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 445 - Don Milani ci scrive / 1

 

DI-VERTIRE DAL DI-VERTIMENTO

 

Per coloro che avevano considerato don Milani come uno dei maestri ispiratori della loro vita, il 20 giugno scorso ha rappresentato un evento gioioso.

Papa Francesco ha voluto rendere omaggio a Barbiana alla sua tomba pronunciando le seguenti parole: «Egli scrisse al Vescovo: “Se lei non mi onora oggi con un qualsiasi atto solenne, tutto il mio apostolato apparirà come un atto privato”...Oggi lo fa il Vescovo di Roma... La Chiesa riconosce in quella vita un modo esemplare di servire il Vangelo, i poveri e la Chiesa stessa». Due mesi prima era uscita una monumentale edizione dell'opera omnia del priore di Barbiana nei Meridiani Mondadori ed era stata presentata al Salone del libro di Torino. Ed è da questi due volumi che ho tratto il materiale che segue. Nelle citazioni ho indicato il volume (I e II) e la pagina corrispondente. Nel primo volume abbiamo Esperienze pastorali, Lettera a una professoressa, Lettere pubbliche e altri testi. Nel secondo abbiamo un migliaio di lettere private.

 

Don Milani, ogni giorno

Molti scritti di don Milani sono noti, hanno fatto discutere e sono ancor oggi oggetto di dibattiti coinvolgenti. La sua visione per cui «è solo la lingua che fa eguali» (I, 761) e «La povertà dei poveri non si misura a pane, a casa, a caldo. Si misura sul grado di cultura» (I, 234), rende perplessi ed esigerebbe nuove verifiche. È difficile per noi immergerci in un'Italia contadina e operaia dove i privilegiati erano i borghesi, anzi i laureati. Ma la visione della storia che emerge da quei piccoli capolavori che sono la Lettera ai cappellani militari e la Lettera ai giudici risulta ancora attualissima. Il suo drammatico monito: «Avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani per cui l'obbedienza non è ormai più una virtù... che si sentano ognuno l'unico responsabile di tutto» (I, 953) risulta essere ancora un autentico pugno nello stomaco per tutti.

Nella Chiesa cattolica l'aiuto ai Vescovi "prigionieri" costituisce uno dei primi doveri dei credenti: «Un prigioniero bisogna aiutarlo e liberarlo tanto più quando il prigioniero è il nostro padre. Se non gli sbraneremo il muro di carta e non gli dissolveremo il muro d'incenso, Dio non chiederà conto a lui ma a noi» (II, 695).

Ognuna delle suddette opinioni andrebbe approfondita. Ma io ho ritenuto di compiere una scelta precisa. Ho preferito citare e commentare affermazioni che potessero coinvolgere la nostra vita di ogni giorno, le nostre abitudini, i nostri interessi, il modo con cui impieghiamo il tempo e che fossero provocazioni in grado di scuoterci anche oggi. Oggi, in cui l'ideologia consumistica sembra trionfare. E teniamo presente che il pensiero di don Milani non forma un blocco coerente e immutabile: «Mi fa estremamente pena quando vengo a sapere che qualcuno si è battuto accanitamente per difendere mie affermazioni cui io stesso non credo più da mesi o da anni» (II, 407).

Don Milani denuncia una serie di «luoghi comuni artificiosamente ribaditi da secoli: i giovani vogliono divertirsi, lo studio fa venir l'esaurimento, la ricreazione è igienica, si vive una volta sola, gioventù spensierata, troppo serio per la sua età, Leopardi ha avuto una gioventù infelice, le donne devono essere belle, Amore è un ragazzino cieco e irrazionale, ci si innamora con colpo di fulmine, l'appello del sesso è maggiore di quello dell'ambizione, ai giovani s'addice il pensiero delle donne, ecc.» mentre «si tace accuratamente che al giovane s'addice il pensiero sociale» (II, 789).

