha scritto (31 gennaio 2019): «La gestione emergenziale dei singoli casi di salvataggio in mare mostra tutta l’insipienza e l’inadeguatezza non solo del governo italiano, ma dell’intera Europa. Una riffa europea grottesca: un premier telefona all’altro per decidere dove far sbarcare una nave, e quanti profughi accettare, litigando sulla quantità e sul prezzo, per poi ricominciare da capo la volta successiva. Sarebbe più utile se i leader europei si occupassero delle cause del problema, invece che delle sole conseguenze: dell’ultimo miglio, per così dire». I fattori di spinta ad emigrare verso qui, sono evidenti: guerre, fame, ingiustizie, risorse locali sfruttate da terzi. In Italia il Pil pro capite è 30.507 dollari l'anno. Quello medio nella UE è 39.317, in Usa 57.000, in Lussemburgo 103.000. Quello dell'Africa subsahariana è 3.897, e nei paesi da cui più si emigra in Italia è sotto i 1.000 dollari. La gran parte delle persone preferisce rimanere nel suo paese. Ma quanti di noi che leggiamo qui non vorrebbero emigrare sapendo che, a parità di lavoro, avrebbero un reddito 10 o 50 volte più alto? Poi, la demografia. Guardiamo gli abitanti oggi della casa-mondo: l'Africa alloggia 840 milioni, il 12% del totale, l'Europa 710 milioni, 11%. (https://it.wikipedia.org/wiki/Popolazione_mondiale#Distribuzione_della_popolazione_mondiale). In Europa e in Italia siamo sempre meno. Gli africani entro il 2050 (fra 30 anni, tanto come dal 1990 al 2020) saranno il doppio di oggi: 1.766 milioni. I dieci stati più giovani nel mondo sono tutti africani. Nel primo ’900, uno su 4 abitanti del mondo era europeo, nel 2050 sarà uno su 14. Tra noi italiani, gli anziani sono più dei giovani, la piramide demografica è capovolta, con effetti drammatici. Non è solo questione di spese (pensioni, cure mediche), ma di creatività, innovazione, più propria dei giovani che degli anziani. Moriamo più che nascere. L’America dell’Africa I fattori di attrazione dei migranti sono le maggiori opportunità, le libertà, l'istruzione, il riconoscimento del merito, l'assistenza medica, abitazioni migliori. L'Europa è diventata l'America dell'Africa, più vicina e raggiungibile. Se l'Europa non se ne rende conto si dimostra inferiore al proprio ruolo. Ecco perché non sarà possibile (ammesso che sia auspicabile) fermare le immigrazioni. Chi lo promette, inganna. E poi, saremmo d'accordo che i nostri migranti in uscita trovassero anche loro dei muri? Dunque, qual è la vera differenza di trattamento? Non è forse il pregiudizio etnico-razziale, cinicamente usato per mettere paura e farsi dare potere, come in uno "stato di polizia"? Si trova online il Passport Index: per muoversi tutto dipende da dove siamo nati: dalla parte giusta o da quella sbagliata del mondo? Un cittadino italiano (come quello statunitense e giapponese) può andare in 162 paesi senza bisogno di visto. Un afgano in 30 paesi, un iracheno in 33, un pakistano in 34, un siriano in 37, ecc. Nel mondo non è eguale la libertà di circolazione. Nel 1800 si circolava in tutto il mondo senza un documento. Nel 900, dopo lo shock petrolifero degli anni 70, tutti i paesi europei hanno chiuso gli accessi regolari agli immigrati. Così, hanno semplicemente aperto – senza accorgersene – all'immigrazione irregolare. Un regalo alle mafie Se domani chiudessimo l'importazione legale di liquori straneri, apriremmo subito una economia illegale di contrabbando. È successo così con le migrazioni: «bloccando gli ingressi regolari abbiamo regalato un intero settore merceologico, assai redditizio, alle mafie transnazionali, che lo hanno incrementato, con procacciatori di affari sguinzagliati nei villaggi africani a vendere il sogno europeo» (p. 19). Chi scappa da guerra o persecuzione o malessere, chiusa la via legale, ci prova sull'unica