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società
344 - LO SPOT DELLA NUOVA FIAT |
SE LA CINQUECENTO È DI TUTTI
Il lancio pubblicitario della nuova Cinquecento mi ha subito colpito per la lunghezza, la magniloquenza (il filo conduttore è costituito da alcune sequenze tratte da Nuovo Cinema Paradiso di Tornatore), la musica di Allevi (a un suo concerto a Venaria dietro di me due continuavano a dire, per ogni brano: «Questa è quella della pubblicità»…) e il numero di testimonial convocati: Falcone e Borsellino, Brigate Rosse, fratelli Abbagnale, Totò, Margherita Hack, Michelangelo Antonioni, il presidente Pertini, Giovanni Paolo II, Gaber… Mi pare di averli annotati tutti, ma poi anche uno sciopero, un cartello con «Non si affitta ai meridionali» e una parata di carabinieri. |
Il messaggio verbale della pubblicità è in puro stile Gramellini (nel senso migliore e peggiore della parola): «La vita è un insieme di luoghi e di persone che scrivono il tempo. Il nostro tempo. Noi cresciamo e maturiamo collezionando queste esperienze. Sono queste che poi vanno a definirci. Alcune sono più importanti di altre perché formano il nostro carattere. Ci insegnano la differenza tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. La differenza tra il bene e il male. Cosa essere e cosa non essere. Ci insegnano chi vogliamo diventare. In tutto questo alcune persone, alcune cose si legano a noi in modo spontaneo e inestricabile, ci sostengono nell’esprimerci e nel realizzarci, ci legittimano per essere autentici e veri. Essi significano veramente qualcosa. Ispirano il modo in cui il mondo cambia ed evolve. E allora appartengono a tutti noi e a nessuno. La nuova Fiat… appartiene a tutti noi».
La frase finale compare anche nei grandi cartelloni pubblicitari sparsi per la città – uno enorme si trova sulla facciata della Fiat Mirafiori: «La nuova Fiat appartiene a tutti noi». Che cosa significa? È fin troppo facile obiettare che la frase in senso stretto è insensata, dato che un’auto appartiene solo a chi è in grado di comprarla. 12.000 uro non sono proprio da tutti. (Personalmente, avendo sempre comprato auto usate, per ora dovrò aspettare almeno un po’ di mesi perché appartenga anche a me…) Ma le parole e le immagini lo dicono chiaro: la Cinquecento è qualcosa che fa parte della nostra storia, collettiva e allo stesso tempo individuale. Dunque questa auto, a differenza (o come?) di tutti gli altri prodotti, appartiene all’insieme delle esperienze estetiche, morali e, perchè no, spirituali di tutti «noi», volenti o nolenti. Si potrebbe dire, appena esagerando un po’, che coinvolge l’uomo (o almeno l’italiano) in quanto tale, e dunque chi se ne frega di un’auto così dovrebbe seriamente pensare se è veramente un uomo, uno di noi...
Se la Cinquecento è un «bene comune», è giusto che la città venga «usata» nella festa per il lancio: essa «mette al lavoro tutta la popolazione, il suo spazio urbano, in un processo produttivo che non è più materiale bensì per produrre merce immateriale per un immenso spot. La città è diventata una macchina produttiva postmoderna in cui si fa credere ai cittadini di essere dei protagonisti e invece sono degli spettatori, a volte delle comparse e, se hanno i soldi, anche dei consumatori». Per una sera la kermesse di luci e suoni ha unito tutti, Marchionne e il precario, nella stessa rappresentazione mediatica, come ha detto Marco Revelli («la Repubblica» 6 luglio).
Confondere l’essere con l’avere
L’abuso di categorie culturali per promuovere un prodotto può anche essere considerato un progresso, ma credo invece vada considerato solo un più sofisticato mezzo di comunicazione aziendale (per questo oggi la parola «comunicazione» è così squalificata, tanto da dover fare attenzione ad usarla). Sappiamo che ormai non si promuove un prodotto, ma una marca, un brand, o meglio ancora – altra parola che diventa impronunciabile – una filosofia, o una visione del mondo. Il mondo Fiat. E allora dentro ci sta Allevi come Gramellini, il papa e Pertini, gli operai e i carabinieri. Tutti per vendere, alla fine, e “venduti” (nel senso che prestano la loro immagine per vendere). Che poi la Cinquecento si venda, anche io – con Prodi – lo spero. Ma non rompano le scatole con tutto questo filosofume sulla storia, l’identità, l’appartenenza ecc. La Cinquecento è una macchina bella (?!), da comprare. Stop. Questo basti.
Ma c’è di più. Nel cartellone c’è un gioco di parole tra You are, we car giocando sulla somiglianza fonetica e sull’antitesi. Ancora una volta c’è un «voi» e un «noi», c’è un essere che si identifica con un oggetto: essere uomo significa avere una macchina. Quando, infatti, i manipolatori di coscienze danno le indicazioni alle agenzie di pubblicità sul risultato che vogliono ottenere dal messaggio pubblicitario, dallo spot, hanno due alternative: o indurre un sentimento di identificazione (= è proprio l'auto per i fighi come me!), oppure suscitare il desiderio di migliorare il proprio status (= quanto sarei più figo con quell'auto!). Funziona (quasi) sempre, perchè la maggioranza della gggente confonde l'essere con l'avere, e nessuno la educa al contrario (e prima ancora, a decodificare la «comunicazione» pubblicitaria). Se le cose stanno così, questa non è più industria e commercio, né pubblicità, più o meno discutibile, ma idolatria, nel senso biblico: l'oggetto (più o meno) utile diventato idolo, cioè ciò che ti fa «essere», che ti «salva».
a. r.
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