Questo stile di vita, questo "divertimento", impedisce di vivere una vita vera, di coltivare interessi degni di un uomo: «”Divertire” vuol dire sviare, sviottolare per viuzze secondarie perché la via principale non piace, ma questa è la via principale che una creatura umana, ragazzino o ragazzina che sia, tutte le cose che fa o sta per fare o che ha fatto, le ragioni, le misuri con la sua testa, con la sua ragione, non fare a pecora quello che fanno gli altri senza almeno domandarsi a cosa serve e perché» (I, 1216).

 

Bestemmiare il tempo

«Nel giovane d'oggi c'è tutto uno stile che mi è estraneo: parla di sport e di cine senza domandarsi gli ultimi perché di interessi così insignificanti. Non vuol parlare di politica né di sindacato per non far fatica interiore. Parla della donna e della futura moglie col solo criterio sensuale. Vuole ignorare il dolore e la morte, considera prodezza l'arrischiar per gioco la propria e l'altrui vita sui motori. Parla del denaro come il bene supremo. Considera il divertimento un diritto essenziale, anzi un dovere, una cosa sacra, il simbolo della sua età» (I, 226). «Nelle ore libere segue le mode come un burattino obbediente. Il sabato a ballare, la domenica allo stadio» (I, 697). Con le dovute distinzioni, questo quadro risulta valido ancora oggi. E non riguarda solo i giovani. Basta guardarci in giro. Chi mai legge, chi mai si interessa di politica, chi si appassiona a problemi che riguardano la società e il senso della sua vita?

La polemica del prete Milani si concentra soprattutto contro la "ricreazione", cioè contro i "ricreatori" parrocchiali. La ricreazione è «la rovina della classe operaia» (I, 142), «l'Eresia del secolo». Preti e comunisti vedono in essa il mezzo per avvicinare i giovani, quando invece «la gioventù non chiederebbe che di sacrificarsi e istruirsi» (II, 329). Essa consiste nel «buttar via il tempo... bestemmiare il tempo, dono prezioso di Dio che passa e non torna» (I, 150). «Ha tutta la Grazia che potrebbe ricevere un prete che si abbassa fino all'atto blasfemo della ricerca del passatempo? Il televisore e il pallone non sono dunque più metodi per raggiungere gli altri, ma modi di essere e di vivere» (II, 372). «Il divertimento serve soltanto a quelli che non riescono a riempire decentemente le 24 ore della giornata» (I, 1215).

Viene denunciato fortemente anche il ballo. «Se dite “Dove si va?” riconoscete che il ballo è un atto da disperati. Che chi balla dovrebbe piangere tutto il tempo. Ballando dovrebbe dire: “Ma guarda che disgraziato che sono! Ma guarda come sono ridotto!”. Cioè riconosciamo che è per disperazione che andiamo a prendere quel po' che ci offrono» (I, 1223). «Nella sala da ballo ci sono delle ragazze che restano tutta la sera a sedere e tornano a casa dopo aver patito le pene dell'inferno... Potete divertirvi in una sala in cui una patisce perché nessuno la sceglie?» (I, 1238).

Nei bar (spesso gestiti da parroci) vengono offerti generi alimentari che risultano essere «veleni, puro vizio di gola, calorie troppo care» (I, 154). «Il gioco a carte è la quintessenza della bestemmia del tempo... E non si parli di distensione dei nervi perché i volti dei giocatori di carte non danno quest'impressione. A questo scopo funziona meglio una sedia a sdraio» (I, 158). Ancora peggio il gioco a scacchi in quanto richiede un'intensa concentrazione intellettuale «mentre un gioco anche a volerlo concedere (io non lo concederei) deve almeno essere distensivo!» (II, 822). Molti giochi e sport si fondano sull'agonismo il cui fascino consiste «nella gioia del vincitore di avere umiliato gli altri, oppure quella di stimarsi qualcosa» (I, 158). Il tifo sportivo è del tutto assurdo: «Perché urlano con la stessa disperata foga con cui dovrebbero urlare alla moglie:”Non mi tradire”?» (I, 159).