via possibile, illegale. Restando, le prospettive sono peggiori dei rischi. Molti dicono: «Accetto il rischio di affogare, tanto qui morirei». L'Europa perde ogni anno 3 milioni di lavoratori, che vanno in pensione e non sono sostituiti: chi dovrebbe sostituirli non è mai nato. Ogni politica pro-natalità avrebbe effetto fra vent'anni. E intanto? L'Europa delocalizzerà la produzione se perde lavoratori. Bloccare l'immigrazione non salva il lavoro degli autoctoni. «Una politica di apertura all'immigrazione regolare sarebbe l'unica vera legittimazione per una politica di fermezza verso l'immigrazione irregolare» (p. 22). L'integrazione degli irregolari è più costosa e difficile perché il livello medio di istruzione è minore che nei regolari. Bloccare i salvataggi abdicando all'umanità, condannare le ong e «tassare la bontà» (linea denunciata da Mattarella), deformare la faccia dell'Europa, creare insicurezza per vendere sicurezza, è molto più pericoloso che fare accordi, in pari dignità, con i paesi d'origine per viaggi sicuri e regolati. Il respingimento ottuso ha sulla coscienza 3.771 annegati (di cui sappiamo) nel 2015, 5.082 nel 2016, 3.119 nel 2017, oltre 1.000 nei primi sei mesi del 2018, nonostante un drastico calo degli arrivi, perciò con una percentuale di morti più alta che in passato. Emigranti siamo noi Quelli arrivati vivi sono circa la metà della media storica degli emigranti italiani tra il 1861 e il 1961: 25 milioni di persone, 250.000 l'anno, quasi 700 al giorno. Emigranti siamo noi. In questi anni stiamo di nuovo raggiungendo questo livello di emigrazione italiana. Per mantenere la sua popolazione attiva, l'Italia ha bisogno di un innesto di 325.000 lavoratori l'anno: vogliamo rinunciarvi e invecchiare lavorando meno e spendendo per gli over 75 otto volte la spesa sanitaria che va per i giovani? Altri dati e sagge considerazioni sono fornite dall'Autore, per esempio sulla percezione gravemente distorta – comica se non fosse stupida – rispetto alla realtà, che gli italiani hanno del numero reale di immigrati, e specialmente di musulmani. Per ogni immigrato reale gli italiani ne "vedono" tre, grazie all'informazione deformante e all'utilizzo politico della falsità. La diversità culturale è un problema? Solo quando viene percepita come un problema. Altrimenti è anche risorsa e attrazione, come Allievi dimostra con sapienza e con molti esempi. I matrimoni di nazionalità diversa sono oggi già 1 su 10, in crescita continua. Fa rumore uno scontro, ma non i molti incontri. Come avviene per il digitale, possiamo sperare che i "nativi nella mobilità" possano capire la nuova realtà, senza la paura dei nati prima. Certo, bisognerebbe dedicare la metà di quanto spendiamo per l'accoglienza ad aiutare gli autoctoni a capire cosa sta succedendo. «Bisogna capire le paure, anche quando sono mal motivate. Ascoltare le paure aiuta ad evitare le chiusure» (pp. 43-44). La cosa da fare La "cosa da fare" è «riaprire i canali regolari di immigrazione», concordati con i paesi d'origine, anche ponendo dei vincoli (p. es. certificato penale pulito, ecc-), e così togliendone il monopolio alle mafie; «selezionare le migrazioni anche rispetto ai propri bisogni e interessi»; superare così la distinzione tra richiedenti asilo e migranti economici, questi essendo sempre stati la grande maggioranza dei migranti. Ma la prima "cosa da fare" è capire che questa mobilità di popoli è inarrestabile. Far credere il contrario è una truffa. Murare porti e acque nazionali è illudere e ingannare gli ignoranti spaventati. La difficoltà può essere una nuova risorsa. Enrico Peyretti Stefano Allievi, 5 cose che tutti dovremmo sapere sull'immigrazione (e una da fare), Editori Laterza, ottobre 2018, pp. 51, € 3.
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