Ma c'è qualcosa di ancora più grave. «L'ultima invenzione è stata quella di far perdere la testa ai poveri nella ricerca del benessere. Benessere che non raggiungeranno mai perché la pubblicità commerciale riesce a creare in loro nuovi bisogni all'infinito» (II, 998). «Sia i comunisti che i cattolici non han promesso che benessere. Come se fosse già dimostrato che la gioventù è corrotta fino al punto da non muoversi che in vista del proprio benessere» (I, 272).

 

Voler bene alle parole

«La gioventù d'oggi sa correre al sacrificio con altrettanta facilità che al divertimento. O meglio: preferisce sacrificarsi per uno scopo nobile che divertirsi sterilmente. O meglio ancora: preferisce divertirsi nel sacrificio fruttuoso che annoiarsi nel divertimento frenetico e sterile» (I, 261). Per la scuola di Barbiana, uno straordinario divertimento era costituito dalla ricerca... delle parole! «Una parola da nulla diventava un mondo... Quando sul giornale capitava un nome geografico studiato poco prima, in quei momenti si vedeva i visi dei ragazzi più novellini illuminarsi tutt'a un tratto come quando si incontra inaspettatamente una persona che si conosce e a ripensarci ci si accorge che le si vuol bene. Si voleva bene alle parole! Roba da pazzi eppure era proprio così. Leggere la prima pagina di un giornale diventò come incontrare un branco fitto fitto di vecchi amici, luoghi, persone, date, vocaboli, radici, era tutta un brulichio di roba viva» (I, 1017). Scrivere un testo  diventa un'appassionante impresa. La stesura di una lettera sul tema «Perché vengo a scuola» comporta un lavoro collettivo di circa cinquanta ore. «Il lavoro è stato entusiasmante per me e per i ragazzi. Straordinaria la possibilità dei più piccoli di trovare qualche volta soluzioni migliori dei grandi. Pochissima incertezza: in genere la soluzione migliore s'impone molto evidentemente alla preferenza di tutti»(II, 948).

Condividere, comunicare. È il risultato di una passione incontenibile, di un impegno etico teso alla redenzione del povero. «Bisogna ardere dell'ansia di elevare il povero a un livello superiore. Non dico a un livello pari a quello dell'attuale classe dirigente. Ma superiore: più da uomo, più spirituale, più cristiano, più tutto» (I, 267). Vista sotto questo aspetto, «la cultura prende il sapore del frutto proibito, il quale sapore è notoriamente il più succulento che esista» (II, 338). E coinvolgere a questo scopo ogni ragazzo, «farne un apostolo contro il gioco, un apostolo contro la ricreazione, contro lo sport, contro tutta la dispersione di forze» (I, 1172). «Per fare questo vi ho detto il trucco: cioè li faccio vibrare dalla mattina alla sera di questa passione missionaria... Il più grandicello dei miei ragazzi, ha 17 anni ora, è in Germania, vibra dalla mattina alla sera di passione a vedere i calabresi in Germania, in che condizioni sono, come vengono trattati e in che stato di schiavitù sono. Dedica tutte le sue nottate a fare scuola ai suoi vicini di letto, ad aiutarli a imparare un po' d'italiano e un po' di tedesco. Vibra di questa passione e si allontana  da tutti i vizi, da tutte le bassezze della vita moderna. Vive una vita da monaco anche a Stoccarda» (I, 1181).

Eppure... «so di non sacrificarlo, di non immusonirlo. So che nel sapere e nel ragionare ritroverà tutto quel che ha lasciato e molto di più. So che la gioia di sapere gli farà passare le prime giornate serene della sua tormentata vita» (I, 228).

Ma una domanda sorge: «Quest'insieme di accorati ammonimenti suppone un profondo desiderio di immergersi nella corrente della storia, di comprenderla alla luce del Vangelo?»

 

Dario Oitana

(continua)

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